Economia e Lavoro

Lavoro, è necessaria una visione politica

Il lavoro nella Repubblica di San Marino è decisamente in crisi con una riforma del settore ancora da realizzare. Non c’è una buona prospettiva occupazionale mentre l’economia del Paese dovrebbe essere sollecitata per registrare una significativa ripresa che possa garantire un maggiore coinvolgimento dei lavoratori. C’è l’esigenza di investire sulle risorse umane per rilanciare il lavoro professionale dove le imprese possono scommettere per ottenere buoni risultati. Manca una visione della politica ed è necessario attrarre nuovi capitali per rilanciare l’economia sammarinese. Con Francesco Biordi, Segretario Generale USL, vogliamo analizza le diverse situazioni occupazionali con un particolare focus sui possibili scenari futuri, capaci di assicurare una rapida ripresa economica.

Qual è la situazione dell’occupazione a seguito della costante crisi economica?

Se analizziamo l’andamento delle imprese, così come testimoniato dalla “fotografia” scattata dal Programma Economico 2017 e dagli ultimi dati rilasciati dall’Ufficio Informatica, Tecnologia, Dati e Statistica, notiamo come dalle 6.464 del 2008 siamo passati alle 5.174 del 30 settembre 2016: un decremento di circa il 20%. I lavoratori dipendenti erano 19.965 nel 2008, si fermano a 18.761 al 30 settembre 2016, per un calo del 6%. Chiaramente c’è una situazione inversa se analizziamo l’andamento della disoccupazione, un aumento verticale considerato che dai 713 soggetti senza lavoro del 2008, al 30 settembre 2016 ne contiamo 1.347, ovvero un +88,92.

I settori che risentono maggiormente della crisi come affrontano il problema?

L’impressione è che non vi sia una visione, un indirizzo definito che sappia “tenere la rotta” anche in periodi di tempesta, sebbene prolungati come il perdurare della situazione di crisi che stiamo attraversando in questi anni. La riflessione che abbiamo voluto inserire anche all’interno dell’elaborato stilato dal gruppo di lavoro tripartito per il Centenario OIL è la seguente. Un lavoratore adeguatamente formato difficilmente rimarrà senza una buona occupazione, pertanto una forza lavoro competente garantisce alle imprese di poter meglio operare e una maggiore produttività e redditività, oltre a consentire a queste di affacciarsi a mercati stranieri internazionalizzandosi. A sua volta questo genera un circolo virtuoso grazie al quale saremmo in grado di attirare investitori esteri di alto profilo, competenti, interessati alle virtù offerte dal sistema paese in quanto sovrano e non alle “zone d’ombra” abusate in passato e, in alcuni casi, ancora fonte di attrazione per alcuni soggetti. Ciò implica che vadano fortemente implementate le policies relative agli strumenti di formazione e riqualificazione della forza lavoro e, con maggiore lungimiranza, dobbiamo puntare con forza per far sì che il nostro Paese diventi “Smart” mediante sburocratizzazione, meritocrazia, snellezza delle procedure e certezza del diritto. Dobbiamo acquisire la piena consapevolezza che il differenziale fiscale, un tempo principale aspetto attrattivo della nostra Repubblica, non è più condizione sufficiente per attirare nuovi investimenti e mantenere quelli già presenti sul territorio, puntando invece su infrastrutture, servizi di altissima qualità e digitalizzazione.

Si possono mettere in campo soluzione nel breve periodo?

Ritengo che prima di ipotizzare qualsiasi tipo di soluzione, se l’intento è realmente quello di raggiungere il traguardo preposto, sia imprescindibile conoscere la condizione di partenza per definire il percorso. Di recente la nostra organizzazione ha fotografato lo stato attuale della forza lavoro sammarinese, focalizzando l’attenzione sulla formazione e sui titoli di studio maggiormente diffusi. Dati fondamentali per definire gli interventi e le politiche del lavoro sia nel breve, sia nel medio – lungo periodo. Ad esempio, dal nostro studio emerge che nel settore privato la maggior parte dei lavoratori (34,20%) possiede la licenza media e il 32,10% la maturità. La percentuale dei laureati si attesta attorno al 7% mentre quasi il 9% possiede un diploma di qualifica. Per quanto riguarda il Pubblico Impiego, al primo posto troviamo sempre la licenza media (24,60%) seguita con pochissimo scarto dalla maturità (24,20%). Sale sensibilmente la percentuale dei laureati (21,10%) rispetto al settore privato, ma ricordiamo che in tal senso incidono notevolmente i comparti scolastico e sanitario. Il 17,10% possiede un diploma di qualifica e un 9,40% un diploma universitario. Partendo da questa analisi, emerge in maniera lampante l’opportunità di sviluppare un percorso virtuoso che ponga al centro la collaborazione tra sistema formativo e mondo del lavoro, basato sul rafforzamento e l’ampliamento dell’offerta universitaria e di alta formazione della nostra Repubblica. L’appello è rivolto a tutti coloro – parti sociali, forze politiche, istituzioni – che condividono tale impostazione e vogliono contribuire a sviluppare proposte e progetti concreti partendo da questi dati.

