Superba esecuzione dello Stabat Mater in Basilica
San Marino. Stabat mater dolorosa / juxta Crucem lacrimosa… Comincia così una preghiera cattolica del XIII secolo, tradizionalmente attribuita a Jacopone da Todi, e che compositori di ogni epoca hanno musicato, sempre con grande popolarità. Fino ad un musicista contemporaneo, Karl Jenkins, che ha caricato il testo liturgico latino di altri testi sacri, di sonorità dal timbro potente alternate a sfumature di struggente commozione, di significati che attingono a valori ancestrali e si connettono alla sensibilità moderna. E il dolore della Madre diventa il dolore di tutte le madri, cantato in tutte le lingue, dall’aramaico al greco, dal latino all’ebraico, dall’arabo all’inglese modero. Una commistione affascinante, che dà nuova vita anche a testi antichissimi, provenienti dall’epopea classica babilonese Gilgamesh e si mescola con l’idealità moderna dei sentimenti interreligiosi e interculturali. Ne esce un’intensa esplorazione del dolore e della sofferenza umana, uguale in tutti i tempi, nella continua ricerca del divino.
Superba, potentissima, assolutamente coinvolgente l’interpretazione offerta di questo “Stabat mater” da parte della “Corale San Marino”, accompagnata dall’orchestra “I Cameristi”, domenica sera,14 maggio. È l’ultimo concerto della stagione concertistica e, come vuole la tradizione, viene rappresentato in Basilica. I Capitani Reggenti in prima fila, con il vescovo Turazzi, alcuni rappresentanti di governo e un pubblico attentissimo, quasi senza fiato, assiepato fin sui gradini degli altari collaterali e intorno alle colonne. Dodici movimenti, senza soluzione di continuità, fino all’apoteosi finale, quando canto e musica si fondono in un messaggio di universale, eterna, bellezza. Il pubblico fa fatica a trattenere gli applausi per la bravura dei coristi, dei musicisti, delle due soliste, Kamelia Kader e Lorena Chiarelli, per il Maestro Fausto Giacomini, con il suo stile assolutamente trascinante. Solo alla fine esplode l’ovazione, entusiastica, liberatoria, perché è una di quelle sempre più rare occasioni in cui ci si sente orgogliosi di essere sammarinesi.