Politica

Consiglio Grande e Generale: esame dell’articolato della riforma IGR (report di martedì 4 novembre 2025)

Consiglio Grande e Generale, sessione 29, 30, 31 ottobre; 3, 4, 5, 6, 7 novembre 2025

Martedì 4 novembre 2025, pomeriggio

Durante la seduta pomeridiana di martedì 4 novembre del Consiglio Grande e Generale, prosegue l’esame dell’articolato del progetto di legge di riforma dell’IGR. Vengono approvati gli articoli dal 9 al 34.

I lavori ripartono dall’esame degli articoli 9 e 10. Il Segretario di Stato Marco Gatti spiega che le modifiche riducono le spese non documentate per trasferte lavorative e impongono che ogni spesa sia tracciabile tramite pagamento elettronico. La novità principale riguarda però il fringe benefit, che viene elevato da 500 a 2.000 euro e reso esente da imposta se ricaricato sulla Smac Card, favorendo così i consumi interni e la tracciabilità delle erogazioni.  L’opposizione, pur riconoscendo un miglioramento rispetto al testo iniziale, solleva numerose criticità. Gaetano Troina (Domani Motus Liberi) sottolinea che il cambio di impostazione, richiesto dai sindacati, migliora la condizione dei lavoratori ma chiede chiarimenti sull’impatto di bilancio e sulla copertura della minore entrata fiscale. Emanuele Santi (Rete) denuncia la diffusione di pratiche irregolari nelle buste paga, dove parte del compenso viene mascherato come rimborso spese, riducendo così i versamenti contributivi e penalizzando i lavoratori sul piano pensionistico. Matteo Zeppa (Rete) accusa il Governo di introdurre strumenti che possono essere sfruttati per eludere i contratti collettivi. Nicola Renzi (Repubblica Futura) e Sara Conti (RF) richiamano invece la necessità di un quadro chiaro e coerente dei benefit aziendali, evidenziando come lo strumento possa essere utile per promuovere forme di welfare aziendale e sostegno alla natalità, purché regolato e non usato come “fuori busta”.  Il Segretario di Stato Marco Gatti difende la misura come un intervento volto a garantire competitività rispetto all’Italia, che adotta un analogo sistema di fringe benefit fino a 2.000 euro. Ribadisce che la norma introduce tracciabilità totale e che le riduzioni sui rimborsi servono a contrastare abusi. 

Con l’articolo 11, viene modificata la tassazione dei redditi non pertinenti all’attività, la cui base imponibile passa dal 75% al 90%, con un aumento stimato di gettito pari a circa 400.000 euro. Viene inoltre introdotto un limite di 50.000 euro per la deduzione di autovetture aziendali, con la possibilità, in alternativa, di dedurre anche l’acquisto di una motocicletta fino a 10.000 euro.  Troina e Santi (D-ML e Rete) contestano l’ambiguità del testo, chiedendo di chiarire che auto e moto non siano cumulabili. Entrambi esprimono dubbi sull’equiparazione del motociclo a un bene strumentale di uso professionale. Renzi (RF) e Mularoni (RF) condividono le perplessità, chiedendo maggiore precisione normativa e sottolineando che la deducibilità deve essere inerente all’attività svolta. Zeppa (Rete) attacca l’impostazione generale della riforma, accusando il Governo di “colpire i ceti medio-bassi e favorire i più abbienti”.  Il Segretario Gatti replica che la norma è corretta nella forma e ribadisce che ogni deduzione deve rispettare il principio di inerenza e che le scelte introdotte rendono la legge più equa e controllabile. 

Si passa all’articolo 12. Le perdite d’esercizio possono essere recuperate integralmente senza limiti di tempo, ma solo fino al 70% dell’imposta dovuta per ciascun anno, garantendo allo Stato un gettito minimo del 30%. Dalle opposizioni emergono perplessità. Santi (Rete) giudica la norma “peggiorativa”, perché riduce la quota minima d’imposta effettivamente versata e favorisce imprese che dichiarano perdite — oltre 1.500 nel 2023, ricorda — senza affrontare il nodo dei controlli fiscali. Troina (D-ML) chiede rigore nelle verifiche e cita il problema delle società in liquidazione permanente, che alterano il mercato. Renzi (RF) sottolinea che la riforma IGR ha recepito le istanze sindacali solo per i lavoratori dipendenti, lasciando invece quasi intatta la parte relativa ad aziende e professionisti, segno di un equilibrio ancora incompiuto.  Il Segretario Gatti nega favoritismi, spiegando che la misura non regala nulla ma introduce criteri in linea con le pratiche internazionali. Riconosce tuttavia la necessità di censire e controllare le società inattive o solo formalmente in perdita, per evitare distorsioni nei dati.

L’articolo 15 interviene sull’articolo 38 della legge del 2013 per ampliare la possibilità di dedurre i crediti non recuperabili. Il Segretario di Stato Marco Gatti spiega che viene eliminato il limite che consentiva di dedurre il credito solo nell’esercizio di apertura della procedura concorsuale o in quello successivo, perché spesso l’impresa scopre di non poter recuperare il credito solo in ritardo. La nuova formulazione consente di dedurre il credito anche successivamente, purché collegato a una procedura concorsuale aperta. L’opposizione, pur riconoscendo la ratio dell’intervento, solleva perplessità. Emanuele Santi (Rete) teme che la misura possa prestarsi ad abusi, perché consente di dedurre automaticamente crediti inesigibili fino a 2.500 euro, importo che non considera le diverse dimensioni delle imprese. Gaetano Troina (Domani Motus Liberi) sottolinea la complessità delle verifiche per l’Ufficio Tributario, specialmente nei casi di società in procedura concorsuale dove spesso mancano libri contabili completi e risulta difficile accertare chi siano effettivamente i creditori. 

Con l’articolo 17, la discussione si sposta di nuovo sulle società di capitali e la deducibilità dei veicoli aziendali. Il Segretario Gatti spiega che viene introdotto un termine perentorio, fissato al 31 marzo, entro cui presentare l’interpello di disapplicazione per evitare richieste in corso d’anno, e che viene aggiunto un nuovo comma (4 bis) per fissare limiti alla deducibilità dei costi relativi a veicoli e autoveicoli. Santi (Rete) denuncia una “discrezionalità enorme” concessa all’Ufficio Tributario, che potrà decidere caso per caso sulla disapplicazione, aprendo secondo lui spazi di arbitrarietà. Renzi (RF) risponde che la discrezionalità amministrativa non è necessariamente negativa, purché accompagnata da meccanismi di responsabilità e trasparenza. Sara Conti (RF) avverte invece del rischio politico di un’eccessiva discrezionalità, che in un microstato come San Marino potrebbe facilmente trasformarsi in interferenza della politica nei processi amministrativi. Matteo Zeppa, di Rete, critica la tendenza del Governo a giustificare ogni scelta con il paragone con l’Italia, ricordando che le proporzioni tra i due sistemi fiscali sono incomparabili. Nella replica finale, Gatti difende il provvedimento spiegando che, già oggi, le persone giuridiche possono dedurre sia auto che moto se il bene è inerente all’attività, ma senza limiti d’importo. La novità introdotta dalla riforma è proprio quella di porre un tetto massimo di deducibilità, che finora non esisteva. 

Confronto serrato sull’articolo 20: le donazioni o liberalità alla Chiesa Cattolica e ad associazioni/enti senza scopo di lucro con finalità culturali, sociali, umanitarie, ricreative e sportive sono deducibili fino a 1.600 euro, senza più il requisito della residenza in territorio; il Segretario Marco Gatti rivendica la correzione rispetto al testo uscito dalla Commissione che limitava la deducibilità agli enti interni; l’opposizione parla di retromarcia: Troina (D-ML) ricorda che in Commissione aveva già segnalato l’“assurdità” del vincolo territoriale, Conti e Casali (RF) definiscono la nuova versione la prova che la riforma è stata “riscritta” su spinta esterna e che l’“autarchia della beneficenza” era ingiustificabile; Dolcini (D-ML) evidenzia l’incoerenza per cui si ammetteva la Chiesa Cattolica ma non gli enti esteri e la discriminazione verso i frontalieri; Zanotti e Morganti (Libera) rivendicano una sensibilità diffusa sul valore universale di ricerca, pace e solidarietà e che l’emendamento nasce anche dal confronto con opposizioni e società civile; il Segretario di Stato Rossano Fabbri accusa le opposizioni di voler creare uno “scandalo”, mentre Zonzini e Zeppa (Rete) legano il tema alla credibilità delle istituzioni. 

Alle 20 i lavori vengono sospesi. Riprenderanno domani alle 14.00

Di seguito una sintesi degli interventi 

Comma 20

a) Progetto di legge “Modifiche alla Legge 16 dicembre 2013 n.166 Imposta Generale sui Redditi e successive modifiche” (presentato dalla Segreteria di Stato per le Finanze e il Bilancio) (II lettura) 

b) Ratifica Decreto Delegato 15/10/2025 n.125 – Emissione di titoli del debito pubblico – Repubblica di San Marino, tasso fisso 2,00%, 23 dicembre 2026 (Errata corrige in data 16 ottobre 2025) 

c) Progetto di legge “Disposizioni in materia di emissioni di Titoli del debito pubblico della Repubblica di San Marino” (presentato dalla Segreteria di Stato per le Finanze e il Bilancio) (II lettura)

Articolo 9 – Modifica dell’articolo 19 della Legge n.166/2013 e successive modifiche – Approvato con 28 voti favorevoli e 9 contrari

Articolo 10 – Modifiche all’articolo 24 della Legge n.166/2013 – Approvato con 31 voti favorevoli e 1 voto contrario

Segretario di Stato Marco Gatti: In questo articolo siamo intervenuti innanzitutto per abbassare quelle che sono le spese non documentate per recarsi al luogo di lavoro, che sono state ridotte dall’attuale limite massimo giornaliero di 25 euro a 15 euro, e quelle per trasferte all’estero, ad esclusione dell’Italia, da 50 euro a 30 euro.  L’altro elemento è stato quello di introdurre l’obbligatorietà che le spese, sia documentate che non documentabili, relative alle trasferte, debbano essere tutte sostenute con pagamento attraverso mezzi elettronici o comunque canalizzati. Questo serve anche per avere una certificazione finanziaria dell’avvenuta transazione.  L’altro elemento su cui si è intervenuti, in particolare con l’emendamento dei 39 consiglieri, riguarda il fringe benefit. È stato introdotto quindi questo fringe benefit che, fino ad oggi, prevedeva una somma di 500 euro; a parità di condizioni, tale somma è stata elevata a 2.000 euro. Questi 2.000 euro sono esenti da imposte qualora siano ricaricati sulla Smac Card, e questa somma può essere utilizzata anche ai fini del raggiungimento dei consumi interni di cui all’articolo 16, comma 8, attraverso la certificazione Smac.

Gaetano Troina (D-ML): Questo è uno degli articoli che ha visto un cambio di passo piuttosto significativo dopo i confronti con le forze sindacali. È evidente il cambio totale di impostazione, anzi il rovesciamento rispetto alla formulazione originaria, perché adesso i fringe benefit vengono computati ai fini della detrazione d’imposta, mentre prima era previsto esattamente il contrario.  Anche in questo caso vogliamo rivolgere una richiesta al Segretario. Qual era l’impatto stimato con la versione precedente della legge a livello di incassi per lo Stato e, alla luce di questa variazione, quali sono le conseguenze e le differenze che emergono, vista la nuova impostazione che indubbiamente è migliorativa?  Questo nuovo emendamento migliora certamente la condizione dei lavoratori dipendenti, ma vogliamo sapere quali sono le differenze rispetto all’impostazione precedente e, soprattutto, se c’è una diminuzione di gettito da parte dello Stato. In tal caso, come si è inteso compensare questa mancanza di gettito con le eventuali previsioni degli articoli successivi? Si è compensata questa variazione oppure no? 

Emanuele Santi (Rete): Su questa misura credo sia necessario comprendere l’impatto effettivo.  Bene il fatto che si sia tornati indietro e si sia data la possibilità di detrarre anche questi costi. Vorrei però porre l’accento su un tema che è emerso anche in Commissione e che ci viene segnalato da più parti. In molte buste paga di dipendenti, su un netto ad esempio di 2.000 euro, questo netto è composto da 1.000-1.500 euro di paga soggetta a contributi, e la parte eccedente come rimborsi spese.  Capite bene che, se da una parte il netto complessivo resta di 2.000 euro, a livello contributivo i conti non tornano, perché se una busta paga è composta da queste due voci, solo sui 1.500 euro vengono calcolati i contributi. Questo è un ammanco serio e consistente sotto l’aspetto contributivo immediato, ma anche un danno per il lavoratore.  Pensavo si trattasse di casi isolati, ma ci viene riferito che il fenomeno è molto diffuso. Considerando che abbiamo oltre 22.000 dipendenti privati, pare che in molti casi parte della busta paga venga trasformata in rimborso spese, per consentire all’impresa di versare meno contributi. Quando si fa una riforma fiscale, temi di questo tipo vanno messi sul tavolo: i contributi vengono versati solo su una parte dello stipendio, mentre l’altra è qualificata come rimborso spese. 

Matteo Zeppa (Rete): Appena ho letto questo articolo l’ho visto come una discriminazione al contrario. Lei aveva già introdotto, due articoli prima, quella sciagurata “legge etnica” sui frontalieri, e ieri sera ha ribadito al microfono che, siccome abbiamo una quota di lavoratori sammarinesi che lavorano in Italia e sono discriminati, riteneva legittimo, per analogia, discriminare gli oltre 8.000 frontalieri che lavorano qui.  Credo che questa misura le sia stata suggerita da qualcuno delle organizzazioni datoriali o di categoria, perché il fringe benefit poteva servire a oscurare parte della busta paga. Anche se è “smaccabile”, rimane comunque al di fuori dei contratti nazionali di lavoro. E questo, a livello sindacale e contrattuale, è un problema serio, perché i contratti — salvo quello dell’industria — sono scaduti da anni.  Chi dovrebbe spingere per i rinnovi sono le organizzazioni datoriali e sindacali, ma se il Governo non interviene assumendosi una parte di responsabilità, i datori di lavoro continueranno a utilizzare strumenti come i fringe benefit per bypassare i contratti. È per questo che questo punto è emerso come estremamente delicato. Alcuni imprenditori, ritenendosi molto furbi, potevano sfruttare questa possibilità per aggirare il contratto, offrendo somme sotto forma di fringe benefit invece che come salario.  Segretario, può dirci quale impatto ha stimato da questo punto di vista e se non ritiene davvero inopportuna una misura del genere, sapendo che la maggior parte dei contratti è scaduta e che molti datori di lavoro tendono a sottrarsi alle regole sfruttando queste scappatoie?