Che interventi auspicate nel mondo del lavoro dal prossimo governo?

Il nuovo Esecutivo sarà chiamato a concentrarsi sulla riforma del mercato del lavoro, mai realizzata nonostante se ne parli da diversi anni. Riforma che doveva essere, a nostro avviso, realizzata ben prima della recente Legge sulla Rappresentatività. Gli asset fondamentali di tale provvedimento, se realmente si vuole far sì che il nostro Paese stia al passo coi tempi, dovranno essere una maggiore certificazione delle competenze per favorire il “matching” tra domanda e offerta; un servizio di orientamento potenziato al fine di poter indirizzare le nuove generazioni verso le professionalità con maggiore prospettiva occupazionale; un sistema di relazioni industriali innovativo mediante la promozione della contrattazione aziendale attraverso modelli organizzativi di tipo partecipativo. Mi auguro che il futuro Governo si adoperi per creare nella nostra Repubblica un «circolo virtuoso» fra la produttività del lavoro e le retribuzioni. Un concetto già affermatosi in modelli lavorativi nordeuropei che, recentemente, ha iniziato ad essere proposto anche in realtà a noi limitrofe. Per recuperare margini di competitività dell’intero apparato produttivo, la soluzione non è rappresentata da salari più bassi, ma dal rafforzamento della negoziazione aziendale rispetto alla attuale minore efficacia della contrattazione nazionale. Legare quindi la ri-articolazione fra contratto nazionale e contratti aziendali alla «produttività programmata». A chi critica tale impostazione, ricordo che la valorizzazione della contrattazione di secondo livello o aziendale è integrativa e non sostitutiva della contrattazione nazionale, la quale rappresenta la cornice entro la quale inserire specifici accordi calibrati sulle peculiarità delle realtà produttive. In questa logica innovativa, il contratto nazionale fisserebbe tassi minimi attesi di crescita e i vari contratti aziendali istituirebbero un legame fra crescita salariale e produttiva basata su riorganizzazioni e/o ristrutturazioni delle singole imprese. Inoltre, nel contesto economico internazionale caratterizzato dalle «catene globali del valore», dall’informatizzazione e dall’intelligenza artificiale, la piccola dimensione di impresa, caratteristica della nostra Repubblica, non sempre assicura vantaggi competitivi («piccolo non sempre è bello»). Pertanto l’Esecutivo che si insedierà è chiamato a disegnare una cornice legislativa che permetta alle imprese sammarinesi di adottare almeno quelle innovazioni tecniche e organizzative che consentano loro di collocarsi sulla frontiera competitiva internazionale. Con una struttura legislativa adeguata, se le associazioni degli imprenditori e le parti sociali fossero disposte a sostenere il modello appena illustrato, si aprirebbe una cruciale opportunità per il rilancio economico della Repubblica di San Marino, creando condizioni ideali sia per investitori esteri, sia per quelli già presenti sul nostro territorio. I recenti rinnovi contrattuali firmati da USL vanno proprio in questa direzione e tendono a stimolare la partecipazione e il coinvolgimento attivo dei lavoratori, dato che sono risorsa più importante, nelle decisioni aziendali. Ripeto sempre che questo modello, di forte rottura rispetto agli schemi derivanti da una concezione ormai superata delle dinamiche del mondo del lavoro, rappresenta una sfida per i nostri interlocutori ma in primo luogo per noi stessi, e più in generale per approcciare a un nuovo modo di fare sindacato.

Il turismo può essere un asset sul quale puntare per una crescita costante e rapida?

Lo stato di sofferenza del comparto turistico sammarinese è sottolineato dalle controparti datoriali di categoria ad ogni occasione di confronto. San Marino ha delle enormi potenzialità in tal senso, è quasi scontato affermarlo, ed è indubbio che la collocazione geopolitica sia un punto di forza, un “trait d’union” ideale tra Occidente e Oriente capace di unire le peculiarità di zone e regioni anche molto differenti tra loro (spaziando dalla Riviera Romagnola al Montefeltro) così come testimoniato anche dal “Patto Territoriale” avviato dalla nostra Università. Il concetto di base, in ogni caso, è quello precedentemente esposto: ciò che manca è una visione politica, che indichi in quale direzione traghettare il Paese non solo nell’ambito turistico ma più in generale in tutti i settori, individuando ad esempio, i target di riferimento e conseguentemente investire in infrastrutture per mezzo delle quali si intende fare sviluppo, ciò a maggior ragione in un Paese che dovrebbe fare dell’eccellenza la sua priorità, in pratica siamo di fronte ad un vero e proprio cambiamento culturale che dobbiamo avere il coraggio e la forza di affrontare.

Francesco Fravolini