PDCS: condividere la narrazione dei fatti è alla base del rispetto
San Marino. Il nostro Paese sta vivendo in un clima di crescente contrapposizione politica fra maggioranza e opposizione, una contrapposizione che diventa ogni giorno più grave perché sembra coinvolgere tutti gli aspetti della civile convivenza e, nonostante il fatto che tutti rilevino le conseguenze negative di questa contrapposizione, nulla si fa per uscirne ed è sempre più difficile anche portare un contributo in tal senso senza che lo stesso venga fagocitato dal clima imperante. La prima e forse la più profonda delle cause che impediscono il superamento di questo scontro permanente sta nel fatto che la narrazione della realtà del Paese, l’insieme delle sue esigenze principali e delle risorse su cui può contare, non nasce dalla verifica dei fatti e quindi non parte dalla condivisione di un giudizio appassionato alla verità delle cose.
La condivisione della narrazione dei fatti è alla base della possibilità di affrontare la situazione che abbiamo davanti. Se ricordiamo anche l’ultimo incontro con il Fondo monetario, i dieci giorni di esame del nostro Paese nei quali la delegazione ha voluto incontrare anche i rappresentanti delle forze di opposizione, una cosa è stata evidente: anche il FMI è rimasto perplesso perché davanti alla gravità dei fatti, stiamo raccontando cose diverse, facciamo due narrazioni contrapposte. Quando succede questo c’è da preoccuparsi perché il Paese non è nelle condizioni adeguate per affrontare la situazione e la prima condizione per farlo è proprio condividere la narrazione dei fatti.
Ci riferiamo in particolare al Comunicato di SSD del 26 maggio u.s. e alla narrazione dei percorsi compiuti dal nostro Paese in esso contenuti in quanto ci appaiono emblematici della comunicazione con la quale SSD e la coalizione Adesso.sm stanno mistificando la realtà dei fatti. Secondo questa narrazione, colpa del Psd e causa quindi anche della scissione del Psd stesso per dar vita a SSD e alla coalizione Adesso.sm, è quella di essersi asservito alla DC descritta, a prescindere, come ostacolo a qualsiasi processo di cambiamento. Anche sul piano del semplice ragionamento logico sarebbe banale contestare questa tesi. La DC non ha mai governato da sola: non è accettabile pertanto l’equazione secondo la quale se un governo a guida democristiana fa qualcosa di positivo per il Paese, allora il merito è degli alleati; al contrario se in questi governi nascono problemi la colpa è della DC. E’ questo il ritornello che dall’inizio legislatura è stato ripetuto.
Entrando nel merito, lo stesso comunicato cita dei passaggi molto importanti per i percorsi fatti dal nostro Paese. Siamo usciti dalle varie black list, entrati nelle white list, indicando come decisivi due momenti. Il primo: la promulgazione nel 2011 della legge sullo scambio unilaterale di informazioni verso l’Italia. Non dice il comunicato che quello è stato proprio un passaggio possibile grazie alla condivisione della narrazione, prima ancora che dell’azione: al Moneyval e all’Ocse non siamo andati a raccontare storie contrapposte. Pur essendo forze diverse, alcune al governo e una all’opposizione, siamo andati a raccontare la stessa storia, i problemi che avevamo in mano, le esigenze del Paese, per condividere poi l’azione da fare per sbloccare la situazione nei confronti dell’Italia che stava ritardando la firma dell’accordo contro le doppie imposizioni e lo scambio di informazioni. Allo stesso modo, quando a fine 2012 ci sono state le elezioni e quindi il cambio di governo, non abbiamo perso neanche un giorno a convincere l’Italia e gli organismi europei che c’era continuità con il percorso fatto precedentemente e, con buona pace di SSD, il governo prima del 2012 e quello che dopo il 2012 erano entrambi a guida democristiana e la DC aveva, tra l’altro, prima la responsabilità delle finanze, poi quella degli esteri. Anche in questo risultato è stato possibile perché la descrizione che abbiamo fatto dei problemi e degli impegni del Paese era la stessa, era condivisa; è questo che ci ha dato immediata credibilità e ha accelerato in modo significativo i percorsi, consentendo in poco tempo la ratifica da parte del Parlamento italiano di tutti gli accordi pendenti e sempre all’unanimità, segno anche quest’ultimo che le questioni non erano percepite secondo un colore politico.
La narrazione poi, sempre secondo il comunicato di SSD, arriva a quello che sarebbe stato l’ambito più forte di opposizione e contrasto al cambiamento da parte della DC e quindi dei governi a guida democristiana: il settore bancario. Il grande problema era quello della trasparenza delle banche e quindi della necessità di una verifica dello stato di salute di tutti gli istituti bancari, il famoso AQR. Stiamo anche in questo caso alla verifica dei fatti. Il rapporto ufficiale del FMI del maggio 2016, a conclusione di una serie approfondita di valutazioni sul nostro sistema bancario, ci diceva che il problema più rilevante era quello del volume degli NPL e che, per mettere in atto una strategia globale per affrontare efficacemente questo problema, la stessa strategia doveva nascere da uno stretto coordinamento e collaborazione fra tutti i soggetti coinvolti: Vigilanza di Banca Centrale, Governo, settore privato ( sia banche che imprese), Magistratura. Senza una strategia globale che vedesse un coinvolgimento reale di questi attori il problema non si sarebbe affrontato adeguatamente. Questa raccomandazione diventava ancora più chiara quando il FMI parlava dell’AQR perché ci diceva che, oltre a conoscere lo stato di salute delle banche, la cura degli NPL richiedeva necessariamente la creazione di una società di gestione comune.
