Consiglio Grande e Generale – Report lunedì 14 luglio 2025 mattina
Consiglio Grande e Generale, sessione 14-15-16-17-18 luglio 2025
Lunedì 14 luglio, mattina
In apertura di seduta, la Reggenza esprime un messaggio di cordoglio per la scomparsa di Rino Righi, padre del consigliere Fabio Righi.
A dominare il dibattito, nel corso della mattinata, è il tema dell’accordo di associazione con l’Ue. Secondo Nicola Renzi (RF) “esiste una vera cricca che non vuole l’accordo. A mio avviso, c’è chi oggi vuole difendere — come accadde già nel 2006 — rendite di posizione ormai indifendibili, che vanno contro l’interesse collettivo e a favore dell’utilità di pochi”. “C’è chi è convinto – aggiunge – che si debba fare un referendum preventivo prima della firma, oppure chi ritiene che l’accordo sia negativo. Ma in questo caso bisogna venire allo scoperto, bisogna dirlo apertamente”. “Qualcuno, forse, comincia ad avere paura, magari per mantenere uno status quo privilegiato – rileva Gian Carlo Venturini (PDCS) -. Ma questa non può essere la logica di una politica seria, che deve pensare al bene del Paese e non solo a interessi particolari. La Democrazia Cristiana non è pregiudizialmente contraria a un referendum sull’accordo. Ma in questo momento, rischia di rappresentare un rallentamento su un accordo che è stato costruito con anni di lavoro e condivisione da parte della maggioranza delle forze politiche, delle forze datoriali e dei sindacati”. “Nascondersi dietro il tema del referendum non risponde alla responsabilità che la cittadinanza ci ha affidato attraverso la democrazia rappresentativa – sostiene Massimo Andrea Ugolini (PDCS) -. Se qualche forza politica è contraria al percorso di associazione all’Unione Europea, oppure ritiene che quanto negoziato non sia soddisfacente, è giusto che lo dica pubblicamente”. “Se si dovesse arrivare a un referendum, strumento legittimo e previsto dal nostro ordinamento, non ci tireremo indietro – ribadisce Michele Muratori (Libera) -. Ma siamo anche fermamente convinti che, qualora si rendesse necessario, saremo pronti a spiegare ai cittadini la bontà e la giustezza di questo percorso. Non tolleriamo le strumentalizzazioni costruite ad arte, per destabilizzare e mantenere uno status quo che non è più tollerabile”. “I nostri giovani sono già internazionali, già europei. Studiano all’estero, fanno esperienze formative altrove e spesso decidono anche di restare fuori. Sappiamo benissimo che cosa ci chiedono: vogliono un futuro aperto, moderno. Questo futuro non riguarda solo loro, riguarda anche noi – dice Antonella Mularoni (RF) -. C’è chi pensa che non firmare l’accordo significhi mantenere certi privilegi, ma se non lo firmiamo, siamo finiti”. Mirko Dolcini (D-ML) torna a ribadire la richiesta di maggiori approfondimenti “senza la tifoseria del sì e del no” e critica il fatto “che chi chiede chiarezza venga etichettato come euroscettico, senza aver mai detto di essere contrario in linea di principio all’accordo. Per questo chiediamo chiarezza, trasparenza, informazione. E non venitemi a dire che il referendum va fatto dopo, perché alla luce di tutti questi investimenti, costi, adeguamenti, immaginate cosa succederebbe se a posteriori arrivasse un no”. “C’è qualcuno che sta cercando di sabotare questo percorso? – domanda il Segretario di Stato Matteo Ciacci -. Io non so chi sia questo eventuale sabotatore. Ma se qualcuno lo sa, lo dica chiaramente, con trasparenza e linearità. Le perplessità sono legittime, sempre, ma vanno affrontate con informazione forte e chiara”. “Quanto al referendum – interviene Matteo Casali (RF) – nessuno è pregiudizialmente contrario al suo utilizzo, nel rispetto dell’espressione popolare. Ma è fondamentale che non venga strumentalizzato, magari per coprire posizioni contrarie all’accordo, che non si ha il coraggio di esprimere pubblicamente”. Secondo Gerardo Giovagnoli (PSD) “i documenti esistono e sono pubblici: bisogna leggerli e confrontare le opinioni con i fatti. L’unica cosa vera è che serve più informazione. Ma, quando l’informazione è disponibile, non si può fingere che non esista. Allora qual è il vero timore di chi dice che perdiamo sovranità? In realtà, perdiamo quelli che qualcuno considera dei privilegi, una diversità che non possiamo più sfruttare. Questo sì, lo perderemo. O, forse, lo abbiamo già perso”. “Credo – afferma il Segretario di Stato Teodoro Lonfernini – che i cittadini abbiano ben compreso che tutti i programmi di governo dei partiti che compongono la maggioranza avevano come punto fondamentale il percorso di associazione all’Unione Europea, con il mandato di concluderlo nel modo più ragionevole e rapido possibile. Questo non è forse già un mandato democratico? Non è forse paragonabile a una chiamata alle urne referendaria? Io credo di sì”. Il Segretario di Stato Luca Beccari parla di “un accordo con l’Europa da affrontare a testa alta, non per evitare sanzioni o per inseguire qualcosa all’ultimo minuto. Non ci viene tolto nulla: ci viene data un’opportunità. Se vogliamo coglierla, bene. Altrimenti, dobbiamo sapere che non capiterà di nuovo, non tra un anno, non con una scusa”. Infine, “il referendum è un’azione politica, non un alibi. Un’azione politica significa che, con quel referendum, si prende una posizione chiara: per il sì o per il no. E giustamente, al no deve corrispondere un’alternativa, perché il sì ha già un’opzione concreta collegata. Il no, al momento, non ce l’ha: ha solo delle suggestioni”.