Nicola Renzi (RF): È sempre difficile, quando si deve analizzare una legge, riuscire a tenere sottomano l’intera mole del testo che si va a esaminare. Si aggiunge l’ulteriore difficoltà che alcuni interventi, e lo abbiamo già detto abbondantemente, vengono inseriti dopo la quarta revisione della riforma IGR. In prima lettura avevamo fatto presenti alcune posizioni che sono le nostre posizioni storiche come forza politica, nel tentativo di regolamentare ulteriormente la tematica dei benefit aziendali, alcuni dei quali vanno sotto il nome più generale di fringe benefit. Pensate quanto è difficile questo ragionamento nel momento stesso in cui anche la definizione di fringe benefit non è così chiara. Che cosa ci vogliamo mettere dentro? Vogliamo includere, ad esempio, i buoni pasto, le rette degli asili? In alcuni momenti, in Italia o in Francia, si intende addirittura inserire anche una contribuzione al pagamento delle bollette, delle utenze.  Ecco, ciò che ci sta a cuore è che non si creino delle storture. L’obiettivo deve essere che la regolamentazione dei fringe benefit crei un rapporto virtuoso fra il datore di lavoro e il dipendente che percepisce il benefit, ma anche lo Stato. Che esso non possa trasformarsi in una sorta di “nero”, di “fuori busta” o di accessorio al pagamento dello stipendio, perché altrimenti questo avrebbe il rischio di falsare tutto l’aspetto della contrattualistica.  Ci tenevo a dirlo per il semplice motivo che credo che la tematica dei fringe benefit debba essere affrontata seriamente e in maniera molto più complessa.

Sara Conti (RF): Con una punta d’ironia ringrazio di cuore i sindacati e le organizzazioni sindacali che evidentemente finalmente sono riusciti a far capire al Segretario Gatti che parlare di fringe benefit potrebbe avere un ritorno e un riscontro molto positivo.  Lo abbiamo dimostrato portando in Aula proposte, con tutto un pacchetto di misure legate al welfare aziendale. Nella nostra ottica, lavorare su questi aspetti è la direzione giusta anche per iniziare seriamente a guardare a tutto ciò che riguarda il sostegno alla natalità, tema del quale spesso ci facciamo portatori dentro quest’Aula.  Tuttavia, fino ad ora siamo riusciti a farlo solo a parole, perché in pratica la legge 129 del 2022 non ha risolto niente. Un sostegno alle famiglie vero e reale, non c’è.  Non si risolve tutto con i fringe benefit, ma questa attenzione in più è già un primo punto di partenza. Speriamo che questo possa essere un punto di partenza.  È un tema importante che poteva incidere anche a livello di riforma IGR ed è uno di quei passaggi che forse andavano presi in carico prima e portati a termine.  Non risolviamo tutto con questo articolo, ma il tema è sicuramente sentito e andrà ampliato e continuamente implementato. Da questo punto di vista, noi continueremo a portare le nostre proposte e speriamo che d’ora in avanti possa esserci uno spiraglio di ascolto.

Segretario di Stato Marco Gatti: Alle volte abbiamo delle posizioni che si contraddicono, perché diciamo che dobbiamo sostenere le imprese e, chiaramente, sostenere le imprese vuol dire metterle anche nello stesso regime di competitività. Poiché il nostro competitor più vicino è a pochi chilometri da noi, guardare anche alle normative che evolvono nel mondo del lavoro è un esercizio che abbiamo cercato di fare nel momento in cui modificavamo la nostra normativa fiscale.  In Italia hanno introdotto il fringe benefit fino a 2.000 euro, mille più mille. Viene erogato con diverse modalità: attraverso piattaforme, buoni, e varie forme di erogazione. Noi abbiamo cercato di introdurre uno strumento similare che possa, un domani, essere valutato come similare anche dalla fiscalità italiana, visto che abbiamo molti frontalieri e quindi vogliamo evitare che vengano penalizzati per lo stesso strumento di cui il personale dipendente residente in Italia ha diritto di usufruire.  Rispetto alle letture precedenti, abbiamo fatto una semplice modifica, che è stata quella di togliere e assorbire le spese effettuate in territorio da lavoratori dipendenti in via prioritaria. Questo significava che, per poter usufruire della detrazione piena delle spese in territorio, occorreva anche utilizzare la somma che veniva data come fringe benefit ricaricata sulla SMAC. Togliendo questa parte, invece, viene assorbita e quindi sostanzialmente quella somma può essere utilizzata per avere diritto alla detrazione.  Questo è l’intervento che abbiamo fatto rispetto a quanto approvato in Commissione Finanze. Lo strumento è assolutamente trasparente, tant’è vero che abbiamo previsto la tracciabilità attraverso il caricamento sulla SMAC. L’altro intervento che abbiamo fatto riguarda i rimborsi spese per recarsi al luogo di lavoro. Su questo punto abbiamo ridotto le soglie proprio per iniziare a contrastare quello che, da alcuni nostri controlli, è emerso come un abuso nell’utilizzo di questo strumento. Siamo andati quindi al suo dimezzamento.  Per quanto riguarda il gettito, non è possibile quantificarlo con precisione, ma abbiamo ritenuto che rientri tra tutte quelle tipologie di intervento sulle quali non siamo riusciti a dare una quantificazione puntuale. Le abbiamo stimate complessivamente intorno ai tre milioni.  

Articolo 11 – Modifiche all’articolo 27 della Legge n.166/2013 e successive modifiche – Approvato con 36 voti favorevoli e 13 contrari

Segretario di Stato Marco Gatti: In questo articolo siamo intervenuti sui redditi di lavoro autonomo, andando a rivedere una serie di abbattimenti della base imponibile collegati, in particolar modo, a quelli che sono gli ammortamenti o le spese che possono essere interamente ammortizzabili. Questo comporta un incremento della base imponibile.  Siamo intervenuti anche per quanto riguarda i redditi che non sono pertinenti all’attività, che devono considerarsi comunque redditi diversi, sui quali prima vi era una misura di abbattimento della base imponibile pari al 75%, elevata ora al 90%. Anche in questo caso ci sarà una maggiore base imponibile su cui pagare l’imposta.  Su questo articolo un’altra particolarità che è stata evidenziata riguarda i limiti all’acquisto delle autovetture, per le quali abbiamo previsto un abbattimento nella misura del 50% ma su un importo massimo di 50.000 euro. Per i liberi professionisti c’era già questo limite e abbiamo introdotto la possibilità, in alternativa all’autoveicolo, di detrarre la moto.  Chiaramente, se il professionista acquista la moto anziché l’autoveicolo, per il fisco è un vantaggio, ma si tratta di un’alternativa: o uno o l’altro, non entrambe le cose.  Per quanto riguarda il gettito, per gli abbattimenti della base imponibile è difficile fornire una stima precisa. Siamo riusciti a quantificare esclusivamente la modifica sui redditi diversi, per i quali abbiamo cambiato la base imponibile dal 75% al 90%, quantificandola in 400.000 euro. 

Gaetano Troina (D-ML): Questo è un altro degli articoli che in Commissione ci ha fatto dibattere.  Riguardo ai veicoli e alle moto, su questo articolo, a differenza di altri dove era evidente l’alternatività tra auto e moto, la formulazione del comma 4-bis, per come è scritta, dal mio punto di vista non pone un’alternatività, ma due deducibilità diverse: 50.000 euro, compresi gli oneri accessori, per le autovetture, e 10.000 euro per i motoveicoli. Tra l’altro, in Commissione c’è stato un ampio dibattito sulla possibilità di considerare bene strumentale la moto. Per carità, è la legittima scelta di ciascuno quella di valutare con che tipo di veicolo lavorare, però obiettivamente credo che sia piuttosto difficile che un professionista o un’impresa possa utilizzare per 12 mesi all’anno una moto per lavorare.  Ripeto, non ho nulla di contrario rispetto a questa introduzione, soprattutto se si tratta di un’alternativa, per quanto io nutra comunque delle perplessità. Ma vorrei che venisse precisato che si tratta di un’alternativa e non di qualcosa di sommabile.

Nicola Renzi (RF): Grazie al Segretario Gatti per la spiegazione. Spiegazione che, a mio avviso, qualche dubbio lo lascia, anche perché arriva un po’ tardivamente: se ce lo avesse detto in Commissione forse avremmo già tagliato la testa al toro. Il concetto di beni strumentali è un concetto che noi sposiamo assolutamente. Ci sono lavori dipendenti che hanno certe caratteristiche, una certa tassazione, un certo monte ore, eccetera, e ci sono lavori libero-professionali che, all’interno dello schema reddituale e del sistema delle detrazioni e dei benefici fiscali, possono avere riconosciute delle specificità.  Non sono certo uno di quelli che pensa che chiunque debba avere le stesse detrazioni.  L’importante è che essi siano strettamente connessi con l’attività che si svolge. Questo è il tema, perché è chiaro che non possono essere detratte spese che non c’entrano con l’attività.  In quel caso vedrei meglio concedere, secondo le categorie lavorative e libero-professionali, benefici ad hoc. È chiaro che se una persona fa il rappresentante, l’auto diventa il suo strumento diretto di lavoro. Francamente non vedo come la moto, salvo casi particolari — ad esempio chi fa consegne e lavora nel delivery — possa essere considerata allo stesso modo. In quel caso sì, gli facciamo anche l’esenzione completa della monofase.  Ma dall’altro lato, prevedere un beneficio che non è neanche così chiaro nella stesura, lascia spazio a sospetti che possa trattarsi di un esercizio fatto magari pensando a qualcuno e non all’interesse generale. 

Emanuele Santi (Rete): Quando vediamo e parliamo della prima impostazione, troviamo i lavoratori dipendenti e i frontalieri vessati. Dall’altra parte troviamo i lavoratori autonomi che si vedevano la possibilità di poter dedurre dall’imponibile anche il 50%, fino a diecimila euro, per l’acquisto di una moto. Questo, per noi, era un concetto che andava contro l’equità. La parte dei dipendenti è stata risolta; il sindacato ha portato gli emendamenti che riguardavano la loro categoria, ma su questa parte non siamo intervenuti.  Io credo che anche in maggioranza, leggere che si possa detrarre, tra i beni deducibili dell’impresa, fino al 50% di una moto per un massimo di diecimila euro, sia difficile da sostenere. Quello che chiediamo anche oggi è di rivedere questa impostazione, perché qui non si mette in dubbio il diritto di chi svolge un lavoro autonomo di poter dedurre o detrarre dalle proprie imposte i beni strumentali inerenti alla propria attività, ci mancherebbe.  Fra l’altro questo importo viene aumentato, perché mentre prima i beni strumentali erano fino a 258 euro, adesso salgono fino a un costo di 500. In commissione abbiamo chiesto: “Ma si tratta di auto e moto, o dell’uno o dell’altro?” In commissione ci era stato detto che erano entrambe le opzioni. Oggi, invece, è stato chiarito diversamente. Da come è stato scritto, e qui ha ragione il collega Troina, bisogna specificarlo meglio: se intendiamo l’una o l’altra, bisogna scriverlo in modo più chiaro nell’articolo 4 bis.  A mio avviso, questo articolo presenta ancora delle criticità molto gravi.

Antonella Mularoni (RF): Io avevo sollevato la questione della moto nel mio intervento. Sono contenta della rassicurazione data dal segretario Gatti e chiedo che, se non si vuole modificare il testo, almeno sia messo a verbale che l’autovettura e la moto siano alternative. Ognuno di noi può avere dubbi sul fatto che la moto possa essere considerata un vero bene strumentale, ma ognuno fa le proprie scelte: se una persona vuole andare tutto l’anno in moto invece che in auto, è libera di farlo. L’importante è che sia chiaro che sono alternative e non cumulabili.  Per quanto riguarda i beni strumentali, le chiederei un chiarimento. Se non sbaglio, fino ad oggi si poteva detrarre fino a 1.000 euro. Capisco che lei lo faccia per allargare la base imponibile, ma è anche vero che oggi è difficile trovare un computer buono sotto i 1.000 euro. Per un professionista, considerato che il computer è un bene strumentale fondamentale, ammortizzarlo in cinque anni può essere accettabile. Senza il computer, infatti, un professionista oggi non lavora. Quindi, visto che avete deciso di andare su questa strada — quando forse si potevano fare scelte più comprensibili —, almeno sia chiaro che, se il PC dura meno di cinque anni, uno possa acquistarne un altro.

Matteo Zeppa (Rete): In questi ultimi tre articoli in particolare si vede la miopia del segretario, che in realtà non è miopia: ci ha visto benissimo quando ha depositato il progetto di legge. Da una parte si sono vessati i lavoratori dipendenti, creando discriminazioni tra residenti e frontalieri. Sulla questione dei fringe benefit non ha risposto, evidentemente per scelta, quindi reitererò la domanda: ha calcolato che questa normativa fosse vessatoria nei rinnovi contrattuali?  Invece, dall’altra parte, si concedono facilitazioni ai lavoratori autonomi. Questo dimostra che la sua impostazione è stata quella di colpire i ceti medio-bassi, garantendo invece ampie tutele ai ceti alti, o comunque a chi dichiara in modo più opaco i propri redditi.  Come ha detto anche il collega Renzi, ci sono mestieri che, pur non essendo autonomi, come quello dell’insegnante, avrebbero bisogno di beni strumentali, perché sono una sorta di liberi professionisti dello Stato.  Lei, segretario, invece va a concedere vantaggi fiscali a chi vuole comprarsi una moto. Credo che, in questi ultimi tre articoli, sia ancora più evidente la spudoratezza con cui ha depositato quel progetto di legge, andando a colpire i ceti medio-bassi e a tutelare i più alti.  

Enrico Carattoni (RF): Prima di tutto, è stato ribadito più volte come ci siano state delle lamentele per una serie di deduzioni o detrazioni che sono state tolte. Penso, per esempio, alle spese veterinarie che prima c’erano e poi sono state eliminate. Oggi, però, al contrario, si amplia la possibilità di poter considerare come bene strumentale un bene come il motociclo.  Lei ha chiarito che la possibilità di poter intestare un bene da parte di un operatore economico sia alternativa. Il tema è che queste sono parole che rimangono qui dentro, parole che possono risultare vuote. Il tema, segretario, è che ciò che viene detto qui dentro non ha nessun valore rispetto all’applicazione di una norma che viene approvata. Tanto più non ha valore se proviene dal Governo, visto che poi chi deve approvare le norme è il Consiglio Grande e Generale.  Quindi si pone un tema applicativo e interpretativo.  Si dirà che questa è una questione marginale, perché nella peggiore delle ipotesi si permetterà a un contribuente di intestarsi come bene strumentale un bene in più, scaricarlo e pagare una monofase ridotta. Tuttavia, il tema è rilevante proprio in ragione del fatto che si è vissuta una riforma che, rispetto alla prima lettura, è stata stravolta. Probabilmente il testo potrebbe essere scritto meglio. Se c’è la possibilità, visto che ci sono le trentanove firme, i consiglieri disponibili e un contesto a lei estremamente favorevole da questo punto di vista, forse si può fare un chiarimento meno etereo di quello che lei ha fatto.

