Libera: le reali priorità per la fase 2
Mentre le imprese sono ancora in attesa di capire quale (e se ci) sarà l’intervento dello Stato per sostenere la ripartenza, arrivano i decreti 67 e 68 che segnano la fine del lockdown e introducono restrizioni sul fronte del sostegno alla disoccupazione e un’imposta speciale sulle pensioni. Un provvedimento quest’ultimo che farà incassare una cifra irrisoria all’erario e, nel contempo, del tutto iniquo poiché colpisce indistintamente, senza tenere conto della condizione economica delle famiglie.
Il Governo infatti non ne vuole sapere di usare l’Isee, l’indicatore capace di determinare le reali potenzialità di reddito e patrimoniali di una famiglia, ma sceglie ancora una volta la genericità del “taglio lineare”. Così le famiglie che vivono con una sola pensione vengono parificate a quelle in cui entrano magari due o tre redditi diversi.
Le imprese, i lavoratori autonomi, in particolare gli operatori del turismo, e i dipendenti sono coloro che hanno per il momento pagato il prezzo più alto della crisi dovuta al Covid-19, le prime e i secondi con il blocco delle attività hanno perduto non solo reddito, ma anche capacità competitiva e per questo motivo non possono che sperare in un robusto sostegno da parte dello Stato per superare difficoltà che si preannunciano ancora pesanti e persistenti.
I lavoratori infine sono rimasti a casa per un lungo periodo ed ora tanti rischiano conseguenze ancor più gravi determinate dalle crisi aziendali che si prefigurano. Con i nuovi decreti, mentre si dichiara finito il tempo della straordinarietà (e quindi delle possibilità di ricorso agli ammortizzatori sociali straordinari) il Governo ha anche deciso di togliere la protezione sul blocco dei licenziamenti. Come dire, se non sono le imprese sono i lavoratori a pagare e viceversa.
Nessun provvedimento e nessuna conseguenza hanno invece subito coloro che posseggono patrimoni ingenti sia immobiliari che finanziari, magari detenuti all’estero oppure vivono sulla rendita di posizione superprotette. Infine ci chiediamo come si stia procedendo sulle azioni di responsabilità ai manager bancari e speriamo che il Tribunale venga lasciato lavorare per portare a compimento i processi in corso.
Questi elementi di ingiustizia e mancanza di equità generano nel Paese forti malumori.
Se è infatti vero che esiste una necessità oggettiva e urgente di reperire risorse, è altrettanto vero che tutti debbano essere chiamati a dare il proprio contributo sulla base delle disponibilità reali e proporzionalmente all’ammontare delle loro disponibilità.
Inoltre tali prelievi devono essere finalizzati e non finire nel calderone generale delle spese cosiddette obbligatorie che alla fine servono spesso per sostenere i privilegi di qualche categoria.
Occorre un piano strategico che possa realmente rilanciare il Paese e la sua economia che parta, come ben ricordato anche da Gerardo Giovagnoli, da un rapido e deciso accordo con l’Unione Europea, unica entità sovranazionale che può sostenere interventi robusti a favore dei Paesi, detentrice tramite la BCE della sovranità monetaria anche della Repubblica di San Marino.
Non è concepibile infatti che la nostra possibilità di immettere liquidità nel sistema, di cui oggi c’è assoluto bisogno, venga bloccata dalla mancanza di un accordo con l’Unione Europea proprio quella stessa Ue a cui San Marino, con la convenzione monetaria, ha delegato la propria possibilità di battere moneta.
Un piano strategico che consenta allo Stato di incassare le risorse necessarie per sostenere un eventuale indebitamento e un incontro urgente con i vertici della BCE affinché prendano in seria considerazione le necessità immediate di liquidità di cui ha assoluto bisogno l’economia sammarinese per reggere all’impatto della grave crisi: questi sono i due obiettivi su cui dovrebbe concentrarsi l’azione del governo ma che nessuna maggioranza da sola può riuscire a raggiungere.
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