Spazio anche ad altre riflessioni, come quelle di Dalibor Riccardi (Libera): “Personalmente faccio fatica a restare in silenzio sul tema della Palestina. Ogni giorno assistiamo a immagini terribili, e non posso, da parlamentare, non condannare quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza”. Matteo Zeppa (Rete) annuncia un Odg sulla figura della relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, per impegnare il Congresso di Stato “a proporre il conferimento a Francesca Albanese di un’onorificenza e/o della cittadinanza onoraria della Repubblica di San Marino; a presentare la candidatura di Francesca Albanese al Comitato per il Nobel norvegese affinché le venga conferito il prossimo Premio Nobel per la Pace”.
Sui progetti incompiuti – e sui possibili finanziamenti agevolati per ospedale ed aeroporto – si sofferma il Segretario di Stato Federico Pedini Amati. “Questo è il dramma di questo governo, e forse anche del precedente: girare a vuoto. Io mi sono stancato di girare a vuoto”. Serve “quindi una roadmap su cosa fare – se dobbiamo chiamarla verifica di governo, chiamiamola verifica di governo e di maggioranza – e tempi certi. Altrimenti, non si va avanti”.
Di seguito una sintesi dei lavori
Comma 1 – Comunicazioni
Miriam Farinelli (RF): Uno dei compiti dell’opposizione è quello di essere gli occhi e la voce dei cittadini, e in questo ruolo mi voglio porre. Non è possibile ignorare il comunicato della Giunta di Città, che ha inteso affrontare pubblicamente il tema del degrado urbano e del decoro della città di San Marino. Un tema da tempo sentito da tutti i cittadini che frequentano il nostro centro storico, e in particolare da coloro che vi abitano. Negli ultimi tempi anche a noi rappresentanti dell’opposizione sono arrivate segnalazioni da parte di cittadini e commercianti. Saltano agli occhi di tutti aree pubbliche tenute nell’incuria, con arredi urbani danneggiati, strade dissestate, rifiuti abbandonati nelle zone turistiche, verde pubblico trascurato. Aree in stato di abbandono, come quella di Villa Malagola, ridotta a un bisciaio, con la vegetazione che cresce in maniera selvaggia, e in cui la via che collega lo Stradone con via della Capannaccia è chiusa da anni. Così come lo è la gran parte del giardino adiacente all’ex Cinema Turismo. Indico ancora l’eterno cantiere che dovrebbe ristrutturare il nostro carcere e che blocca da anni la scala di accesso a via Onofri. E ancora, nella zona alta di Città, uno degli angoli più belli del Paese: la condizione di degrado in cui versa il Nido del Falco. Le fontanelle che erogano acqua, in caso di malfunzionamento, vengono riparate con settimane di ritardo e poi non più riattivate ancora per settimane, senza pensare che l’acqua serve alle persone, ai turisti, agli animali. Controllate, ad esempio, quella di Piazzale Lo Stradone. Se poi volete toccare con mano il degrado del centro storico, fate una passeggiata in via dei Bastioni, la via che porta al ritrovo dei lavoratori: così capite tutti di quale zona si tratta. Da una serranda semiaperta spunta il corpo di un grosso topo in avanzato stato di decomposizione, con cattivo odore e parassiti. È lì da non meno di tre settimane. Anche stamattina era lì. È tollerabile tutto questo, considerando che la segnalazione è stata fatta per iniziativa di privati cittadini ed è stata evidentemente ignorata, se è vero che lo scempio è ancora sotto gli occhi di tutti. A tutto questo si associano le frequenti manifestazioni che paralizzano l’accesso al centro storico da parte di turisti e residenti, molte delle quali non giustificate sotto l’aspetto dell’attrattività e molto scarsamente frequentate, magari — come accaduto recentemente — anche disordinate sotto l’aspetto della sicurezza. Il rischio di incidenti cresce in maniera vertiginosa. Ancora: provate a raggiungere Piazzetta del Titano o la Piazzetta dell’Ufficio Filatelico alle 10 del mattino. In pratica abbiamo toccato con mano quanto siano impraticabili per il traffico di veicoli, furgoni di fornitori, auto con targhe straniere, auto dei dipendenti pubblici, fattorini, personale delle varie Segreterie. È normale tutto questo? Chiediamocelo. La zona non dovrebbe essere pedonale, almeno per la maggior parte della giornata, e controllata di conseguenza. E le colate di olio dalle automobili rovinano irrimediabilmente le belle pavimentazioni di pietra: danni che paga sempre Pantalone. Tutti questi rovesci non solo compromettono il decoro della nostra città, patrimonio dell’UNESCO e simbolo della nostra storia, ma compromettono l’immagine turistica e il benessere della comunità. San Marino ha una storia millenaria che merita di essere custodita nel decoro e nella dignità degli spazi urbani. Merita rispetto, senza danneggiare chi vi lavora e chi vi abita. La Giunta ha scritto recentemente: “Il decoro della nostra città è un bene comune e come tale va difeso. Non è solo una questione estetica, ma di civiltà, sicurezza, vivibilità e immagine internazionale.” Frasi queste da sottoscrivere, che porto all’attenzione del Consiglio Grande e Generale e di chi, come Governo, ha il compito e il potere di intervenire.