Andando molto in fretta, il 14 settembre, poco più di tre mesi dopo, visto che con Banca Centrale non si poteva parlare di quello che il Fondo ci indicava, smentendo chi continua a dire che il governo a guida DC non voleva farlo, abbiamo deciso insieme, dopo mesi di tentativi andati a vuoto, con una delibera del Congresso di Stato di inviare un documento a Banca Centrale per richiedere ufficialmente un confronto su questa strategia, stabilendo anche la data dell’incontro. La risposta è stata che il Presidente e il Direttore di Banca Centrale non si sono presentati all’incontro e hanno fatto consegnare una relazione con la quale il Presidente e il Direttore affermavano che tutto quello che era stato fatto precedentemente era sbagliato e per tutto il resto ( criteri dell’AQR, scelte politiche per il consolidamento del sistema bancario, accordi internazionali ) dovevamo lasciarli fare perché erano loro che dovevano decidere su tutto, dietro al paravento dell’autonomia e con minacce di denunce di ingerenza, su questioni che anche il FMI sottolineava essere di pertinenza di tutti gli attori del sistema, in primis del governo.
Adesso, alla luce di quello che sta emergendo dagli stralci dell’ordinanza del Giudice Morsiani sul “caso titoli”, coloro che hanno difeso a spada tratta questa interpretazione dell’autonomia fino a farla diventare la bandiera della rivoluzione che avrebbe accreditato a livello internazionale il nostro sistema bancario, cosa hanno da dire sul fatto che mentre i vertici di Banca Centrale si rifiutavano di parlare con il Congresso di Stato, gli stessi vertici prendevano ordini da soggetti esterni che altro non facevano che curare i loro interessi e, piegando a questi interessi le scelte attuate dentro al nostro sistema, hanno prodotto un aggravio insostenibile per il bilancio dello stato e dell’economia nazionale?
Si può continuare a raccontare così la storia e la natura dei nostri problemi? No! Noi non possiamo accettare che si continui questa narrazione e pretendere che dalla stessa venga fuori qualcosa di positivo. Al contrario quello che ne scaturisce è la percezione di un Paese che, non solo non riesce a trovare la strada comune per risolvere i problemi che lo affliggono e deprimono la sua economia e, cosa ancor più grave, la sua democrazia, ma non riesce nemmeno a condividere la valutazione sullo stato delle cose.
È grave il tentativo di ignorare tutto questo diffondendo una rappresentazione della realtà che sembra tutta tesa a legittimare forzatamente una situazione inaccettabile: ma, se le conseguenze di questa impostazione sono preoccupanti sul piano strettamente politico, come si può facilmente constatare dall’andamento dei lavori consigliari e dai contrasti sul piano istituzionale che stanno moltiplicandosi, lo sono altrettanto per la reazione che il disagio sociale, presente ormai in ogni ambito, può generare. Se poi aggiungiamo a questo, da un lato il rifiuto sistematico della maggioranza di prestare ascolto alle esigenze e alle osservazioni che la cittadinanza, anche per voce delle opposizioni, cerca di manifestare e, dall’altro, l’ostinazione con cui si finge di non vedere le implicazioni politiche prima ancora che penali, di questo stato di cose e l’uso sempre più frequente della ritorsione e della intimidazione verso chi non si conforma, l’esigenza di un cambiamento profondo appare sempre più evidente e perciò estremamente urgente per evitare, con grave danno di tutti, che lo scontro sociale aumenti e si allontani sempre più l’affronto realistico di quello che può consentire una prospettiva sostenibile per il futuro del Paese. Anche il richiamo legittimo a “riportare il confronto politico dentro i confini del rispetto” e “sulle idee”, stigmatizzando atti che sicuramente sono sopra le righe, può rimanere inefficace e fuorviante se non si parte dal riconoscimento delle responsabilità che sono in capo innanzitutto a chi dovrebbe creare le condizioni perché ogni cittadino si senta dalle istituzioni rispettato e rappresentato.
Non possiamo dunque nascondere la nostra grande e crescente preoccupazione perché se continuerà a non essere possibile condividere con questa maggioranza nemmeno la valutazione dei bisogni reali del Paese e delle regole del dibattito democratico, ci sarà impedito di svolgere adeguatamente la funzione che i cittadini ci hanno affidato che è quella di portare, pur da un ruolo di minoranza, un contributo fattivo e costruttivo alla ricerca del bene comune.
PDCS