Segretario di Stato Marco Gatti: Intanto capisco che il tema fiscale è complesso e che, alle volte, può esserci un po’ di confusione. Si può parlare di contributi, ma qui siamo nella deducibilità di determinati costi in maniera diretta oppure per ammortamento. La “o” sta per “oppure”, quindi è una cosa o l’altra. In italiano è corretto, ed è stato verificato dagli studi legislativi.  Il primo elemento è che abbiamo abbassato la possibilità di dedurre interamente i beni strumentali nell’esercizio della professione quando sono al di sotto dei 500 euro, quindi non si va per ammortamento. Questo consente chiaramente un allargamento della base imponibile, perché si deve andare per quote di ammortamento.  Il fatto di poterne comprare un secondo bene non è precluso, perché esiste il principio dell’inerenza: ciò che io compro per la mia attività libero-professionale deve essere inerente. Per quanto riguarda l’autovettura, lo riconfermo, ma non perché sia un’interpretazione: la norma è scritta così. “O una sola autovettura o un solo motoveicolo” significa che il soggetto deve scegliere o l’una o l’altro. Qui, in realtà, c’è un vantaggio per l’amministrazione, perché se invece di acquistare un’auto da 50.000 euro si acquista una moto da 10.000, l’amministrazione ha un vantaggio in termini di base imponibile. Chiaramente, poi, non si può prendere entrambe: non si può prendere l’auto e la moto, perché non è consentito dedurre entrambe rispetto al proprio reddito. Riconfermo quindi che è un’alternativa, per questa ragione.  Sul discorso del fringe benefit, io ho già risposto. Ho detto che abbiamo cercato di introdurre strumenti analoghi a quelli presenti nel nostro Stato vicino, che è l’Italia. Lo Stato vicino ha introdotto il fringe benefit per i propri lavoratori alle stesse condizioni per le quali lo abbiamo introdotto noi, con gli stessi principi. Non è che qualcuno ce lo abbia imposto o suggerito: abbiamo semplicemente lavorato per cercare, ove possibile, di avere un regime di competitività equiparato a quello dello Stato italiano.

Articolo 12 – Modifiche all’articolo 30 della Legge n.166/2013 – Approvato con 33 voti favorevoli e 12 contrari

Segretario di Stato Marco Gatti: In questo articolo, sostanzialmente, siamo intervenuti su due aspetti. Il primo è il regime delle perdite. Le perdite precedentemente erano dedotte nella misura massima dell’80% nei tre periodi di imposta successivi. Abbiamo recuperato quello che è un principio, ormai un orientamento internazionale ampiamente diffuso in tutti i paesi, che la perdita deve essere recuperata per intero senza limite di tempo. Però, in questo caso, abbiamo previsto un limite massimo su base annua: tu puoi recuperare fino al 70% dell’imposta che mi devi pagare; il resto me lo paghi nell’anno e la restante perdita la recuperi negli anni successivi. Quindi il 30% del versamento dell’imposta deve essere sempre garantito allo Stato.  L’altro elemento su cui siamo intervenuti è legato alle operazioni con parti correlate, il cosiddetto transfer pricing. Nell’applicazione delle normative che tendono a eliminare le doppie posizioni tra Stati, vi è anche il fattore che quando un soggetto si trova a operare con parti collegate che si trovano nell’altro Stato, può nascere un contenzioso tra Stati. Con questo articolo abbiamo creato le condizioni per riuscire a definire quella che può essere la base imponibile e quindi anche preconcordarlo prima con i soggetti, oppure riconoscere, qualora l’altro Stato faccia un accertamento in questo senso, quella che può essere un’imposta da dover recuperare nel nostro Stato o viceversa. 

Emanuele Santi (Rete): Questo articolo è peggiorativo. Fino a oggi le imprese che erano in perdita potevano scalare per un limite di tempo; cioè l’impresa comunque doveva pagare l’80% delle tasse l’anno dopo, per capirci. Adesso andiamo ad agevolarle e consentiamo di pagare non più l’80% di quello dovuto ma il 70%. Questo, a mio avviso, è un articolo soprattutto per il nostro sistema; oggi — nel 2023 — abbiamo 1.557 imprese che dichiarano sotto zero, dichiarano perdite.  Allora, se noi abbiamo un terzo delle imprese a San Marino che non dichiarano o dichiarano in perdita, una riflessione bisogna farla. Qui bisognerebbe fare un discorso diverso. In primo luogo capire come mai 1.557 imprese nel 2023 hanno dichiarato zero o redditi negativi: questa è la prima domanda. E qui si apre il tema dei controlli. Il secondo aspetto è sull’opportunità che queste imprese che dichiarano redditi negativi possano poi recuperare una quota, in questo caso superiore, negli anni dopo.  Questa è una situazione che andrebbe analizzata in maniera più approfondita. Quello che poteva sembrare un emendamento migliorativo, in realtà è una diminuzione della base imponibile, perché si dà la possibilità a queste imprese che hanno redditi zero l’anno dopo di scalare una percentuale più alta e quindi di pagare l’imposta anziché sull’80% del loro reddito sul 70.

Gaetano Troina (D-ML): Intervengo in coda confermando la correttezza delle osservazioni svolte dal collega Santi, nel senso che anche in commissione abbiamo dibattuto su questo tema. Prima di tutto, ovviamente, questa facoltà che viene concessa agli operatori che hanno un periodo di imposta in perdita è sicuramente doverosa, ma, allo stesso tempo, richiede un’implementazione dei controlli e della documentazione della perdita, proprio perché altrimenti vi è il rischio che si verifichino distorsioni.  Tra l’altro, sempre in commissione avevo evidenziato il tema delle società in liquidazione, perché ci sono tantissime società che sono in liquidazione da tempo ormai memorabile nel nostro sistema e che non rispettano nemmeno i termini previsti per lo svolgimento delle attività di liquidazione. Anzi, talvolta mi è persino capitato di imbattermi in società in liquidazione che svolgono un’attività, e questo ovviamente non è accettabile.  Quindi ribadisco anche in questa sede che, sul tema delle perdite e sul tema delle società in liquidazione, occorre svolgere un lavoro di controllo e soprattutto aumentare il rigore nell’applicazione delle disposizioni di legge. Altrimenti, nonostante la consapevolezza delle distorsioni, il fatto di tollerare che questo continui ad avvenire disincentiva coloro che le regole invece le rispettano. Siccome sappiamo che queste criticità esistono e le abbiamo segnalate in più sedi, chiediamo che vengano trovate soluzioni. Siamo a disposizione, come sempre, in maniera responsabile per lavorarci insieme per far sì che, se davvero si vuole raggiungere l’equità, come dice l’articolo 1 di questa legge, lo si possa fare seriamente e su tutti i fronti.

Nicola Renzi (RF): È chiaro che gli articoli che hanno subito i maggiori cambiamenti e le maggiori modifiche, sono gli articoli che sono stati attenzionati maggiormente dalle forze sindacali. A un certo punto, la forza dirompente dei due scioperi così partecipati ha fatto sì che il più grande potere contrattuale sia stato in capo ai sindacati. Questo non è né un fatto negativo né positivo: è un dato di fatto. Questo ha comportato che la maggior parte del confronto si sia poi incardinata su quelle tematiche di maggiore interesse per le forze sindacali, quindi il lavoro dipendente, l’applicazione della SMAC, la tracciabilità, la trasformazione dalla deduzione alla detrazione, il tema dei frontalieri e così via.  C’è però tutta un’altra parte della riforma, quella che riguarda le aziende ma anche i liberi professionisti, che è rimasta praticamente meno toccata, sullo sfondo, e più o meno come era stata concepita all’inizio. Se una riforma fiscale vuole essere equa, deve guardare gli interessi di tutti, o meglio, deve guardare alle tasche di tutti.  Questo è un tema che ci deve riguardare, se non altro per riuscire a capire fino in fondo il nostro sistema produttivo.  Un interrogativo, almeno, ce lo dobbiamo porre. E questo lo possiamo fare solo avendo i dati, e, soprattutto, avendo la volontà di interpretarli.  A mio avviso, questa è una delle cose che purtroppo, all’interno della riforma, è mancata. È mancata, e ce lo ricordano anche gli interventi esterni. Io, ad esempio, ho salutato con grande attenzione il comunicato dell’Ordine dei Commercialisti, perché non mi è sembrato affatto una difesa corporativa, ma la volontà di dare un contributo serio e fattivo alla riforma.

Segretario di Stato Marco Gatti: Qui stiamo parlando di soggetti che hanno conseguito una perdita. Condivido il fatto che tutti i redditi vadano controllati, non solo quelli in perdita, perché non è detto che chi è in utile non possa, a sua volta, aver sottratto parte della base imponibile. Quindi il controllo deve essere portato avanti su tutte le imprese. È vero che abbiamo un fenomeno significativo di soggetti in perdita. È anche vero che oggi, ad esempio, abbiamo esaminato una delibera del Congresso di Stato e in quella delibera c’erano quasi una quarantina di società in liquidazione d’ufficio. Questo fa pensare che ci siano molte società che probabilmente non sono neanche mai partite, che sono state costituite ma non operative, e che quindi falsano quel dato.  Tanto è vero che oggi ci siamo detti che bisogna lavorare per capire esattamente quali sono le società operative che effettivamente si trovano in quel regime, perché altrimenti rischiamo di fare valutazioni di impatto su soggetti che hanno costituito la società ma non si sono mai avviati nell’operatività vera e propria.  In questo caso, noi non facciamo nessun regalo a nessuno. Riconosciamo semplicemente che, se un’impresa ha avuto una perdita, e quella dichiarazione viene controllata al pari delle altre, allora ha la possibilità di recuperarla dagli utili fiscali degli anni successivi. Se non ha utili fiscali, chiaramente non recupera nulla finché non li realizza.  Lo Stato, però, si è voluto garantire comunque un gettito minimo rispetto all’utile conseguito. Quindi non facciamo un regalo, ma credo che sia una misura giusta da introdurre, perché in un momento in cui gli Stati competono tra loro, bisogna avere normative almeno allineate, altrimenti si perde competitività fiscale e anche civile.

Articolo 13 – Introduzione dell’articolo 33-bis alla Legge n.166/2013 e successive modifiche – Approvato con 32 voti favorevoli, 11 contrari, 1 astenuto

Articolo 14 – Modifica dell’articolo 37 della Legge n.166/2013 – Approvato con 32 voti favorevoli, 10 contrari, 1 astenuto

Articolo 15 – Modifica dell’articolo 38 della Legge n.166/2013 Approvato con 33 voti favorevoli, 10 contrari, 1 astenuto

Segretario di Stato Marco Gatti: In questo articolo, sostanzialmente, abbiamo eliminato una parte che limitava la deducibilità del credito non recuperabile, riferito all’apertura delle procedure concorsuali, esclusivamente all’esercizio di apertura della procedura o a quello successivo. Questo perché, alle volte, succede che l’operatore ne venga a conoscenza anche in ritardo, quindi oltre al danno subisce anche la beffa.  Nel nostro ordinamento, e credo che sia anche un punto di forza, ci si può insinuare entro novanta giorni. Tutto ciò che viene insinuato oltre i novanta giorni non è ammesso e non esiste la possibilità di ammissione tardiva al concorso. Quindi, già lì, si perde la possibilità di recuperare quel credito, di essere ammessi all’eventuale riparto dell’attivo. In più ci sarebbe anche la beffa, perché se non l’hai dedotto in quel periodo, addirittura non puoi neanche andarlo a dedurre come costo, e quindi hai perso il credito sostanzialmente due volte.  Abbiamo dunque previsto che, nel momento in cui c’è l’apertura del concorso, quel credito diventa deducibile anche se te ne accorgi dopo, a maggior ragione se non ti sei ammesso al concorso.

Emanuele Santi (Rete): Anche questo articolo, a nostro avviso, contiene criticità. È vero quello che dice il segretario Gatti: sotto quell’aspetto sicuramente può essere migliorativo, perché quando parliamo di perdite su crediti significa che un’azienda non viene pagata, poi magari non riesce a insinuarsi nel passivo oppure deve spendere un sacco di soldi e non recupera niente. Però dobbiamo anche considerare che siccome spesso nelle maglie di queste perdite su crediti si possono generare situazioni particolari, qualcuno potrebbe sfruttarle per effetti distorsivi. Mi spiego meglio: dire che dopo sei mesi che non recuperi un credito fino a 2.500 euro questo sia comunque inesigibile e recuperabile, e che tu lo possa dedurre dalla dichiarazione dei redditi dell’impresa, credo che non sia un importo da poco.  Abbiamo detto nel dibattito in commissione che, a nostro avviso, questo parametro dovrebbe essere commisurato al fatturato. A nostro avviso questo articolo, così com’è, si presta sì ad affrontare una parte del problema, ma non l’altra, e soprattutto non lo risolve.  Un articolo che va nella direzione giusta, ma a nostro avviso bisognerebbe mettere un limite di deducibilità anche fino a 2.500 euro, rapportato però a una percentuale del fatturato.  A nostro avviso, come abbiamo detto in commissione, questo può prestarsi a fenomeni distorsivi o elusivi. Quindi l’articolo va scritto meglio e rivisto nell’ottica di risolvere i problemi reali di chi lavora nel settore

Nicola Renzi (RF): Dal dibattito emerge chiaramente che stiamo un po’ ripetendo quanto ci siamo già detti in commissione, dove era già emerso che è rimasto escluso tutto un altro pezzo della riforma, quello che riguarda le aziende.  Forse avremmo dovuto affrontarlo in maniera diversa. Abbiamo parlato tanto della funzionalità dell’ufficio, della necessità di dare all’Ufficio Tributario le risorse e la professionalizzazione necessarie.  Professionalizzazione che si può ottenere solo attraverso periodi di affiancamento e di vero e proprio apprendistato, per un lavoro così delicato come quello degli accertamenti. Mi piacerebbe sapere se all’interno della maggioranza si sia fatta una riflessione su tutti questi articoli che riguardano il mondo aziendale.  Quello che mi sarebbe piaciuto, invece, sarebbe stato davvero un momento di approfondimento su tutti questi articoli di modifica all’IGR, quelli che riguardano le aziende, per capire se il combinato disposto di queste misure fosse davvero in grado di rendere più facile il pagamento doveroso delle imposte e non, invece, qualcosa che aggiunge farraginosità.  Credo che, prima di affrontare temi così delicati, ci si debba fermare un attimo e guardare qual è oggi lo stato dell’arte.