Sandra Stacchini (PDCS): Quest’anno si celebra il trentennale dell’Evangelium Vitae, l’enciclica pubblicata nel 1995 da Papa San Giovanni Paolo II. Non si tratta di un semplice documento religioso, ma di un messaggio universale: la vita è un bene inviolabile da proteggere sempre e ovunque. In un tempo segnato da guerre, disuguaglianze e fragilità sociali, difendere la vita non può restare un principio astratto. È un’urgenza concreta, una responsabilità politica. In questo contesto c’è una verità che dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia: un numero crescente di giovani si toglie la vita, non solo nel resto del mondo, ma anche qui a San Marino, quella che dovrebbe essere un’enclave di pace e di libertà. Ragazzi e ragazze che, dietro una maschera di normalità, nascondono il buio della solitudine, dell’ansia, della depressione. Quando un giovane si arrende al dolore non è solo una tragedia privata: è un grido di allarme sociale, è la prova che le nostre politiche sulla scuola, sulla salute mentale, sulla famiglia hanno bisogno di essere migliorate. Occorre contribuire a creare una nuova cultura. Il lutto di queste famiglie diventa per noi tutti una chiamata a non girare lo sguardo. La loro sofferenza è la nostra responsabilità politica: vigilare, intervenire, sostenere, costruire speranza. Riportare la cultura della vita significa dire con forza ai nostri giovani: “La tua vita vale, non sei solo, il futuro ha ancora spazio per te.” Difendere la vita significa rimettere al centro l’umano in ogni scelta politica, potenziare i servizi esistenti, finanziare centri di ascolto e aggregazioni civili e religiose centrate sulla prevenzione, perché il dolore psicologico non diventi un silenzioso assassino. Cito, come esempio fruttuoso, la comunità salesiana, che si impegna con successo a prevenire situazioni di rischio attraverso un ambiente educativo positivo e accogliente per i giovani. Difendere la vita significa formare insegnanti, educatori e famiglie ad accorgersi di chi sta male. Significa anche investire nella cura degli anziani e dei fragili, che non possono essere scartati come ingombro sociale. Oggi la politica deve scegliere: o cultura della vita o cultura dello scarto. Non possiamo più tollerare una società in cui si misura il valore delle persone in base a ciò che producono. Una società giusta si riconosce da come tratta chi non ha voce. Rimettere al centro la vita non è una questione ideologica, è la più alta politica possibile, perché dove la vita viene difesa fioriscono anche la libertà, la giustizia e la pace. Facciamo della politica un servizio vero, perché la vita sia sempre la prima, la più grande priorità. Trenta anni fa, l’Evangelium Vitae ci ha ricordato che la vita non è proprietà di nessuno, ma dono per tutti. Oggi dobbiamo renderlo vero con leggi, con fondi, con visione. Non c’è sviluppo se lasciamo soli i fragili. Non c’è futuro se perdiamo i nostri giovani. Difendere la vita è il primo atto di ogni politica che voglia dirsi davvero umana, perché – come è stato scritto – la distinzione tra vita degna e vita indegna distrugge, presto o tardi, la vita stessa, creando costume e mentalità dello scarto.
Nicola Renzi (RF): In questi giorni, prima del Consiglio Grande e Generale, si è sviluppato nuovamente un ampio dibattito sull’Unione Europea. Un dibattito che, per molti aspetti, non può che colpire. Il primo aspetto da ricordare è che, un anno fa, ci sono state le elezioni. Tutti noi abbiamo presentato dei programmi elettorali. In quei programmi c’erano affermazioni molto chiare: quasi tutte le forze politiche avevano indicato, come primo punto da realizzare, la firma dell’Accordo di Associazione con l’Unione Europea. Credo di poter dire che la stragrande maggioranza delle forze presenti in quest’Aula aveva questa posizione. Il secondo aspetto, a mio avviso ancora più rilevante, riguarda il fatto che, in quest’Aula, nel corso di più legislature, sono stati votati miriadi di ordini del giorno — spesso all’unanimità — con l’obiettivo di concludere il negoziato e arrivare alla firma dell’Accordo di Associazione.Eppure, ha ripreso vigore un dibattito che io ritengo assolutamente strumentale, teso a mettere fine, o quanto meno a minare dalle radici, il percorso di associazione con l’Unione Europea. E ciò che non capisco è come sia possibile che, dopo 15 anni di lavoro, ci sia oggi chi sostiene che questo percorso non vada più bene. Se continuiamo così, la Repubblica di San Marino difficilmente potrà raggiungere traguardi. Abbiamo lavorato per 15 anni con il sostegno, più volte unanime, di quest’Aula, con il supporto delle forze sindacali, con gli imprenditori che ci dicono apertamente: “Siamo a rischio chiusura se non si arriva all’accordo”. Chi oggi dice no all’Accordo di Associazione deve anche dire sì a qualcos’altro. Perché tutti sappiamo che non è possibile mantenere lo status quo. Lo status quo non è sostenibile, purtroppo. In questo dibattito che è riesploso, ci sono motivazioni anche sincere, e a queste dobbiamo prestare attenzione. C’è chi è convinto che si debba fare un referendum preventivo prima della firma, oppure chi ritiene che l’accordo sia negativo. Ma in questo caso bisogna venire allo scoperto, bisogna dirlo apertamente. A chi invece è favorevole all’accordo, spetta un compito fondamentale: abbandonare arroganza e supponenza, e avere il coraggio di stare tra la gente, di rispondere alle paure. E lasciatemelo dire: non è stato fatto abbastanza. Ce lo dobbiamo dire chiaramente. Non deve diventare un alibi, ma uno stimolo: dobbiamo rimboccarci le maniche e iniziare a farlo. Certo, ci sarà sempre chi non vuole capire, chi continuerà a cercare nuove motivazioni o scuse. Se saranno sincere, dovremo farne tesoro; se saranno solo pretesti, dovremo metterle da parte. Non è tutto. Vi invito a rileggere, se vi capita, un’intervista che rilasciai tempo fa a un sito di informazione, Insider, mentre ero al Consiglio d’Europa. Forse fui il primo a scrivere, nero su bianco, che esiste una vera cricca che non vuole l’accordo. A mio avviso, c’è chi oggi vuole difendere — come accadde già nel 2006 — rendite di posizione ormai indifendibili, che vanno contro l’interesse collettivo e a favore dell’utilità di pochi. C’è chi dice: “Ne andrà della nostra sovranità?”