Attualità

Il valore della verginità digitale

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Sin dall’alba dei tempi gli esseri umani sentirono il bisogno di organizzarsi in gruppi, quindi in società inizialmente arcaiche e poco strutturate, dove c’era comunque un capo.

Spesso questo leader era anche il depositario del credo, colui in contatto diretto con una divinità disinteressata e distratta, per lo più assetata di sacrifici.

Quindi la struttura sociale si fece più articolata e complessa plasmandosi dapprima sui bisogni dei tiranni e poi ancora su quelli dei capi, ma via via mascherati dai bisogni del popolo, con le religioni che cercano costantemente di adeguarsi per non finire démodé.

Tuttavia credo che in fine si sia riusciti a far coincidere la credenza che Dio esista con la nostra coscienza sociale.

Ecco perché cerco di essere un buon cristiano laico.

Arrivando ai giorni nostri, dove la maggior parte di noi vive una seconda vita digitale, più o meno intensa a seconda degli impegni reali e del modo in cui si “decide” di usare il proprio quoziente intellettuale, assistiamo alla nascita di una nuova Dea: la Privacy.

È proprio come accadde ancestralmente con le divinità convenzionali, essa nasce non da un intimo bisogno spirituale di riservatezza, bensì da una necessità di buon governo, di controllo, di tutela.

Ora ci sarebbe tutto un capitolo molto tecnico e anche un po’ polemico sull’ennesima macchina burocratica, Leviatano custode di preziosissime virtù che risponde al nome di GDPR e che nulla mi leva dalla testa che sia la tipica azione all’european style di creare economia sul nulla pneumatico, un pò come fu per l’euro, tanto per intenderci. Ma ve lo risparmio.

Certo nella vita reale è più semplice gestire le informazioni che si desidera condividere col proprio interlocutore, ma di questo passo non potrebbe esistere la vita digitale come il popolo la intende oggi, quella cioè che si vive sui social.

Qual è però-mi chiedo-la coerenza tra il voler apparire in ogni luogo fighetto, col giusto amichetto o peggio ancora col figlioletto posando con labbra arricciate vaneggiando ogni pensiero inetto e il voler soppesare la propria privacy a 1000€ all’etto?

Ma quando avete perso la verginità lo avete fatto consapevolmente o siete stati stuprati?

Mi scuso preventivamente con tutti coloro che hanno subito violenza a tal riguardo, o almeno con con quelli che sono stati davvero molto sfortunati.

Nella maggior parte dei casi l’atto è avvenuto consapevolmente e ognuno di noi aveva preventivamente attribuito un valore alla propria verginità e aveva deciso i parametri in base ai quali questa fosse sacrificabile: i maschi parametri molto bassi, si sa.

È chiaro poi che se si fosse di sesso femminile e aspetto discreto e ci si mettesse in lingerie a camminare nel quartiere dei peggiori bar di Caracas-cit., farebbe un po’ sorridere poi difendere a spada tratta la propria privacy.

Quindi è chiaro che il segreto per difendersi anche nel mondo digitale è attenersi ad una religione digitale, che attraverso le social parabole e i web moniti ci educhi a dare valore alla nostra verginità. Essa risponde al nome di alfabetizzazione digitale.

A noi la sensibilità di dare coerenza e valori ad essa, quindi proprio come nella vita reale, le persone più rispettose di sé e dei propri cari si scorgono dall’attitudine e dai piccoli gesti. 

Certo è che fa tanto ridere ascoltare gli schiamazzi del popolo che brandisce il bastone della privacy digitale quando poi i propri dati sensibili vengono sverginati facendosi un giretto su un cloud russo e vi ritrovate di colpo con trent’anni di più, non di esperienza purtroppo.

Vi dico la mia: ho consapevolmente deciso di rischiare la mia privacy nel momento in cui sono sbarcato sui social.

E se qualcuno è davvero ossessionato dalla propria verginità digitale se ne stia nella sua vita reale, perché alla perdita della privacy digitale non c’è soluzione. 

La cultura digitale e l’alfabetizzazione, già dai primi anni di scuola, sono l’unico mezzo per sopravvivere in questa seconda vita digitale che rischia di diventare sempre più reale a discapito di quella vera.

Francesco Chiari,

Marinaio digitale.

 

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