Gaetano Troina (D-ML): Collego questo intervento a quello precedente che ho fatto sul tema delle liquidazioni, rivolgendomi in questo caso invece al tema delle procedure concorsuali, perché anche qui si possono verificare una serie di casistiche particolari che caratterizzano ogni singola procedura.  Quindi, anche il richiedere all’Ufficio di svolgere attività di verifica su quanto è dichiarato o richiesto, in questo caso in deduzione da società sottoposta a procedura concorsuale, è indubbiamente un lavoro considerevole. Mi rendo conto che è complicato rispetto a una società che è in bonis, proprio perché spesso la documentazione in possesso del procuratore del giudiziale concorso può essere lacunosa.  Anche la possibilità di verificare se i crediti iscritti in bilancio effettivamente esistano può risultare complessa. Di conseguenza, il procuratore si trova nella difficoltà di capire chi effettivamente possa essere considerato creditore e, quindi, a sua volta, se abbia titolo per chiedere la deduzione dalla dichiarazione dei redditi.  Anche su questo mi sento di chiedere di valutare modalità nuove, da concordare ovviamente con il Tribunale, poiché queste procedure sono seguite dal Tribunale. L’obiettivo è far sì che tutte le distorsioni che oggi obiettivamente emergono, e le problematiche note ai tanti professionisti che svolgono il ruolo di liquidatore d’ufficio o di procuratore del giudizio del concorso dei creditori di società, possano finalmente trovare soluzione.  Altrimenti è comprensibile perché tanti professionisti non diano più la disponibilità a ricoprire questi ruoli, proprio perché rischiano di diventare eccessivamente onerosi e problematici, rispetto al tempo che viene sottratto al lavoro ordinario. 

Segretario di Stato Marco Gatti: Sicuramente, qui il limite è dettato solo dalla limitatezza rispetto a quanto lei ha evidenziato. Effettivamente un procuratore del concorso si trova con una mancanza di libri sociali, non riesce neanche a comunicare a tutti i soggetti che potrebbero vantare un credito, e questi, quando scoprono che la società è decotta, sono fuori dai limiti e quindi si trovano a subire un doppio danno.  Il limite dei 2.500 euro, che è un limite già presente nell’attuale normativa, è dettato dal fatto che, sopra quella soglia, si può agire legalmente perché vi può essere un ritorno in termini di recupero possibile. Sotto i 2.500 euro, invece, è completamente antieconomico e conviene assolutamente dedurla come perdita, piuttosto che passare per le vie legali, che comporterebbero solo ulteriori costi. 

Articolo 16 – Modifica dell’articolo 46 della Legge n.166/2013 e successive modifiche – Approvato con 32 voti favorevoli, 10 contrari e 1 astenuto

Articolo 17 – Modifiche all’articolo 50 della Legge n.166/2013 – Articolo approvato con 32 voti favorevoli e 9 contrari

Segretario di Stato Marco Gatti: In questo articolo abbiamo aggiunto il limite temporale entro il quale si può fare l’interpello di disapplicazione, fissandolo al 31 marzo, perché prima, non essendoci un limite, venivano presentati anche in corso d’anno. Abbiamo dunque dato un range temporale definito per presentare l’interpello.  È stato poi aggiunto il comma 4 bis, perché prima, per le persone giuridiche, non vi erano limiti alla detrazione della base imponibile per quanto riguarda i costi relativi ai veicoli o agli autoveicoli. Abbiamo introdotto, quindi, in coerenza con quanto fatto per le imprese e per le persone fisiche, i medesimi limiti.

Emanuele Santi (Rete): Qui c’è la possibilità per un contribuente di chiedere all’Ufficio Tributario di disapplicare le deducibilità dei costi che avevamo visto prima. E questo comincia a essere un problema. Mentre prima parlavamo delle società di persone, qui si parla invece delle società di capitali, quindi dei limiti di deducibilità. Le società, all’inizio dell’anno, non sanno se possono dedurre o detrarre le varie spese e in quale percentuale. Devono attendere e, entro il 31 marzo del periodo fiscale successivo, chiedere la disapplicazione.  Questo crea una discrezionalità enorme in capo all’Ufficio Tributario.  Non ci prendiamo in giro, per favore, segretario Gatti. Qui lei dà la possibilità a una società di usare come bene strumentale sia l’auto, per 50.000 euro, sia la moto, per 10.000 euro. Quindi si va nell’ottica di recuperare base imponibile, aggiungendo la possibilità di dedurre altri 10.000 euro per la moto.  In questo articolo ci sono due problemi seri. Il primo è la discrezionalità dell’Ufficio Tributario, che è inconcepibile. Perché, se voi pensate che basti sistemare cinque articoli portati dai sindacati per dire che la riforma è a posto, vi sbagliate. Ci sono altri venti articoli che vanno nella direzione contraria all’equità e allo Stato di diritto.  Qui si va contro. Da una parte, c’è la discrezionalità dell’Ufficio Tributario, che può disapplicare una norma e dare più o meno percentuale di deducibilità dei costi. Dall’altra, c’è la possibilità di dedurre sia la moto che l’auto, fino a 50.000 euro per l’auto e 10.000 per il motoveicolo.  

Nicola Renzi (RF): Noi non veniamo qui a fare ostruzionismo su questa cosa. Abbiamo un tono pacato, perché l’abbiamo capito tutti: se fossimo intervenuti in sedici su ogni articolo, saremmo ancora all’articolo 3. Però un po’ di rispetto lo pretendiamo, visto che avete fatto gli incontri con chi volevate.  Ci dispiace che abbiate migliorato solo alcuni articoli e che tutta un’altra parte sia rimasta completamente fuori, quella parte sulla quale forse neanche la maggioranza si è focalizzata. Queste sono norme che, quando si parla di equità, non sono secondarie. Certo, pesano meno in termini di impatto economico, ma in linea di principio non sono affatto secondarie rispetto alle altre.  Va bene che in Aula c’è un clima nel quale tutti, sostanzialmente, se ne fregano. Ma invece di festeggiare per il risultato ottenuto — che, francamente, non mi sembra un gran risultato —, forse ci si potrebbe anche mettere un po’ più di attenzione.  Vorrei però dire un’altra cosa, sulla quale il mio pensiero diverge un po’ da quello del consigliere Santi: riguarda il tema delle autonomie, o meglio, della discrezionalità dell’Ufficio Tributario. L’ho già detto in altre circostanze: io sono favorevole a un Ufficio Tributario che possa esercitare discrezionalità. Ma allora, lì, deve esserci accountability, deve esserci il riconoscimento e la validazione di questa discrezionalità.

Gaetano Troina (D-ML): Parto anche io dal tema dei beni strumentali, perché penso che sia rilevante. È vero: questa è una disposizione che riguarda solo le società.  Ma proprio perché è diverso, io trovo paradossale che sia così. Se da un lato un lavoratore autonomo o un libero professionista fa un utilizzo promiscuo dei veicoli, non si può dire altrettanto dei veicoli utilizzati da una società.  I veicoli intestati a una società, almeno dal mio punto di vista, dovrebbero essere utilizzati esclusivamente per l’attività della società. Quindi, come si spiega che nel caso della società si possa sommare l’autovettura e la moto, e nel caso del professionista no? Dovrebbe essere esattamente il contrario, semmai.  Forse, ragioniamoci: ci sono delle distorsioni nell’utilizzo di questi veicoli da parte di chi ne ha la disponibilità? Perché viene da interrogarsi su questo. Qual è stata l’esigenza che ha spinto il Governo a introdurre la possibilità di dedurre le moto per le società? Qual è la richiesta concreta che arriva dal mondo delle imprese o dalla società civile per prevedere questa cosa?  Sul tema della discrezionalità, condivido quanto detto dal collega Renzi: in alcuni casi, un po’ di discrezionalità può esserci, ma la discrezionalità non deve diventare arbitrarietà.  Per esempio, non è previsto in questo articolo che il diniego da parte dell’Ufficio debba essere adeguatamente motivato. Questo potrebbe essere un miglioramento da inserire, ma tanto tutte le proposte che vi abbiamo fatto  non le state ascoltando.

Matteo Casali (RF): Riprendo il tema già affrontato negli interventi che mi hanno preceduto, relativo alla disapplicazione: prima per quel che riguardava le persone fisiche, ora per quel che riguarda le società.  L’Ufficio Tributario ha la possibilità di disapplicare, su richiesta, la norma. Un dialogo tra un richiedente e un ufficio, in particolare quando si tratta di disapplicare una norma, non è e non può essere un dialogo uno a uno, in cui c’è qualcuno che chiede e qualcuno che risponde.  Occorre un’evidenza rispetto a questo procedimento amministrativo. Un vulnus evidente di questa impostazione è proprio che questa evidenza non è prevista e non è minimamente normata.  Il consigliere Troina diceva che sarebbe opportuno, ad esempio, evidenziare che un diniego debba essere motivato. Io aggiungo che sarebbe opportuno che la richiesta di disapplicazione avesse un’evidenza pubblica, sia rispetto a ciò che viene chiesto, sia rispetto all’esito del procedimento amministrativo, che può essere positivo o negativo.  Chiamiamola accountability, chiamiamola evidenza pubblica: ciò che conta è che la domanda di disapplicazione e il suo esito siano conoscibili. Ripeto: il dialogo fra un privato che chiede la disapplicazione di una norma e l’Ufficio non è e non può essere un dialogo uno a uno. È sempre un dialogo uno a tutti, e “tutti” sono gli altri portatori di interesse che, anche se non hanno esplicitamente formulato quel quesito, possono trarre conseguenze dall’esito di quella richiesta.  

Sara Conti (RF): Aggiungo a quanto già detto che il problema potrebbe anche non essere la discrezionalità in sé del funzionario pubblico, che certamente svolge il proprio ruolo nel rispetto delle funzioni e delle regole.  Il problema, quando si dà una discrezionalità così vaga, senza fissare parametri ben precisi che possano essere intellegibili e valutabili anche successivamente, è che sia proprio la politica a metterci lo zampino, con il Segretario di Stato di turno che potrebbe far leva sulla propria discrezionalità.  E questo è ciò che non dobbiamo creare: non dobbiamo lasciare nessuna zona grigia nella quale possa verificarsi una situazione del genere.  Noi lo abbiamo detto molte volte: è vero che ci sono procedure e leggi di altri Paesi che possono essere utili e applicabili anche nel nostro Stato. Ma ce ne sono altre che, in un microstato come il nostro, potrebbero non funzionare bene come in uno Stato medio o grande.  È inutile nascondersi dietro una foglia di fico: sappiamo molto bene come funzionano certi ambiti della politica e quanto facilmente si possano insinuare, mettendo anche in difficoltà i funzionari pubblici.  Questo non lo dovremmo voler permettere. Proprio per rendere l’amministrazione più trasparente e per far sì che tutte le regole siano applicate senza discrezionalità, ma seguendo parametri ben delineati, precisi e validi per tutti.  Mi sembra molto semplice: è ciò che stiamo cercando di far passare anche in questo dibattito, ma evidentemente non interessa, perché l’obiettivo sembra essere quello di finire prima possibile. Mi sembra che l’atteggiamento della maggioranza sia questo.

Matteo Zeppa (Rete): Non solo io avevo notato il fatto che il Segretario paragona San Marino all’Italia, ritenendo che ciò che è previsto nella legge fiscale italiana possa essere facilmente trasportato nella legge sammarinese.  Peccato che, di là, il plafond dei contribuenti sia di sessanta milioni, mentre qui parliamo di qualche migliaio. Segretario, vorrei farla riflettere su un articolo del Sole 24 Ore. In quell’articolo, parlando delle detrazioni nella legge fiscale italiana relative alle società, si legge che i costi relativi ai veicoli aziendali e l’IVA sono deducibili al 100%, ovviamente a determinate condizioni. Questo vale per autocarri o comunque autoveicoli ad uso esclusivamente aziendale, come nel caso dei tassisti o delle società di noleggio. Poi si scende all’80% per gli agenti di commercio, cioè persone che effettivamente lavorano con le auto.  Per quanto riguarda i ciclomotori, la deducibilità dei costi vale solo se il motociclo è strumentale allo svolgimento dell’attività, non utilizzato per fini personali. Quindi vale, ad esempio, per gli Express o per i noleggiatori.  Facendo passare il messaggio “se lo fa l’Italia, lo facciamo anche noi”, si dimentica che il problema della fiscalità italiana è evidente: è notizia quotidiana che emergano casi di soggetti formalmente nullatenenti che in realtà possiedono auto di grande valore.  Prendere quindi l’Italia come esempio e cercare di trasportare quella legge nella realtà sammarinese significa, mi permetta, arrivare alla canna del gas.  Se l’indirizzo che voi, come maggioranza oggi molto silente, volete dare è quello di consentire alle società di avere in detrazione sia un’autovettura che una moto, ne prendiamo atto, perché così è scritto. Non mi si venga a dire che è un’interpretazione: c’è scritto chiaramente.  

Segretario di Stato Marco Gatti: Intanto partiamo dalla normativa attuale vigente, perché si fanno grandi ragionamenti ma spesso non si sa qual è la situazione oggi.  Come ha fatto notare qualcuno, qui siamo nell’ambito delle persone giuridiche. Bene, oggi le persone giuridiche cosa possono detrarre? Possono detrarre sia l’auto che la moto, nell’ambito dell’inerenza.  “Inerenza” significa che detrai un’auto se, per esempio, serve all’amministratore, o se serve a un dirigente. Ma non va bene se serve a un familiare. Quindi deve esserci un’effettiva attinenza tra il bene e l’attività.  Oggi, però, non esiste alcun limite. Se io compro un’auto da 100.000 euro, la detraggo interamente. Se compro una moto da 60.000 euro, la detraggo interamente, purché ci sia l’inerenza del soggetto.  Con questo articolo abbiamo introdotto, invece, un tetto massimo. Poiché una società persona giuridica può avere un solo amministratore ma anche dieci dirigenti, perché può trattarsi di una struttura organizzata con centinaia di dipendenti, è normale che possa necessitare di più auto di rappresentanza. In tal caso, l’Ufficio Tributario valuta l’inerenza.  Oggi, però, introduciamo un limite.  Dunque, ti deduci fino a quel limite; tutto ciò che eccede lo recuperi fiscalmente e ci paghi le tasse. Rispetto a oggi, è un notevole passo avanti.

Articolo 18 – Modifica dell’articolo 54 della Legge n.166/2013 e successive modifiche – Approvato con 33 voti favorevoli

Articolo 19 – Modifica dell’articolo 55 della Legge n.166/2013 – Approvato con 33 voti favorevoli

Articolo 20 – Modifica dell’articolo 60-bis della Legge n.166/2013 – Approvato con 46 voti favorevoli

Segretario di Stato Marco Gatti: Il comma 2-bis dell’articolo 60-bis della legge n. 166/2013 è così modificato: «2-bis. Le donazioni o liberalità a favore della Chiesa Cattolica, di associazioni o enti con finalità culturali, sociali, umanitarie, ricreative e sportive, non aventi scopo di lucro, sono deducibili in misura non superiore a euro 1.600.»  Qui, rispetto al testo approvato in Commissione, è stato tolto il requisito della residenza in territorio.