. Ma, signori, la sovranità è riconoscimento. Quando un organismo come l’Unione Europea è disposto a firmare un documento con noi, quello è il più alto atto di sovranità possibile. Ad oggi, questo riconoscimento non esiste. Un primo passo, importante, è stato fatto quando l’Unione Europea ha deciso di accreditare un ambasciatore a San Marino. È un passo diplomatico rilevante. Senza il riconoscimento degli altri, non esiste vera sovranità. E oggi cosa intendiamo per sovranità? Nella guerra dei dazi, mentre io sto parlando, probabilmente le borse stanno crollando. Nemmeno le superpotenze sono sovrane se non trovano un modus vivendi. Ecco perché noi abbiamo sempre sostenuto il multilateralismo. Mi avvio a citare rapidamente quattro elementi, perché il tempo è tiranno. Primo punto: Senza l’accordo, non possiamo stipulare accordi bilaterali con i singoli Stati membri dell’UE. Abbiamo avuto un esempio concreto quando, da Segretario di Stato, trattai con l’Italia un accordo per il riconoscimento dei titoli di soggiorno. Un accordo importantissimo per noi. Ci fu detto di no, perché la materia è di competenza concorrente dell’Unione Europea. Oggi ciò che abbiamo deriva ancora dalla Convenzione del 1939 e da accordi successivi, ma sono subordinati al diritto europeo. Domani potremmo trovarci con nuove frontiere, controlli doganali e documentali. E non lo dico per allarmare, ma per realismo. Secondo punto: i comitati misti. Le nostre aziende oggi vedono le direttive europee solo una volta adottate. Con l’accordo, potremmo partecipare all’iter normativo, avanzare richieste, chiedere periodi transitori, discutere le direttive prima della loro applicazione. È o non è questa una forma più alta di forza e presenza? E infatti, cosa abbiamo oggi in quest’Aula? Commi trattati con procedura d’urgenza perché rischiamo di far chiudere aziende intere. E allora non basta? Terzo punto: il sistema bancario. Oggi i nostri istituti non hanno accesso al passporting europeo. Come possiamo competere con gli altri? Perché da noi i mutui e l’erogazione del credito costano di più? Anche questo è un effetto dell’isolamento. Quarto punto: il T2. Qualcuno dirà: “Il T2 non si risolve con l’accordo?”. Ma certo che no. Lo sappiamo da sempre. Ma senza l’accordo non si risolverà mai. Questo dobbiamo dircelo con chiarezza. Concludo. Abbiamo intrapreso un percorso che ha coinvolto tutti noi, da 15 anni. Ora dobbiamo fare due cose, e due sole. La prima: rimboccarci le maniche, umiltà, confronto con le persone, sempre. Repubblica Futura, se volete, c’è: siamo disponibili a spiegare i vantaggi, a rispondere a tutte le domande. Studiatevi i meccanismi. Noi ci siamo. Anche a costo di rinunciare alle ferie. La seconda: arrivare finalmente alla firma dell’accordo.
Maria Donatella Merlini (PSD): Alla decisione che il Partito dei Socialisti e dei Democratici ha condiviso con la maggioranza di sospendere, fino alla fine dell’anno in corso, il meccanismo automatico della stabilizzazione degli insegnanti — di cui al Decreto n. 91 del 27 giugno 2025 — attribuisco un valore coraggioso e responsabile. È una scelta che mira ad aprire un confronto ragionato, che coinvolga pienamente gli attori principali, non solo sui meccanismi “tecnici” — concorsi, periodi di prova, automatismi, punteggi, anzianità e altro — ma su una domanda più ampia: quale scuola vogliamo? Quale scuola è necessaria, se davvero crediamo che il futuro dei ragazzi, e quindi del Paese, passi da lì? La complessità di oggi porta con sé anche problemi, disagi e fragilità, vecchie e nuove, che impattano inevitabilmente sulla scuola, sui suoi operatori e sulla sua organizzazione. Se non si definisce prima che tipo di scuola vogliamo, sarà difficile stabilire quale modalità di accesso sia la più giusta. Il tema del reclutamento degli insegnanti è da tempo presente nei ragionamenti sulla scuola, ma non è mai stato affrontato con il giusto impegno, pur sapendo quanto sia cruciale. In alcuni Paesi europei, ad esempio, la selezione avviene già all’iscrizione al corso di laurea; in altri, dopo un anno di ruolo, è previsto un esame di idoneità; in altri ancora, il primo anno di insegnamento è accompagnato da un tutor. Questo per dire la delicatezza e l’importanza che viene riconosciuta alla professione dell’insegnante. Anche noi immaginiamo una scuola che riconosca nell’insegnante una figura centrale nel cambiamento culturale; una scuola che, oltre ai saperi, sia attenta all’ascolto, alla pratica di relazioni positive ed efficaci, come base per l’apprendimento. Una scuola che non lasci mai soli gli insegnanti nel difficile compito di accompagnare la crescita dei ragazzi al meglio delle loro possibilità. Questa sospensione, questo tempo che il Decreto 91 offre, deve essere l’occasione per costruire un accordo che non si limiti a gestire l’esistente, ma abbia il valore di una vera riforma. Non vogliamo limitarci a dire “sì” o “no” ai concorsi. Sappiamo che esistono timori e dubbi tra gli insegnanti, comprensibili, e che vanno ascoltati. La politica non può fermarsi al qui e ora: ha il dovere di confrontarsi con la realtà della denatalità, che è già un dato di fatto nel nostro Paese, e con l’eventualità di avere, in futuro, insegnanti in sovrannumero, a cui è giusto offrire risposte di prospettiva. Ripongo molta fiducia negli insegnanti: professionisti intellettuali, per definizione capaci di affrontare il cambiamento, di governarlo, di orientarlo. E anche ai dirigenti scolastici, in questa fase delicata, è chiesto di essere ancora più guida e promotori di partecipazione. L’impegno dei Socialisti e dei Democratici è quindi rivolto a tenere insieme i diritti degli insegnanti: da un lato, è inaccettabile che si debbano attendere anni per accedere alla stabilizzazione lavorativa; dall’altro, è altrettanto importante considerare, oltre all’an, anche la qualità dell’insegnamento, il merito, l’impegno, e la sostenibilità economica delle scelte che verranno fatte. Noi, che abbiamo una lunga tradizione di impegno nella scuola, non intendiamo sottrarci alla complessità. Pensiamo che l’equilibrismo politico non sia più sufficiente. È necessario prendere decisioni il più possibile condivise, ma scrupolose e di lungo respiro. Lo dobbiamo a chi lavora nella scuola, ai ragazzi, alle loro famiglie.
Massimo Andrea Ugolini (PDCS): L’Accordo di associazione all’Unione Europea ha rappresentato un punto chiave presente in tutti i programmi elettorali delle varie forze politiche che si sono presentate alle ultime elezioni politiche, svoltesi poco più di un anno fa. Sappiamo molto bene quanto sia centrale e nevralgico il tema della firma dell’Accordo di associazione con l’Unione Europea. È bene ricordare che non si tratta di una richiesta di adesione all’Unione Europea, ma di un accordo che, nel rispetto del mandato elettorale ricevuto alle ultime elezioni e dell’esito del referendum del 2013 può rappresentare una risposta concreta e coerente alla volontà politica espressa nel tempo. Come dicevo, nel rispetto di questi elementi, credo che questo accordo consentirà ai nostri cittadini e alle nostre imprese una maggiore integrazione all’interno del contesto europeo, attraverso regole certe, valide sia per la Repubblica di San Marino che per l’Europa. Lo ricordava poco fa anche il consigliere Nicola Renzi: oggi ci troviamo a dover affrontare, in procedura d’urgenza e all’interno dell’ordine del giorno del Consiglio Grande e Generale, un progetto di legge per recepire alcune direttive europee, con l’obiettivo di permettere alle nostre imprese di continuare ad operare all’interno del mercato europeo. Ci sono dei momenti in cui la politica deve avere il coraggio di assumersi le proprie responsabilità: una responsabilità che la cittadinanza ci ha affidato tramite il mandato elettorale, e che è contenuta anche negli impegni previsti nei programmi di governo votati poco più di un anno fa. Se in quest’Aula consiliare vi è la consapevolezza che l’accordo negoziato con la Commissione Europea — un percorso che ha attraversato governi diversi dal 2008 ad oggi — rappresenti un buon punto di approdo, e se si ritiene che le opportunità e i vantaggi che esso comporta siano di gran lunga superiori alle preoccupazioni che pure meritano ascolto, allora credo che sia nostro dovere lavorare affinché si arrivi quanto prima alla firma, con convinzione e consapevolezza. Nascondersi dietro il tema del referendum — dove ormai la discussione non pare più incentrata sulla bontà del negoziato, ma sul “referendum sì o no”, “referendum prima o dopo” — non risponde alla responsabilità che la cittadinanza ci ha affidato attraverso la democrazia rappresentativa. Se qualche forza politica è contraria al percorso di associazione all’Unione Europea, oppure ritiene che quanto negoziato non sia soddisfacente, è giusto che lo dica pubblicamente. In caso contrario, diventa difficile spiegare come, all’interno di quest’Aula, tutti possiamo essere d’accordo sul fatto che questo sia il percorso migliore, che si tratti di un buon accordo, ma poi ci si voglia disimpegnare politicamente, delegando la scelta a un referendum. Il referendum è certamente uno strumento democratico molto importante, ma ha regole proprie. E se sarà necessario, verrà utilizzato. Tuttavia, la politica non può fuggire dalle proprie responsabilità, soprattutto su decisioni fondamentali che riguardano il futuro del nostro Paese. Mi pare, ascoltando il dibattito in Aula, che ci sia una larga condivisione sull’importanza del negoziato. Tuttavia, le forze politiche che si sono presentate ufficialmente alle elezioni dovrebbero, per coerenza, attenersi a quanto promesso. Se andiamo a rileggere i programmi elettorali — come ricordava anche il consigliere Renzi — vediamo chiaramente che quasi tutti i programmi delle ultime elezioni mettevano al primo punto la firma dell’Accordo di associazione all’Unione Europea. A partire dal programma della coalizione Libera-PSD-PS, che fu il primo ad essere sorteggiato. Il primo punto di quel programma diceva: “Rendere operativo e funzionale lo sviluppo del Paese attraverso l’Accordo di associazione con l’Unione Europea”. Ora, il Partito Socialista pare dissociarsi da questa posizione. Non si è mai fatto menzione del referendum nei programmi elettorali, e oggi dissociarsi da quella linea pone un problema di coerenza. Ribadisco: è giusto che ogni cittadino possa avere la propria opinione. Ma non esiste oggi alcuna forza politica che, presentandosi alle ultime elezioni, abbia paventato il ricorso a un referendum. Al contrario, l’obiettivo della firma dell’accordo era indicato come punto prioritario nei vari programmi di governo. Certamente è necessario intensificare gli incontri pubblici e le attività informative per spiegare alla cittadinanza la portata di questo negoziato e i benefici concreti che ne potranno derivare. Sul sito della Segreteria di Stato per gli Affari Esteri è già da tempo disponibile il testo integrale dell’accordo, con tutti gli elementi informativi essenziali. Possiamo fare di più, e dobbiamo farlo. È un nostro compito e continueremo su questo percorso.