Gaetano Troina (D-ML): Su questo articolo è doveroso un intervento.  Mi ricordo molto bene che, quando il sottoscritto evidenziò in Commissione l’assurdità di quella limitazione, ci venne risposto come se fossimo dei mentecatti. Ci fu detto che tanto, se uno le donazioni le vuole fare, le fa comunque, e che si trattava solo di un beneficio marginale, per cui non rilevava se l’associazione fosse o meno residente in territorio.  Ebbene, evidentemente dei mentecatti non eravamo, perché oggi vediamo che siete tornati sui vostri passi. Non sono bastate le nostre osservazioni e richieste in Commissione: è dovuto evidentemente intervenire qualcuno “dall’alto” per farvi capire che disincentivare le donazioni benefiche era una scelta sbagliata.  Tantissimi sammarinesi, ogni anno, versano somme considerevoli in favore di associazioni di grandissima importanza, che offrono un aiuto concreto in situazioni spesso disperate.  In Commissione vi avevamo fatto presente che questa misura non avrebbe inciso in maniera significativa sul bilancio complessivo della riforma, ma che avrebbe certamente creato malcontento e un messaggio negativo.  Non ci avete ascoltato, siete andati avanti.  Oggi, guarda caso, è cambiato tutto: siete tornati indietro su tutta la linea.  Anche su questo, chiediamo al Segretario e alla maggioranza di spiegarci quali siano state le motivazioni che vi hanno convinto a tornare sui vostri passi.  Sarei davvero curioso di saperlo, perché vi dico sinceramente che in Commissione ci sono rimasto male.

Sara Conti (RF): Questo era uno degli articoli che gridavano vendetta, perché presentava una ratio che non era in alcun modo condivisibile.  In Commissione abbiamo cercato in tutti i modi di creare un confronto su questo punto, di ottenere una condivisione almeno da parte dei commissari di maggioranza. Ci è stato risposto con grande sufficienza che non era necessario rendere deducibili le donazioni, e che sarebbe bastato farle comunque.  Se questo era il pensiero condiviso dalla maggioranza, ora però devono spiegarci che cosa li ha fatti cambiare idea, dopo che anche le organizzazioni sindacali avranno ribadito le stesse motivazioni che noi avevamo già portato in aula.  Era davvero vergognoso, inqualificabile, introdurre un articolo che prevedeva la deducibilità delle donazioni solo se fatte a enti residenti in territorio o alla Chiesa Cattolica. Non era in nessun modo accettabile. Questo per rimarcare, ancora una volta, che tutti i grandi discorsi fatti durante il dibattito generale sono stati, perlopiù, grandi panzane. Rimanendo nel merito, siamo soddisfatti che si sia arrivati a una stesura di questo tipo, ma non possiamo non ricordare come sono andate le cose.  Bastava un po’ di buon senso, quello che tutti noi, qui dentro, dovremmo avere più spesso.

Matteo Casali (RF): Io ritengo che questo articolo sia uno di quei landmark che chiariscono inequivocabilmente il motivo per cui abbiamo considerato il vostro progetto di legge inemendabile.  Ho notato molto scandalo rispetto a questa nostra presa di posizione. Ma “emendare” significa liberare da imperfezioni o difetti mediante modificazioni o correzioni. Vi rendete conto che il senso della norma è completamente opposto a quello portato in prima lettura? Non parliamo di piccole correzioni: parliamo di un’inversione totale di significato. Abbiamo visto una legge che non è stata emendata, ma riscritta, con un senso completamente diverso rispetto al testo originario. Non ci sono state modifiche o correzioni, ma un ribaltamento totale.  Credo che articoli come questo chiariscano bene il senso della nostra posizione e la legittimino. Non si può non notare che il significato di ciò che approviamo oggi è completamente opposto a quello degli intendimenti originari del Governo.  Questo “scandalo” per cui i sindacati vi avrebbero dimostrato che la legge era emendabile è una lettura distorta: i sindacati non l’hanno emendata, ve l’hanno riscritta. I sindacati vi hanno fatto i compiti che voi non siete stati in grado di fare. Non so quale fosse la logica di voler restringere la deducibilità alle sole donazioni interne: forse si pensava che, in questo modo, si potesse allargare la base imponibile e recuperare qualcosa. Sarebbe stato un provvedimento autarchico persino nella beneficenza.  Bene, dunque, che questa situazione sia cambiata. Ma questo articolo è la cartina di tornasole del lavoro che avete dovuto rimediare e della reale inemendabilità del provvedimento, che è stato infatti sconvolto in seconda lettura.

Mirko Dolcini (D-ML): Nella sua prima versione iniziale, erano possibili donazioni o liberalità a favore della Chiesa Cattolica, ma non verso associazioni o enti che non fossero residenti in territorio.  Eppure la Chiesa Cattolica non è un ente residente in territorio. E allora mi chiedo: perché la Chiesa Cattolica sì e le associazioni o enti non residenti in territorio no? È già abbastanza evidente, da questo, la matrice politica da cui proveniva la natura di questo articolo. E poi c’è un’altra questione. Immaginate un frontaliere che vive a Rimini: magari sotto casa ha una Caritas riminese, ma non può fare beneficenza alla Caritas riminese ed è costretto, per avere un’agevolazione, a farla a San Marino. Anche questo è un principio che cozza con l’equità, con la parità tra frontaliere e residente. È evidente che si trattava di un principio discriminatorio.  E allora mi chiedo: perché si accusa sempre l’opposizione di fare muro? È proprio il contrario: non è l’opposizione che è sempre in contrasto con il Governo o con la maggioranza, ma è il Governo che è sempre in contrasto con l’opposizione, a prescindere da ciò che essa dica.  Perché, altrimenti, sarebbe stato evidente la sperequazione con la Chiesa Cattolica e la discriminazione verso i frontalieri. L’avete capito solo quando ve l’hanno fatto notare i sindacati. L’avete capito anche prima, ma ai sindacati si può dare ascolto, all’opposizione no.

Antonella Mularoni (RF): In primo luogo trovo molto poco rispettoso nei confronti di quest’Aula il fatto che la richiesta avanzata dal collega Troina non abbia ancora trovato una risposta.  Ha chiesto di sapere per quale ragione, dopo il muro contro muro che avevate opposto in Commissione, ora avete cambiato il testo nella direzione da noi auspicata.  Il Governo non ha detto nulla. Ci aspettavamo che almeno un consigliere di maggioranza spiegasse quale sia stata la ragione della modifica.  Questo articolo, e quindi questo emendamento, è molto importante. È vero, come dice il Segretario Gatti, che ciascuno coi propri soldi può fare beneficenza a chi vuole e che lo Stato non è obbligato a tenerne conto, ma la vostra proposta di modifica era una proposta che guardava al passato, non al futuro.  È triste pensare che lo abbiate modificato verosimilmente solo perché ve lo hanno chiesto i sindacati, con riferimento ai frontalieri, senza pensare che molti sammarinesi fanno donazioni a favore di organizzazioni come Emergency, Save the Children, Amnesty International, Medici Senza Frontiere.   La vostra scelta era dunque una scelta perdente, rivolta al passato, e non teneva conto neppure dei sammarinesi residenti in Repubblica. Mi spiace moltissimo che questa totale mancanza di sensibilità sia stata manifestata, e che abbiate modificato l’articolo solo perché ve lo hanno chiesto i sindacati.  Fra l’altro mi sembra che già la legge del 1984 prevedesse tre milioni di lire come quota di deduzione annua. Qui siamo ancora fermi a 1.500 euro da molti anni: sono quarant’anni che la somma è rimasta invariata.  Se il nostro Stato vuole dimostrare sensibilità, come fanno altri Paesi, l’approccio del Segretario avrebbe dovuto essere diverso sin dall’inizio.  

Michela Pelliccioni (indipendente):  Intervengo su questo articolo perché ha una grande importanza.  Ci mostra come un errore di metodo — in questo caso lampante — derivi da una iniziale incapacità di confronto.  Perché dico questo? Perché l’articolo va ragionato non solo in termini di libertà del cittadino di compiere una liberalità verso chiunque, ma anche in termini di beneficio diretto per lo Stato.  Tutti sappiamo quanto la Chiesa Cattolica, le associazioni, gli enti e tutte le organizzazioni non profit diano un supporto fondamentale laddove lo Stato non arriva, per limiti operativi o economici.  Bisogna tenere conto di quanto il limite territoriale possa impedire di sostenere attività private che offrono servizi sociali di cui i cittadini hanno bisogno.  Faccio un esempio pratico, per essere chiaro: l’oncologia pediatrica. In Repubblica i casi sono pochi e ciò non permette di creare strutture parastatali o private di supporto alle famiglie che si trovano fuori territorio a dover affrontare necessità psicologiche, familiari e organizzative.  Queste esigenze vengono spesso soddisfatte da enti e associazioni private, italiane o internazionali. Ecco perché, a mio parere, l’impostazione iniziale non aveva logica.  Forse proprio in un confronto più aperto con le parti sindacali, e ascoltando anche l’opposizione in Commissione, si sarebbe potuto evitare questo errore.  

Nicola Renzi (RF): Qualcuno mi ha fatto pensare a quanto sia folle immaginare che, ad esempio, la ricerca scientifica, medicale e sanitaria possa avere i suoi confini nella Repubblica di San Marino, o nella Repubblica Italiana, o da un’altra parte. Alla fine l’ho capito abbastanza rapidamente: la ricerca non ha confini e se tu dai un contributo di deducibilità a qualcuno che dona fuori da San Marino, quella piccola goccia nel mare va per tutti, va per il mondo. E questa autarchia della beneficenza sanmarinese, come giustamente l’ha battezzata il consigliere Casali, è veramente ridicola solo a pensarla. Ma qui che cosa è successo? È successo che noi siamo venuti in commissione perché ci dite sempre: “Ma l’opposizione cosa ha fatto? L’opposizione non fa proposte, non fa niente.” Noi almeno, in quel caso, ci siamo alzati e vi abbiamo detto: “Vi prego, ripensateci, toglietela questa cosa, toglietela.” La proposta ve l’abbiamo fatta molto chiara: toglietela. Io ricordo interventi che si sono sperticati in commissione per sostenere invece questa cosa come la difesa della sanmarinesità. Io me li ricordo, e francamente mi chiedo come sia possibile votare prima una cosa e poi il suo contrario, semplicemente perché nel mezzo è passato Merlini.

Emanuele Santi (Rete): Noi abbiamo chiesto alla maggioranza: mettetevi una mano sulla coscienza. Un articolo così, che è veramente disgustoso, avete solo una chance: lo bocciate già in commissione. Adesso anche io mi chiedo cosa è successo. Sarà possibile discriminare un ente benefico se è in Italia o a San Marino? Avevate un mezzo molto semplice: c’era l’articolo che andava a modificare lo status quo attuale, si bocciava e questa discussione era chiusa. Perché discriminare gli enti benefici? Se un ente è a San Marino e uno in Italia, lo capisce benissimo chiunque che non era una cosa accettabile. Quindi oggi siamo in una situazione in cui questo articolo mostra una retromarcia eclatante. L’impostazione di Gatti è stata completamente sconfessata, perché qui ha ragione chi dice che non siamo di fronte a degli emendamenti: siamo di fronte a un testo che è stato riscritto. C’era un’impostazione che escludeva, e questa impostazione ora include. I frontalieri erano esclusi, adesso sono stati ricompresi. C’erano i dipendenti che pagavano tanto di più, e adesso pagano di meno. Quindi l’impostazione di Gatti non esiste più. Altro che emendamenti: è stata completamente cestinata e riscritta. Riscritta chiaramente in un momento di debolezza: c’era la questione di BSM, che non sapevate più come raccoglierla. Il sindacato vi ha dato il testo, vi ha portato gli emendamenti che producono questi numeri e voi avete assecondato tutto. 

Guerrino Zanotti (Libera): Giustamente voi vi interrogate sul fatto che la maggioranza e il governo siano tornati indietro su questo articolo con un emendamento che lo abroga e ripristina la situazione precedente. Ma probabilmente non sminuite anche quello che è il vostro ruolo, nel senso che insieme alle vostre sensibilità e ai ragionamenti che avete fatto, si sono aggiunte altrettante sensibilità all’interno della maggioranza e anche della società civile. Devo dire la verità: in tanti, che abbiamo interpellato o con i quali abbiamo avuto modo di parlare, hanno messo in evidenza quanto sia veramente un investimento quello di fare donazioni o liberalità, e non semplice mera beneficenza, soprattutto verso organizzazioni non governative, associazioni e organismi che si battono per la ricerca in campo medico-scientifico, per la pace, per l’assistenza alle popolazioni in guerra e quant’altro. Sensibilità e volontà che hanno fatto sì che complessivamente si sia creato un movimento che ha portato all’abrogazione di quell’articolo e quindi al ripristino della situazione precedente. Quindi, l’obiettivo è stato raggiunto. È una soddisfazione, credo, per tutti.

Maria Katia Savoretti (RF): Consigliere Zanotti, lei proprio non mi ha convinto. So che ha cercato in tutti i modi di dare qualche giustificazione, o meglio di dare qualche risposta che avrebbe dovuto magari dare il Segretario. Allora, io sono molto contenta che sia arrivato l’emendamento e, come ha anche detto la collega Mularoni, anche io esprimerò parere favorevole a questo articolo così dato. Però non sono assolutamente contenta di come siamo arrivati all’approvazione di questo articolo. Avete semplicemente fatto un passo indietro perché ve lo ha chiesto il sindacato, perché durante i lavori della commissione non avete accettato le nostre proposte. Oltretutto, non mi meraviglio della frangia della Democrazia Cristiana che, nell’articolo, ha inserito la donazione esclusivamente alla Chiesa cattolica, ma mi meraviglio un pochino di voi che non abbiate invece fatto battaglia per inserire altre associazioni di volontariato, per le quali i cittadini sammarinesi desiderano fare donazioni. Io sono veramente contenta che si sia arrivati a questo risultato, però era un risultato al quale si poteva benissimo arrivare prima. Ma quello che a volte veramente mi stupisce: la poca sensibilità che vediamo da parte dei consiglieri all’interno di quest’Aula, perché questo articolo, così come è stato portato, non doveva essere neppure portato in prima lettura.