Gaetano Troina (D-ML): Questo sarà indubbiamente un Consiglio denso di contenuti e di tematiche significative da affrontare, ma già in questo comma comunicazioni vedo che sono emersi diversi argomenti che meritano attenzione. Ce ne sono alcuni che anche io vorrei approfondire. Approfitto innanzitutto della presenza in Aula del Segretario al Territorio per evidenziare una criticità di cui sono venuto a conoscenza in ambito professionale. A fronte dell’approvazione, in quest’Aula, lo scorso aprile, della legge sull’emergenza casa, ad oggi mi risulta che gli istituti bancari non abbiano ancora firmato alcuna convenzione con lo Stato per attivare le condizioni agevolate previste dalla norma. Questo significa che, di fatto, l’emergenza casa è ancora un’emergenza, e tale rimane. Vorrei quindi sapere se questa informazione è confermata e, nel caso, invito il Segretario a confrontarsi col collega Gatti per chiarire quali siano le tempistiche e, soprattutto, le eventuali difficoltà che hanno impedito la stipula delle convenzioni. Altrimenti, ci troviamo con una legge che avrebbe dovuto risolvere un problema, ma che invece non ha ancora prodotto alcun effetto concreto. Passo poi al tema del centro storico, che è stato già toccato anche dalla collega Farinelli. Anche noi, la scorsa settimana, siamo intervenuti con un comunicato stampa perché è evidente che in questo momento alcune zone del centro storico versano in condizioni critiche e necessitano di interventi urgenti. Ricordo, ad esempio, la zona dell’ex pattinaggio, che è oggi un cantiere. Ci troviamo nel pieno del periodo estivo, in pieno boom turistico, e quell’area risulta bloccata, con i lavori sospesi fino a fine estate. Molti turisti che parcheggiano lì devono attraversare un cantiere a cielo aperto per accedere al centro. C’è poi l’area dell’ex Cinema Turismo, che doveva diventare un auditorium e che invece è ferma da molto tempo. La scala franata nelle vicinanze, danneggiata in occasione delle alluvioni in Emilia-Romagna, è segnalata da un cartello, ma anch’essa è abbandonata da tempo. Non è possibile che in un punto così nevralgico del nostro Paese si trovino strutture abbandonate che potrebbero avere un potenziale enorme. Vorrei vedere il nostro centro storico valorizzato una volta per tutte. Abbiamo le possibilità di trasformarlo davvero in un gioiello. Non posso accettare che il nostro centro storico, di sera, sia un deserto: un cantiere, con negozi chiusi e turisti che passeggiano chiedendosi cosa fare, perché non c’è nulla da fare. Apprezzo gli sforzi del Segretario Pedini, che ha fatto tanto per animare la città con eventi, ma serve anche altro. Servono regole, serve disciplina, serve la capacità di fare squadra. Abbiamo un potenziale enorme e lo stiamo sprecando. Ci tengo a toccare altri due temi trattati recentemente in Commissione Finanze. Il primo riguarda il progetto di legge sui titoli del debito pubblico. Ritengo che si sia trattato di un passaggio triste per la nostra democrazia. Il testo — che arriverà prossimamente in Aula — prevede che da ora in avanti i titoli del debito pubblico siano gestiti esclusivamente tramite regolamento del Congresso di Stato, senza più passaggi in quest’Aula. L’unico controllo sarà rappresentato dall’importo indicato nella legge di bilancio o dalle eventuali variazioni. Tutto il resto sarà nelle mani del Congresso. Non faccio una critica a questo governo in particolare: parlo in generale, perché le maggioranze cambiano. Ma aver delegato al Congresso di Stato un potere così importante svuota quest’Aula di un suo compito fondamentale: il controllo. Di fatto, si affida alla Segreteria Finanze un potere enorme, compresa la scelta dei consulenti — o come si dice oggi, degli advisor — che ritiene opportuni. Il secondo tema è quello relativo al progetto di legge su Banca Centrale. In prima lettura era stato presentato un testo per modificare la composizione del Consiglio Direttivo. In Commissione, però, ci siamo ritrovati un testo completamente stravolto, che riportava la formulazione originaria e aggiungeva emendamenti su altri temi dello statuto. Questo ha impedito un vero esame parlamentare in prima lettura. Ora ci ritroveremo in Aula, in seconda lettura, un testo totalmente diverso da quello iniziale, con l’unico articolo originale tornato indietro. Se questo diventa il modus operandi abituale, abbiamo un problema di democrazia. Portare un testo in prima lettura e poi cambiarlo completamente in Commissione, per approvarlo in seconda lettura senza possibilità di modifiche, non è rispettoso del Parlamento né dei cittadini.
Gian Carlo Venturini (PDCS): Anche io desidero fare alcune considerazioni, in particolare sul tema dell’Accordo di associazione con l’Unione Europea, perché concordo con chi ha osservato che, essendo arrivati alle battute finali, in quest’ultimo mese e in queste ultime settimane si è riacceso il dibattito, ma in modo — a mio avviso — negativo, non positivo. È importante ricordare che dell’Accordo di associazione si parla da circa 15 anni. L’avvio ufficiale risale al 2015 con l’allora Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri, Federica Mogherini. Si tratta quindi di un decennio di trattative, portate avanti da governi diversi, ma sempre nella convinzione che l’accordo fosse importante e fondamentale per la nostra Repubblica. Come ricordava anche il collega Renzi, ci sono stati numerosi ordini del giorno, molti votati all’unanimità, e l’Accordo era presente nei programmi elettorali di quasi tutte le forze politiche nella tornata elettorale più recente. Allora qualcosa non torna. Qualcuno, forse, comincia ad avere paura, magari per mantenere uno status quo privilegiato. Ma questa non può essere la logica di una politica seria, che deve pensare al bene del Paese e non solo a interessi particolari. L’Accordo di associazione non è un’adesione piena all’Unione Europea, non comporta il recepimento totale dell’acquis communautaire. È una via intermedia, che consente di non rinunciare alla nostra sovranità: San Marino manterrà lo status di Paese terzo, indipendente, ma otterrà un accesso strutturato e stabile al mercato unico europeo. Questo è importante anche per i cittadini: non saranno più trattati come extracomunitari, ma potranno godere di una mobilità semplificata per studio, lavoro e residenza in UE, con meno burocrazia e condizioni più favorevoli. Lo stesso vale per le imprese: l’accordo permetterà il superamento di complicazioni burocratiche e incertezze normative che ostacolano le esportazioni, e aprirà ulteriori spazi per migliorare gli scambi commerciali. Sul tema del referendum, voglio sottolineare che un referendum c’è già stato, nel 2013, e riguardava l’adesione all’UE, non l’associazione. In quell’occasione i “sì” furono più dei “no”, ma non fu raggiunto il quorum. Tuttavia, quella sensibilità espressa dai cittadini fu tenuta in considerazione: da lì prese avvio il percorso verso l’associazione, una soluzione intermedia che ci permette di entrare nel mercato unico senza essere Stato membro. La Democrazia Cristiana non è pregiudizialmente contraria a un referendum sull’accordo. Ma in questo momento, rischia di rappresentare un rallentamento su un accordo che è stato costruito con anni di lavoro e condivisione da parte della maggioranza delle forze politiche, delle forze datoriali e dei sindacati. Chi oggi vuole bloccare l’accordo, secondo me, vuole mettere in difficoltà il Paese. E fermarsi ora significherebbe davvero perdere sovranità, perché è proprio restando fuori dai processi di integrazione che si diventa irrilevanti. Come ricordato anche dal collega Renzi, e come ho detto in una recente intervista, il nostro rapporto privilegiato con l’Italia è fondamentale, ma oggi non siamo più nel tempo in cui bastava un rapporto bilaterale esclusivo con il Paese confinante. Gli accordi bilaterali che ogni Stato membro può firmare con Paesi terzi devono inserirsi in un quadro generale comune, quale quello previsto dall’Accordo di associazione. Mantenere un rapporto stretto con l’Italia è e resta fondamentale — è uno scambio quotidiano e una collaborazione imprescindibile — ma serve anche un riconoscimento a livello internazionale della nostra posizione. E non firmare questo accordo significherebbe perdere quotidianamente pezzi della nostra sovranità. Basta vedere cosa è accaduto con il settore bancario e finanziario: abbiamo dovuto recepire direttive europee altrimenti le nostre banche non avrebbero nemmeno potuto fare un bonifico da San Marino a Rimini. Questo conferma l’importanza di essere integrati in un contesto internazionale più ampio, mantenendo, al contempo, relazioni bilaterali strategiche. Un altro esempio di riconoscimento della nostra sovranità è rappresentato dalle numerose convenzioni internazionali che abbiamo firmato: sia nell’ambito del Consiglio d’Europa, sia con le Nazioni Unite. E anche in questi giorni, nell’ultimo mese, due sentenze della Corte di Cassazione italiana hanno riconosciuto la validità degli accordi internazionali in materia di collaborazione giudiziaria, in procedimenti che riguardavano San Marino. Questo, nonostante la presenza di altri accordi bilaterali. Queste sentenze, che coinvolgono anche Banca Centrale e Cassa di Risparmio, riconoscono il diritto e la legittimità delle collaborazioni giudiziarie tra le autorità sammarinesi e italiane, comprese procure come Napoli, Roma, Firenze. È un riconoscimento concreto che deriva dall’essere parte di accordi internazionali. Ecco perché, concludendo, credo che l’Accordo di associazione sia coerente con la nostra storia diplomatica, con la nostra vocazione internazionale e con la nostra volontà di difendere la sovranità nel solo modo possibile oggi: partecipando, regolando, scegliendo da protagonisti, e non rimanendo isolati.