Segretario di Stato Rossano Fabbri: Al di là del ragionamento sulla Chiesa cattolica, che rimane un ente esterno rispetto agli enti sammarinesi, io trovo abbastanza stucchevole uno scandalo dichiarato sul fatto che in prima impostazione il governo avesse indicato solo nelle associazioni di volontariato interne la deducibilità dei costi. Io credo che siano entrambi ragionamenti che, nell’Aula, possano trovare una giusta collocazione. Credo che entrambi i ragionamenti siano ragionamenti che ci possono stare. Rispetto all’argomento di cui stiamo disquisendo, non credo sia così fuori da ogni logica il fatto che in prima battuta il governo sammarinese si preoccupi degli enti sammarinesi o anche della fiscalità sammarinese. È un elemento di discussione su cui si è trovata una concertazione e sul quale probabilmente l’Aula intera ha dei pareri totalmente legittimi e anche trasversali. Quindi affrontiamo questi ragionamenti, dal mio punto di vista, con meno scandali. Una cosa come questa non doveva neanche essere posta in questi termini, perché poi rischiamo anche di non essere credibili. Io invece credo che in molti siano del parere che non ci sia nulla di scandaloso nel destinare una deducibilità solo a enti interni. Si è trovata un’altra soluzione? Benissimo, ancora meglio. Però rimaniamo su un profilo di credibilità anche per chi ci ascolta, perché sennò rischiamo davvero che, a forza di scandali e di questioni di indegnità, tutta la politica perda la sua credibilità.

Giuseppe Maria Morganti (Libera): Ho apprezzato le parole che ha pronunciato il consigliere Nicola Renzi, che praticamente dice: la ricerca non ha frontiere, ma nemmeno la pace ha frontiere, nemmeno la solidarietà internazionale ha frontiere. E quindi, quando si fanno queste donazioni, non sono beneficenza: sono degli investimenti sul futuro nostro e dei nostri figli. E quindi, oggettivamente, non poteva essere che questa cosa potesse continuare nella stessa maniera in cui era iniziata tanti anni fa. Posso però ricordare, non voglio entrare in polemica, che non c’era nessun cartello in piazza che chiedeva l’abrogazione di questo articolo. È stata un’iniziativa della maggioranza, che con trentanove firme ha portato un emendamento. Questo emendamento non l’avete portato nemmeno voi. Sostanzialmente è la maggioranza che ha portato questo emendamento e la maggioranza che lo approverà.

Enrico Carattoni (RF): Qui bastava semplicemente dire: “Guardate, ci siamo sbagliati, avevate ragione.” Punto. E invece qui si parte con l’enfatizzazione del problema, col fatto che stiamo esagerando. Allora, io non mi scandalizzo per il merito della questione. Certo che anch’io preferisco questa versione, e la preferisco per tutti i motivi che ci siamo già detti, perché la solidarietà, la pace, la ricerca non devono avere orizzonti limitati. Oggi il Consiglio Grande e Generale non è qui tanto o solo per votare la modifica delle riforme IGR, ma per ratificare un accordo che è stato preso su altri tavoli. Perché in commissione è stato detto: badate che questa norma è una norma che non ha senso. E non è stata una svista, come prima la questione della moto. Ci sono stati, mi si riferisce, consiglieri di maggioranza che hanno difeso questa norma strenuamente. Hanno difeso questa norma strenuamente e addirittura dei consiglieri che pubblicamente, su qualche social network, hanno irriso dei cittadini che avevano fatto delle rimostranze rispetto alla possibilità di non dedurre i costi relativi alla beneficenza fatta fuori territorio. Quindi non è stata una svista: c’è stata una volontà politica precisa che la maggioranza, nella sua unanimità, ha voluto prendere e che ha manifestato all’interno della Commissione Finanze, dove sono presenti tutti i consiglieri di maggioranza. L’opposizione lo aveva già chiesto, voi non lo avete votato, lo avete respinto, e lo avete respinto convintamente nell’ambito dei lavori che sono stati fatti. I consiglieri di maggioranza che avevano sostenuto strenuamente la norma dell’autarchia cosiddetta della beneficenza hanno il coraggio di stare su e dire una parola in merito sul perché oggi hanno cambiato idea? Quale folgorazione sulla via di Damasco è intervenuta e che gli ha fatto cambiare idea? Ma non una parola abbiamo sentito.

Giovanni Zonzini (Rete): Vorrei dire che non credo che quest’Aula perda credibilità quando dibatte intorno a un articolo e quando le opposizioni spiegano le proprie ragioni per cui si erano espresse contrariamente a un articolo. Al limite, la perde chi difende certe cose. Vorrei dire però, Segretario Fabbri, che secondo me sono ben altri i motivi per cui quest’Aula spesso perde credibilità di fronte alla cittadinanza. Io penso che quest’Aula perda credibilità quando si dimostra capace di essere forte coi deboli e debole coi forti, quando i cittadini percepiscono che in questo Paese le leggi per molti si applicano e per qualcuno si interpretano. Io penso che quest’Aula perda credibilità quando si perde in dibattiti sterili e non è in grado di offrire delle prospettive concrete al Paese. Mentre invece penso che quest’Aula non perda credibilità quando dibatte su un tema concreto come questo, e non condivido la sua valutazione dei toni: mi sembrano toni accesi, ma comunque ampiamente entro i limiti della dialettica parlamentare.

Matteo Zeppa (Rete): Io invece mi stupisco del fatto che l’opposizione si stupisca di questo emendamento presentato in prima lettura, nel senso che esattamente si insinua nel solco del protezionismo e del dare contro chi non è sammarinese. Questo è sostanzialmente la somma dell’IGR. Soprattutto io mi rivolgo non a Fabbri, non a Gatti che non risponde. Gatti dice: “La modifica di questo articolo riguarda il fatto di avere limitato la deducibilità delle donazioni, liberalità ad associazioni, enti e residenti in territorio.” Bene. Ci puoi spiegare il perché? Ce lo puoi spiegare il perché, Gatti? Visto che non l’ha spiegato neanche in commissione. Ma soprattutto io ringrazio la buona volontà di Zanotti e di Morganti: avete provato a indorare la pillola. Non mi avete convinto, perché non dovete essere voi a dare le risposte, bensì gli undici voti favorevoli, gli undici voti favorevoli che i commissari di maggioranza in Commissione Finanze hanno dato.

Articolo 21 – Modifica dell’articolo 68 della Legge n.166/2013 e successive modifiche – Approvato con 29 voti favorevoli e 12 contrari

Articolo 22 – Modifica dell’articolo 69 della Legge n.166/2013 e successive modifiche – Approvato con 35 voti favorevoli 

Articolo 23 – Modifiche all’articolo 73 della Legge n.166/2013 e successive modifiche – Approvato con 33 voti favorevoli e 11 contrari

Segretario di Stato Marco Gatti: Con questo articolo, siamo intervenuti per restringere quanto era previsto. Per quanto riguarda il punto C, cioè l’abbattimento delle imposte, era prevista la possibilità di poter attivare questo beneficio dopo il terzo esercizio. Abbiamo portato la decorrenza al primo periodo d’imposta. Abbiamo tolto il credito d’imposta per i programmi di formazione del personale. Abbiamo aggiunto, oltre ai soci che non devono avere esercitato, anche i titolari effettivi che non devono avere esercitato, e poi abbiamo fatto modifiche legate ad alcuni cambiamenti normativi, come la sostituzione della “licenza” con “autorizzazione ad operare”.  Abbiamo inoltre aggiunto il comma 6 ter, che stabilisce come viene applicato il presente articolo: le circolari dell’Ufficio Tributario e dell’Ufficio Attività Economiche, per quanto di competenza o anche congiuntamente, possono disciplinare l’applicazione del presente articolo.

Emanuele Santi (Rete): Al comma 2 si afferma che i benefici si applicano anche alle società di capitale i cui soci o titolari effettivi non abbiano esercitato nei dodici mesi precedenti. Ecco, qui nascono i primi problemi. Parliamo tanto delle società “apri e chiudi”, e qui si dice che basta che uno non sia titolare effettivo o amministratore di una società per dodici mesi, e poi al tredicesimo mese scatta la “sanificazione” di tutto e può riaprire un’altra società. Questo non è giusto. Qui bisognava scrivere, ad esempio, se questi soggetti sono idonei o meno, perché il fenomeno delle partite e dei codici operatori qui non viene assolutamente affrontato. Se c’era la volontà di modificare qualcosa o di eliminare le distorsioni, bisognava cominciare a scrivere che se uno, per due o tre volte, lascia debiti con le proprie società, sta in panchina per sempre, e non continua ad aprire società. In questo Paese abbiamo ancora personaggi che aprono continuamente dieci società in pochi anni, lasciano debiti da tutte le parti e continuano ad aprire nuove società, ottenendo anche incentivi. L’altro aspetto, che non ci stupisce più di tanto, è l’articolo 6 ter. Lo abbiamo evidenziato: si dice che con circolari dell’Ufficio Attività Economiche o dell’Ufficio Tributario, ciascuno per le proprie competenze o anche congiuntamente, possono essere disciplinate le modalità applicative del presente articolo. Non siamo più noi a fare le leggi, ma sono gli uffici che, con circolari, applicano o disapplicano, decidono o non decidono dove dare i contributi. Questa è un’aggiunta che avete fatto voi, l’avete scritta e votata in commissione. Noi parliamo di riforme istituzionali e del Consiglio che deve riappropriarsi della propria facoltà di fare le leggi, e poi scriviamo che gli uffici, con circolare, possono modificare o applicare una legge dello Stato. 

Antonella Mularoni (RF): Da un lato capisco la volontà di andare a monetizzare. È chiaro che la norma introdotta alcuni anni fa, prevedendo un periodo di esenzione fiscale fino al terzo periodo d’imposta successivo a quello di inizio della nuova attività, consentiva di partire sapendo che nei primi due o tre anni non si fanno grandi utili e di posticipare l’inizio della decorrenza del beneficio al quarto anno. Ora non sarà più così, ma questa è una scelta legittima.  Vorrei capire però, Segretario, alcune cose. La prima è perché avete eliminato la lettera D, cioè la possibilità di riconoscere anche dei benefici fiscali, il credito d’imposta IGR sui programmi di formazione del personale, innovazione tecnologica e sviluppo. Rimango anch’io perplessa per l’introduzione dell’articolo 6 ter. Perché questa norma stabilisce che con circolari dell’Ufficio Attività Economiche o dell’Ufficio Tributario possono essere disciplinate le modalità applicative del presente articolo. Ma questo articolo esiste ed è già stato introdotto da anni. Le circolari no, non erano previste. Perché le introducete ora? A distanza di anni dall’entrata in vigore di questa legge, prevedete la possibilità, a tempo indeterminato, che gli uffici possano disciplinare le modalità applicative dell’articolo con circolari. Ma se in tutti questi anni non sono state fatte, cosa c’è da cambiare?  Questo ci fa pensare male: ci fa pensare che vi venga in mente una novità e fate fare la circolare, poi un’altra e un’altra ancora. Non si fa così. Ma a distanza di tutti questi anni, abbiamo bisogno di introdurre le circolari applicative?  Le dico la verità: tra regolamenti e circolari, state facendo di tutto per sottrarre al Consiglio Grande e Generale la possibilità di controllare, di intervenire e di dire qualsiasi cosa. Ci state riuscendo. 

Luca Della Balda (PDCS): Volevo rispondere al consigliere Santi in merito alle osservazioni fatte su coloro che hanno debiti e che, a suo dire, devono essere messi in panchina dopo due o tre chiusure con debiti. A me sembra un’eccessiva criminalizzazione dell’imprenditore. L’avere debiti o avere un’attività che va male non è un peccato così catastrofico. Sappiamo benissimo che in tanti contesti l’imprenditore che è fallito, che ha avuto bancarotte, può poi riavviare l’attività senza neanche attendere tanto tempo. Voglio dire al consigliere Santi che già la nostra normativa prevede l’inidoneità dei soggetti che hanno azioni esecutive della Banca Centrale, così come coloro che hanno sentenze di fallimento o di concorso per fare i creditori. Quindi più di così cosa deve fare il legislatore? Se un’azienda ha delle difficoltà e chiude perché ha un inciampo, perché un fornitore non lo paga o un cliente non lo paga, e quindi la ditta è costretta a chiudere, cosa deve fare questo imprenditore? Deve avere la morte civile e non poter più lavorare? Va bene tutelare e combattere le distorsioni, va bene combattere le anomalie, ma non andiamo all’eccesso opposto, perché esiste anche il principio della libera iniziativa economica, della libera circolazione dei beni, e l’economia deve muoversi. Non possiamo, per una mela marcia, bloccare un comparto intero.  

Segretario di Stato Marco Gatti: Per i soggetti inidonei c’è apposita normativa, che è normativa di carattere generale, quindi non è che per ogni norma dobbiamo andarla a ripetere. Anzi, forse sarebbe bene fare proprio una norma che parli dei soggetti inidonei, senza inserirla in nessun provvedimento specifico.  Per quanto riguarda il fatto di aver tolto il punto C, è perché riteniamo che, soprattutto per quanto riguarda le aziende ad alto contenuto tecnologico, ci sia già una normativa speciale che, dal mio punto di vista, bisognerebbe anche valutare. Partiamo da un’aliquota zero per poi crescere, però le aliquote zero a me piacciono poco. Quindi si tratta, più avanti, di fare una riflessione su quelle, perché riteniamo che possano ricadere in quell’ambito. Come dicevo, questo era un articolo che si era addirittura ipotizzato di abrogare.  Per quanto riguarda le circolari esplicative, esse sono proprio il compito degli uffici competenti, cioè spiegare come viene applicata la norma. È proprio l’attività che svolge il direttore dell’ufficio, altrimenti non avremmo necessità di un direttore d’ufficio. Qui la problematica è legata al fatto che questa è una normativa fiscale, quindi la competenza sarebbe dell’Ufficio Tributario. Ma in questo articolo devono intervenire due unità organizzative, perché ci sono aspetti che riguardano anche l’Ufficio Attività Economiche.  Si è voluto specificare che, essendoci due ambiti di competenza, l’Ufficio Tributario non può intervenire sugli aspetti pertinenti all’Ufficio Attività Economiche. Quindi questo articolo dice che, per quanto riguarda l’applicazione della norma, essa può essere fatta con la circolare degli uffici per le rispettive competenze, oppure anche in maniera congiunta, qualora serva.

Articolo 24 – Modifica dell’articolo 80 della Legge n.166/2013 – Approvato con 31 voti favorevoli e 9 contrari

Segretario di Stato Marco Gatti: In questo articolo siamo intervenuti con alcune integrazioni di ordine formale ma anche sostanziale, perché mi sembra che la norma precedente parlasse di liquidazione volontaria, ma oggi ci si trova di fronte anche a molte liquidazioni d’ufficio. Abbiamo quindi costruito la norma parlando di liquidazione in modo da comprendere entrambe le fattispecie.  Sulla base di questo abbiamo tenuto conto che ci si può trovare di fronte a situazioni differenti: una liquidazione ordinata, come nel caso di liquidazione volontaria, dove si avrà un bilancio redatto dal liquidatore con una parte “ante liquidazione” e una parte relativa alla fase liquidatoria vera e propria; oppure, nel caso di liquidazione d’ufficio, ci si può trovare di fronte a situazioni di disordine contabile, dove il liquidatore nominato dal tribunale potrebbe non avere a disposizione la contabilità, proprio perché si tratta di una liquidazione forzata.  In tali casi, il liquidatore redige una relazione nella quale descrive lo stato in cui ha trovato la società e ciò che ha rinvenuto, utilizzando tale relazione per determinare il periodo “ante”. Successivamente svolgerà la sua attività liquidatoria e procederà alla chiusura sulla base degli attivi e dei passivi riscontrati.  L’altro elemento su cui siamo intervenuti è chiarire quando decorre l’apertura della liquidazione. Questo aspetto riguarda soprattutto le liquidazioni d’ufficio, perché può accadere che il tribunale nomini un professionista come liquidatore, ma questi non accetti immediatamente e possa passare del tempo.  Pertanto, la data di apertura della liquidazione è stata individuata nella data di accettazione del liquidatore, così da avere una data certa ed evitare conflitti con i sei mesi previsti per il deposito della dichiarazione e gli adempimenti successivi.

Articolo 25 – Modifiche all’articolo 93 della Legge n.166/2013 – Approvato con 32 voti favorevoli e 1 astenuto

Segretario di Stato Marco Gatti: Con questo articolo, sostanzialmente, abbiamo fissato in via definitiva la scadenza di presentazione della dichiarazione al 31 luglio di ciascun anno. Attualmente la scadenza era il 30 giugno: l’abbiamo prorogata negli ultimi esercizi al 31 luglio e abbiamo verificato che l’amministrazione riesce comunque, in questi tempi, a svolgere le attività di predisposizione del bilancio consuntivo e conseguentemente di quello preventivo. Per questo abbiamo fissato la data in maniera definitiva.

Nicola Renzi (RF): Dobbiamo riferire anche all’Aula che in Commissione abbiamo sostenuto questo intervento, perché più volte abbiamo fatto presente come non sia una bella cosa vedere che lo Stato stesso si dà delle scadenze e poi interviene con i decreti all’ultimo, spesso sollecitato magari da qualche ordine professionale che fa presente la necessità di certe scadenze o di dilazionarle, oppure dalla stessa amministrazione che fa presente una necessità di tempi ulteriori.  Più volte noi abbiamo criticato questi decreti che, anno per anno, uscivano e che i vari governi che si sono succeduti hanno adottato per dilazionare delle scadenze, come in questo caso, una scadenza peraltro non secondaria, anche perché incide sugli introiti dello Stato e sulle capacità di fare delle previsioni per il gettito statale.  Quindi, in Commissione, abbiamo detto che questo era un dato positivo: il fatto di arrivare a stabilire una data che, seppur dilazionata, fosse chiara e certa per legge. È evidente a tutti che ora si potrebbe incorrere in ulteriori storture qualora si volesse fare un decreto che dilaziona di nuovo ciò che è stato previsto, ma non credo che ci sarà questa necessità.  

Gaetano Troina (D-ML): Due note riguardo a questo articolo. La prima è positiva, nel senso che finalmente si giunge alla definizione di una data precisa e stabile.  Questa è una richiesta che anche noi abbiamo fatto più volte, e tutte le volte che si interveniva con gli assestamenti di bilancio per prorogare il termine, chiedevamo di cristallizzarlo una volta per tutte. Questo è stato finalmente fatto, e lo registriamo positivamente.  La seconda nota è invece di segno opposto, perché questo articolo contrasta con quanto previsto dal successivo articolo 43. L’abbiamo fatto presente anche durante i lavori della Commissione. Al contribuente si chiede di rispettare il termine, in mancanza del quale è prevista la sanzione nel caso in cui la dichiarazione sia presentata tardivamente.  Tuttavia, una cosa che abbiamo riscontrato è che oggi l’Ufficio, probabilmente a causa della mancanza di personale e in generale della difficoltà di svolgere tutti gli adempimenti previsti dalla legge, è in grave ritardo nel riconoscimento dei rimborsi rispetto a quanto la legge del 2013 prevedeva.  Ai cittadini, se sbagliano di una virgola nella presentazione, arriva subito la sanzione e non ci sono discussioni; mentre lo Stato si è potuto permettere, dal 2013 ad oggi, di attendere più di un anno per riconoscere i rimborsi relativi alle dichiarazioni dell’anno precedente, e ovviamente nessuno sanziona lo Stato se non rispetta i termini.  Il Segretario ha detto che è difficile reperire personale: invitiamo il Governo a trovare una modalità affinché ciò possa avvenire.

Enrico Carattoni (RF): Anche io colgo di buono questo articolo, perché finalmente mette chiarezza. È giusto però dire, a onor del vero, che le varie dilazioni che ci sono state inizialmente erano dovute all’emergenza sanitaria del 2020 e alle conseguenze economiche che ne sono derivate.  È quindi difficile attribuire una colpa da questo punto di vista. Meno comprensibili invece sono state le dilazioni concesse successivamente a causa delle difficoltà incontrate dall’Ufficio, e questo è un tema che ho digerito meno bene.  Faccio un’osservazione: la Repubblica di San Marino stabilisce con questa legge il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi entro il mese di luglio di ogni anno.  Nel caso in cui, però, un contribuente sia residente nella Repubblica di San Marino ma svolga la propria attività professionale o di lavoro dipendente in Italia, il termine per la dichiarazione dei redditi in Italia è il 31 ottobre se presentata in forma telematica, o il 30 giugno se depositata in forma cartacea, anche se quest’ultima modalità è ormai desueta.  È chiaro che se un soggetto è residente a San Marino ma produce il proprio reddito in Italia, entro il 30 luglio non potrà ancora presentare la dichiarazione dei redditi italiana, perché il termine non sarà ancora scaduto. Non potrà dunque completare la dichiarazione sammarinese e potrebbe incorrere in una sanzione, pur non avendo alcuna colpa.  È quindi un tema reale, che in qualche modo va risolto, perché ci sono persone che vogliono contribuire regolarmente ma non possono farlo per via dello sfasamento dei termini tra i due Stati. 

Segretario di Stato Marco Gatti: Non possiamo andare dietro agli altri Paesi, perché ognuno potrebbe avere tempi differenti. È vero che entro il 31 dicembre si può fare la rettificativa: quindi si presenta la dichiarazione, come si fa esattamente oggi, sulla base dei dati disponibili al momento della presentazione.  La dichiarazione dei redditi in Italia può essere fatta anche prima, non necessariamente il 30 settembre. Quindi uno può adoperarsi per farla prima. Nel momento in cui la presenta, non fa altro che rettificare entro il 31 dicembre, senza perdere alcun diritto.  Sostanzialmente, se risulta che ha diritto a un rimborso, il rimborso gli viene riconosciuto se la dichiarazione è fatta entro l’anno. Se invece va oltre l’anno, perde il diritto al rimborso.  Non esiste comunque nessuna norma che consenta di andare oltre l’anno successivo nei termini di presentazione della dichiarazione, in nessun Paese. La dichiarazione deve essere presentata nell’anno successivo.

Articolo 26 – Modifica dell’articolo 93-bis della Legge n.166/2013 – Approvato con 39 voti favorevoli e 9 contrari

Articolo 27 – Modifiche all’articolo 96 della Legge n.166/2013 e successive modifiche Approvato con 29 voti favorevoli, 12 contrari e 1 astenuto

Gaetano Troina (D-ML): Faccio un’osservazione non politica ma tecnica, nel senso che alcuni dei libri indicati nell’articolo, come il libro giornale, sono quei libri che consentono, attraverso estratto notarile, di avviare ad esempio una procedura sommaria documentale.  Il fatto che si consenta di non vidimare più determinati libri, oltre a rendere possibile dal mio punto di vista una più semplice falsificazione di questo tipo di documenti, pone dei rischi evidenti.  Capisco che alcuni documenti accessori, non fondamentali nella tenuta della contabilità, possano non essere più vidimati per semplificare la vita alle aziende, soprattutto oggi con il digitale. Tuttavia, alcuni libri ancora oggi necessitano di avere un formato cartaceo, perché vengono utilizzati come prova anche nell’ambito di procedure davanti all’autorità giudiziaria.  Togliere l’obbligo della vidimazione, in deroga alla legge sulle società, rischia di creare notevoli problemi. La funzione della vidimazione serve proprio a questo scopo: i fogli sono numerati e vidimati, quindi se ne manca uno o ne viene sostituito uno, è possibile verificarlo. Se si toglie questo obbligo, il rischio enorme è che tale possibilità di verifica non ci sia più.  Immaginiamoci di essere nei panni di un liquidatore o di un procuratore giudiziale che entra in un’azienda e deve ricostruirne la contabilità, ma non trova più i libri vidimati, solo fogli sparsi nei mobili. Quindi, se può avere senso questa previsione per libri accessori o per documenti utili all’attività quotidiana, per semplificare va bene, ma per i libri essenziali di contabilità, come il libro giornale, dal mio punto di vista non è una cosa positiva e devo segnalarlo.

Emanuele Santi (Rete): Se consideriamo il fatto che da ora in avanti i libri non verranno più vidimati, uno può dire: “vidimati o non vidimati, l’importante è che ci siano”. Il problema è che poi i libri non ci sono. Mentre oggi c’è l’obbligo di registrare sui libri contabili, con una cadenza precisa entro l’anno, tutte le operazioni.  È vero che questo può essere sostituito da un foglio di contabilità analitica proveniente da un server o da un programma, ma quando si vanno a fare i controlli – ed è questo il punto – gli uffici preposti segnalano che spesso, soprattutto in certe società che restano aperte pochi mesi, non si trovano nemmeno più le scritture contabili.  Il punto, a mio avviso, è un altro: in Commissione abbiamo detto che si vuole togliere la vidimazione perché ormai è diventata anacronistica. Ci può anche stare, ma a quel punto bisognava mettere una data entro la quale i libri giornali devono essere aggiornati, ad esempio entro 15 o 30 giorni. Sarebbe stato un emendamento di buon senso.  Bisogna calmierare: se da una parte vogliamo eliminare un adempimento che può sembrare superato, come la vidimazione dei libri con timbro a secco, che è effettivamente una pratica antiquata, almeno diamo un termine massimo entro cui i libri contabili devono essere aggiornati.  Le relazioni prodotte in questi anni dagli organismi che fanno i controlli lo dicono chiaramente: chi effettua i controlli segnala la mancanza di documenti contabili, la mancata tenuta delle scritture e il fatto che il concetto di “soggetto inidoneo” in questo Paese è troppo lasco e andrebbe ristretto.  Bisognerebbe leggere cosa scrivono coloro che lavorano sul campo ogni giorno, capire quali sono le distorsioni, confrontarsi con loro e comprendere che cosa trovano realmente quando devono verificare certe situazioni.  

Antonella Mularoni (RF): Mi auguro che l’Ufficio Tributario abbia già in mente un sistema che possa garantire che non ci siano i furbi, perché altrimenti eliminiamo un passaggio che comunque dava certezza di data alla vidimazione dei libri. È vero che le persone animate da cattive intenzioni, anche adesso, fanno un disastro, perché spesso i liquidatori nominati non trovano nulla e chiedono chi abbia quei libri senza riuscire a reperirli da nessuna parte. Tuttavia, dovremmo cercare di andare in una direzione che ci consenta di avere maggiori presidi, non di eliminarli.  Il mondo va nella direzione della digitalizzazione, quindi spero che voi abbiate già in mente un sistema alternativo, migliorativo rispetto alla situazione attuale. Dire che uno deve presentare la dichiarazione dei redditi entro luglio e poi ha tempo fino al 30 settembre per sistemare i libri dell’anno precedente mi sembra eccessivo.  Mi auguro di sbagliarmi e che lei ci rassicuri sul fatto che i sistemi moderni che preconizzate possano salvaguardarci al massimo. Non vorrei però trovarci qui tra uno o due anni a verificare che abbiamo peggiorato la situazione.  È chiaro che tra cinquant’anni i libri cartacei non esisteranno più, né quelli dei commercialisti né quelli dei notai, ma se si va nella direzione della modernità dobbiamo comunque avere dei presidi che ci assicurino che questi libri non vadano dispersi, in tutto o in parte.

Segretario di Stato Rossano Fabbri: Volevo rimarcare che il consigliere Mularoni ha già tracciato l’esistenza del termine del 30 settembre per la regolare aggiornamento dei libri contabili, in perfetta continuità con la dichiarazione dei redditi. Sono sessanta giorni, ma questo è così anche adesso: non è cambiato nulla rispetto alla precedente norma.  È importante dire anche che il reato di bancarotta semplice, cioè la mancata regolare tenuta dei libri contabili, è l’unico reato che, tra i reati concorsuali, è applicabile anche senza l’apertura del giudiziale concorso. Esiste dunque una sanzione penale per chi non tiene aggiornati i libri contabili come previsto. Anche questa è una norma già vigente, così come il termine del 30 settembre, che non è stato modificato da questo intervento.  Di particolare interesse è invece l’osservazione del consigliere Troina nella parte in cui propone di implementare la possibilità di ricorrere alla procedura sommaria documentale, che oggi è plasmata sui libri vidimati.  Su questo va effettivamente ragionata e implementata la possibilità di ricorrere alla procedura breve, assimilabile al decreto ingiuntivo italiano, cioè la nostra procedura semplificata di tipo sommario documentale. Bisogna consentire anche a chi passa alla tenuta digitale dei libri di poter accedere a questo strumento, che rimane importante anche in termini di durata dei procedimenti.  I tecnici conoscono bene le differenze di tempistica tra una procedura sommaria, specialmente se non opposta, che conduce rapidamente all’esecuzione forzata se non ottemperata, e una procedura ordinaria.  

Articolo 28 – Modifica dell’articolo 98 della Legge n.166/2013 – Approvato con 27 voti favorevoli, 11 contrari e 1 astenuto

Articolo 29 – Modifica dell’articolo 99 della Legge n.166/2013 – Approvato con 27 voti favorevoli, 11 contrari e 1 astenuto

Articolo 30 – Modifiche dell’articolo 100 della Legge n.166/2013 e successive modifiche  Approvato con 31 voti favorevoli, 13 contrari e 1 astenuto

Segretario di Stato Marco Gatti: Con questo articolo trattiamo della certificazione attraverso l’utilizzo della Smac Card. Al comma 3 affrontiamo l’utilizzo dello strumento nel rapporto tra operatore economico e consumatore. È stato aggiunto il comma 4 bis perché, nell’ottica dello sviluppo della Smac Card, ci sarà la necessità di regolare anche il B2B.  Come ho spiegato nel dibattito, stiamo portando avanti lo sviluppo della Smac 3.0, che prevede la trasformazione di quello che oggi è il POS nel cosiddetto registratore di cassa. Anziché introdurre un registratore di cassa tradizionale, abbiamo scelto di sviluppare il sistema Smac, in modo da avere un’unica applicazione che registra gli incassi e funge anche da registratore.  Battendo l’importo e selezionando la modalità di pagamento, con la conseguente certificazione si chiude l’operazione e viene eseguito l’incasso. Chiaramente dovevamo prevedere anche la possibilità che il cliente di un negoziante fosse un altro operatore economico, quindi dovremo normare quale sarà il comportamento da tenere in quel caso.  Infatti, non si tratterà di un ricavo ma di un incasso il cui ricavo seguirà successivamente con l’emissione della fattura, perché si tratta di due operatori economici. Diverso è quando arriva il cliente finale, al quale viene fatta la semplice “smaccatura”: in quel caso si tratta della certificazione del ricavo vero e proprio.  Questa situazione richiederà una normativa specifica, e per questo abbiamo previsto la possibilità, con decreto delegato, di definire meglio il comportamento che l’operatore economico dovrà tenere, sia nella veste di venditore che in quella di acquirente.

Antonella Mularoni (RF): Sono felice se avremo sviluppi che permetteranno a questo Paese di diventare all’avanguardia in questo settore. Tutte queste prospettive di modernizzazione probabilmente necessitano di un controllo e di un’implementazione diversi. Sta di fatto che io avrei piacere che prima di tutto si controllasse che la Smac Card venisse utilizzata correttamente da chi già deve utilizzarla.  Poi, se per il futuro riusciremo a introdurre modalità tecniche migliorative che ci assicurino che tutti gli operatori economici, sia quelli che si rivolgono ai consumatori che quelli che operano con altri operatori economici, riescano a utilizzare la Smac Card con efficienza e noi siamo certi di poter controllare tutte le transazioni, benissimo: ne sarei felice.  Però credo che nell’immediato ci sia un problema, e questo è stato evidenziato anche dai sindacati recentemente. Rispetto all’utilizzo della Smac Card da parte di chi dovrebbe usarla nei confronti dei consumatori, ci sono ancora degli abusi. Esiste una parte di operatori economici che la utilizza correttamente, ma altri che, quando possono, non la usano. Diciamolo chiaramente: le cose vanno così.

Segretario di Stato Rossano Fabbri: Stiamo terminando l’elaborazione delle risposte all’interpellanza del gruppo consiliare Rete, che ha depositato un’istanza apposita. Ci sarà modo di discutere anche di quanto ha evidenziato la consigliera Mularoni, con serenità, analizzando i dati dei vari settori.  Dopodiché, credo che se emergerà la necessità di intervenire, lo faremo con la volontà di comprendere se esistono meccanismi che possano facilitare il lavoro, specialmente nel commercio al dettaglio, che è quello più penalizzato dal fatto che, in occasione di grandi afflussi di persone, servirebbe un operatore appositamente dedicato alla cassa per svolgere questo tipo di operazioni.  Comunque, i dati sono in arrivo. Posso dire che in tantissimi settori è evidente ciò che accade quando la Repubblica di San Marino ospita diverse centinaia di migliaia di persone, e che in altri settori le curve sono inferiori rispetto alle aspettative.  Avremo modo di ragionare anche su questo, e in particolare sui meccanismi con cui si possono semplificare le procedure.

Nicola Renzi (RF): Anche di questo articolo abbiamo discusso parecchio in Commissione. È un articolo che riguarda la SMAC. Intanto lasciatemi dire una cosa: è molto utile ragionare anche storicamente. L’ultima riforma fiscale che fu fatta, costò due scioperi anche quella, e conteneva un vero e proprio cambio di paradigma.  L’argomento più difficile da far digerire fu proprio quello dell’adozione dello strumento della SMAC. Io credo ancora che quella fu un’idea molto buona, tant’è che la sostenemmo da subito, perché la SMAC si basava su un principio chiaro.  Certo, ci furono molte criticità: far partire quel sistema non fu facile, sia dal punto di vista logistico che tecnologico. Tutte questioni complicate da gestire, tecnologicamente e praticamente. Ma c’era un principio di fondo: quello della contrapposizione degli interessi. Tanto più io, consumatore sono portato a tracciare tutte le transazioni, tanto più emergerà ciò che ho speso e quindi, se io ho speso, qualcuno ha incassato.  Tutte queste funzioni sono da implementare, certamente, ma con due attenzioni. Sono mai stati fatti controlli effettivi su determinate fasce commerciali, per verificare le transazioni in certe ore o in certi periodi? Sono mai stati messi a sistema questi dati? A me risulta di no. Posso sbagliarmi, ma non ho avuto risposte positive.  Secondo caveat: la decretazione. Diteci prima, per cortesia, prima di chiederci la delega nella riforma IGR, che cosa volete fare e verso quali direzioni intendete andare.

Segretario di Stato Marco Gatti: Condividiamo il fatto che il contrasto all’evasione fiscale più complesso è quello che avviene negli esercizi commerciali che hanno contatto diretto con il pubblico.  Noi stiamo sviluppando un sistema che abbiamo già commissionato, per fare in modo che tutti gli strumenti di pagamento che passano attraverso il sistema bancario diventino automaticamente certificazione.  Oggi può accadere che chi incassa con la carta di credito non effettui poi la “smaccatura”. Questo significa che serve un incrocio dei dati. Con il nuovo applicativo, che sarà l’unico presente sul territorio, sarà possibile incassare un pagamento fatto con carta di credito o strumento similare solo attraverso la certificazione immediata.  Questo ci sembra un buon strumento, anche perché rimane esclusa la possibilità di avere certezza solo sul contante. Tuttavia, nel tempo, abbiamo visto quanto il contante stia diminuendo: si utilizza sempre di meno. Si usano sempre di più carte di credito, carte di debito, bancomat o strumenti analoghi.  Il passaggio attraverso questa unica app, nella quale si è obbligati a transitare e in cui, per legge, dovrà essere registrato anche l’incasso in contanti, consentirà all’amministrazione di concentrarsi su quei casi in cui l’esercente effettua incassi importanti senza dichiararli.  Crediamo che questo possa essere un buon strumento: la fatturazione elettronica interna – oggi abbiamo già quella tra Italia e San Marino – e la SMAC 3.0 potranno rappresentare una buona base per il futuro.

Articolo 31 – Modifiche dell’articolo 101 della Legge n.166/2013 e successive modifiche Approvato con 30 voti favorevoli

Articolo 32 – Modifica dell’articolo 102 della Legge n.166/2013 e successive modifiche Approvato con 27 voti favorevoli e 8 contrari.

Articolo 33 – Modifiche all’articolo 103 della Legge n.166/2013 e successive modifiche – Approvato con 39 voti favorevoli e 3 contrari

Segretario di Stato Marco Gatti: Questo è un articolo che è stato coordinato chiaramente con il precedente articolo 5 e tratta dei redditi di capitale, su cui siamo intervenuti ancorché, per ragioni forse più stilistiche e formali.  Gli interventi più significativi riguardano il cambiamento delle percentuali di ritenuta alla fonte. Ad esempio: per quanto riguarda i prestiti obbligazionari si passa dal 10% all’11%; gli interessi di conto corrente dall’11% al 13%; gli interessi passivi corrisposti a fronte di operazioni “pronto contro termine” dal 5% al 6%; gli interessi passivi derivanti da certificati di deposito dal 5% al 6%.  Per i certificati di deposito con durata superiore a diciotto mesi si passa dal 4% al 5%, e sempre dal 4% al 5% per gli interessi passivi e altri proventi relativi ai prestiti obbligazionari emessi da soggetti autorizzati.

Emanuele Santi (Rete): Questo è il secondo articolo che anche in Commissione abbiamo sostenuto ed è una delle poche misure di buon senso contenute in questa legge. Ne abbiamo condiviso la ratio e ne abbiamo condiviso anche il contenuto.  Di fatto qui si va ad aumentare di una piccola percentuale l’aliquota delle imposte sulle rendite finanziarie da capitale. Credo che, se si deve andare a prendere qualcosina in più ai cittadini, la si debba andare a prendere proprio dove ci sono, e quindi sulle rendite da capitale, sulle rendite finanziarie.  Questo deve essere un concetto chiaro, che tutti i commissari hanno rilevato e apprezzato in maniera oggettiva. Questa misura è una delle poche che va nel senso di cercare di andare a prendere qualcosina in più dove effettivamente ci sono risorse, per non andare invece a prendere dove non ci sono.  L’impostazione originaria, infatti, era quella di andare a prendere soldi dove non c’erano, perché imporre 6.000 euro di SMAC su un reddito di 15.000 euro era un’oscenità, e significava creare discrepanze e discriminazioni fra i redditi più bassi.  Quindi l’abbiamo apprezzata, l’abbiamo scritto anche in relazione e la sosterremo, perché di fatto è una di quelle misure che effettivamente, in un impianto complessivo in cui si deve raccogliere qualcosa in più, va a prenderla dalle rendite finanziarie e da capitale, non dai redditi più bassi. È una delle poche misure che condividiamo.

Nicola Renzi (RF):  Anche noi ci siamo messi in questo stesso stato d’animo.  È chiaro che non fa mai piacere aumentare una tassazione. Tuttavia, se bisogna fare una scelta, colpire la rendita piuttosto che il reddito da lavoro è una cosa assolutamente condivisibile e ci può stare.  Anche noi voteremo questo emendamento. Oggi siamo qui, dopo i vari confronti che avete fatto, e dobbiamo riconoscere che alcune cose buone all’interno di questa riforma ci sono.  Ora, facciamo un ragionamento. È vero che voteremo questo articolo, ma è anche vero che noi non siamo una forza politica che vuole per forza colpire la ricchezza. Siamo convinti che la ricchezza sia una cosa apprezzabile, se è frutto del lavoro, dell’ingegno, dell’intraprendenza, della realizzazione delle proprie capacità. Quindi non va certo demonizzata.  Mi viene in mente, ad esempio, quando in passate legislature abbiamo discusso sui beni di lusso. Si è poi capito che quella tassazione ha portato un introito minimale.  Quando è che si può valutare di applicare una tassazione inferiore rispetto ad altre giurisdizioni, ad esempio sui beni di lusso? Quando quella misura può diventare accettabile, coerente e concorrenziale, e può trasformarsi in uno strumento per sviluppare un settore, un indotto. In quel caso si vanno a creare delle ricchezze che possono poi essere redistribuite.  Credo che lo stesso ragionamento si possa fare su misure come questa: riusciamo, con una tassazione più bassa e concorrenziale sulle rendite finanziarie, ad attrarre persone che vogliano venire nella nostra giurisdizione fiscale?  Questo è il vero punto.

Gaetano Troina (D-ML): Esprimo soltanto una posizione che avevo già manifestato anche in Commissione su questo articolo, in particolare sul comma 1 bis, lettera A, dove si va ad applicare una ritenuta con obbligo di rivalsa sugli interessi da conto corrente o da deposito.  Avevo detto che, dal mio punto di vista, questa norma va ulteriormente a ridurre la possibilità di ottenere un beneficio dall’apertura di conti correnti presso i nostri istituti bancari.  In un momento in cui abbiamo bisogno che i nostri istituti bancari riacquistino fiducia e che, in generale, il sistema bancario favorisca il rientro di capitali anche dall’estero, questo tipo di disposizione rischia invece di avere un effetto contrario.  Dobbiamo trovare il modo, soprattutto in vista dell’avvicinamento all’Unione Europea, di essere più competitivi e di rendere i nostri istituti bancari più appetibili. Tenevo a dirlo: non sono favorevole su questo punto specifico, per le motivazioni che ho espresso, e spero che i prossimi interventi normativi possano produrre un effetto opposto rispetto a quello che, temo, avrà questo articolo.

Articolo 34 – Modifiche all’articolo 104 della Legge n.166/2013 e successive modifiche – Approvato con 30 voti favorevoli 

Segretario di Stato Marco Gatti: Anche questo è un articolo che è coordinato con l’articolo 5. Qui sostanzialmente si tratta delle ritenute che vengono operate sui redditi diversi. In particolare, siamo intervenuti per ripristinare la ritenuta d’acconto che in Commissione era stata approvata nella misura del 5%. L’abbiamo ripristinata al 2,5%.  Questo è stato un confronto che abbiamo avuto con il sindacato. Questa richiesta non modifica il gettito, perché essendo una ritenuta d’acconto era stata proposta nella misura del 5% su suggerimento dell’Ufficio, a seguito del fatto che molti soggetti non avevano presentato la dichiarazione dei redditi e quindi si trovavano a dover pagare una sorta di conguaglio.  A seguito del confronto che c’è stato, abbiamo ripristinato questa misura. Poi abbiamo ritenuto di dover intervenire sulle sanzioni, che tratteremo successivamente. L’altro elemento riguarda l’ultimo comma dell’articolo 5, in cui abbiamo previsto, come da canone convenzionale, la ritenuta del 10% per quelli che sono i cosiddetti noleggi, che possono riguardare sia le autovetture sia le attrezzature.

Emanuele Santi (Rete): Questo era uno di quegli articoli che, in prima battuta, neppure il sindacato aveva individuato come problematico, perché andava a cambiare un piccolo articolo di una legge dell’84. Poi, durante la Commissione, siamo andati a vedere cosa prevedeva quell’articolo e in realtà era una cosa rilevante, ovvero andava ad aumentare la ritenuta d’acconto sull’indennità di malattia e sulla cassa integrazione.  La legge dell’84 prevedeva un 5%, poi negli anni questa ritenuta era stata diminuita al 2,5%. Ve l’abbiamo segnalato, vi abbiamo detto: non andiamo ad aumentare la ritenuta d’acconto proprio sulle persone in malattia o in cassa integrazione.  Qui bisognava scrivere “zero”, cioè non ci deve essere una ritenuta d’acconto sulla malattia e sulla cassa integrazione. Questo sarebbe stato il provvedimento più giusto in questo momento.  Perché dobbiamo far cassa proprio quando una persona è nel momento di maggiore difficoltà, cioè durante la malattia o la cassa integrazione? È vero che poi la ritenuta d’acconto viene recuperata, ma se vogliamo cercare di ridistribuire le risorse dello Stato in maniera più equa, questo sarebbe stato un intervento supplementare.  Abbiamo apprezzato che siete tornati indietro — o meglio, che vi hanno imposto di tornare indietro — quindi ritorna al 2,5%. Però qui lo scalino si poteva fare. L’abbiamo detto anche in Commissione: al di là dei tecnicismi su questi tipi di prelievo, noi pensavamo che si potesse fare un passaggio in più e mettere una ritenuta d’acconto pari a zero.  Prendiamo atto che comunque si è tornati indietro.