Michele Muratori (Libera): Anche io desidero fare alcune considerazioni, in particolare sul tema dell’Accordo di associazione con l’Unione Europea. Concordo con chi ha detto che, essendo ormai giunti alle battute finali di questo percorso, il dibattito nelle ultime settimane si è acceso, ma purtroppo in senso negativo, non positivo. È stato giustamente rievocato un passaggio storico molto delicato, quello del 2006, che, a mio modo di vedere, ha creato enormi problemi alla Repubblica di San Marino. Grazie anche alla Commissione d’inchiesta sulle malefatte del sistema bancario, abbiamo compreso meglio le vere ragioni che allora portarono a interrompere i rapporti con l’Italia, nel tentativo di mantenere uno status quo ormai insostenibile e dannoso per il nostro Paese. Si è detto che l’allora ministro degli Esteri italiano, Gianfranco Fini, fosse già sull’aereo per arrivare a Rimini e firmare un accordo bilaterale con San Marino. Eravamo a un passo dalla conclusione. Ma qualcuno, in patria, ha agito non da statista, ma per interessi personali o di una parte a lui vicina, e ha interrotto quel processo. Il risultato? Inserimento nella blacklist, poi nella grey list, lo scudo fiscale del 2009, la crisi sistemica tra il 2008 e il 2011. Una fase durissima per San Marino. La ripresa dei rapporti con l’Italia è arrivata solo nel 2011. Fummo noi, con convinzione, a sostenere il percorso di trasparenza, compreso lo scambio automatico di informazioni, fino ad arrivare al referendum del 2013, che puntava all’adesione vera e propria all’Unione Europea. In quella occasione, i “sì” superarono i “no”, ma non fu raggiunto il quorum. Oggi non stiamo parlando di adesione, ma di associazione, e proprio per questo come Libera siamo ancora più convinti che questa sia la strada giusta per San Marino. È stato detto che nel Paese si parla di referendum. Io credo che la stragrande maggioranza dei programmi elettorali dei partiti rappresentati in Consiglio indicasse chiaramente la volontà di rafforzare l’integrazione con l’Unione Europea, proprio attraverso l’accordo di associazione. È uno dei temi centrali di questa maggioranza e di questo governo. Viviamo in una democrazia rappresentativa. E credo che la politica, oggi più che mai, abbia il dovere di assumersi la responsabilità di andare nella direzione che i cittadini hanno indicato con il voto. È chiaro che, se si dovesse arrivare a un referendum, strumento legittimo e previsto dal nostro ordinamento, non ci tireremo indietro. Ma siamo anche fermamente convinti che, qualora si rendesse necessario, saremo pronti a spiegare ai cittadini la bontà e la giustezza di questo percorso. Ripeto ancora una volta, anche per evitare equivoci: con l’accordo di associazione non entriamo nell’Unione Europea. Entriamo in un’area di integrazione economica, molto simile allo Spazio Economico Europeo, dove si trovano Norvegia, Islanda e Liechtenstein. E proprio il modello Liechtenstein, così simile al nostro, ha dimostrato la sua validità: in un sondaggio recente, l’89% dei cittadini si è detto favorevole a questo modello. Noi già oggi stiamo recependo la stragrande maggioranza delle direttive europee, senza poter dire la nostra, senza poter incidere nel processo decisionale. Allora mi rivolgo all’Aula, ma anche a chi ci ascolta fuori: l’Unione Europea non è solo Bruxelles o Strasburgo. È anche Cerasolo, Torello, ogni volta che mettiamo piede fuori dai confini. Dobbiamo dare un segnale forte a tutte le aziende, ai professionisti, a chi si confronta ogni giorno con l’Unione Europea. Questo è un passaggio epocale per San Marino. Non si tratta solo di abbandonare un modello di bilateralismo che oggi non riusciamo più a sostenere, ma di compiere un salto di qualità nella nostra politica estera. San Marino deve saper essere protagonista del multilateralismo, anche e soprattutto negli organismi internazionali. Lo dico anche per esperienza personale: rappresento il nostro Parlamento presso l’OSCE. In tutte queste sedi, nelle interlocuzioni con i politici europei e italiani, emerge chiaramente che un rapporto esclusivo solo con l’Italia non è più sufficiente. Abbiamo l’urgenza di ampliare la nostra visione diplomatica, di far parte di una famiglia più ampia, che può darci sostegno, legittimità, opportunità. Le strumentalizzazioni a cui abbiamo assistito in queste settimane, se da un lato possono essere espressioni legittime di dubbio — e in quel caso spetta alla politica fare chiarezza —, ma tolleriamo molto meno le strumentalizzazioni costruite ad arte, per destabilizzare e mantenere uno status quo che non è più tollerabile. Se San Marino vuole davvero fare un salto di qualità, deve abbandonare al più presto quelle logiche e procedere con decisione e responsabilità verso l’accordo di associazione.
Dalibor Riccardi (Libera): Anche io desidero dare un contributo in questo comma comunicazioni. Parto, ovviamente, dall’intervento del collega Muratori, che condivido pienamente, sia nel merito del percorso compiuto dalla Repubblica di San Marino verso l’Unione Europea, sia nella prospettiva dell’Accordo di associazione. L’unica osservazione che mi sento di fare, pur condividendo tutto quanto è stato detto, è che le forze politiche del nostro Paese non devono avere alcun timore né alcuna paura nel confronto con opinioni differenti, che naturalmente possono esistere. È normale che non tutti la pensino allo stesso modo. Noi, come Libera, sosterremo convintamente l’Accordo di associazione con l’Unione Europea e continueremo a sostenere le persone che oggi ne gestiscono il percorso, a partire dal Segretario Beccari, a cui va la nostra piena fiducia, così come al governo e alla maggioranza. Vorrei però toccare anche altri temi che — a mio avviso — chi fa politica, in quest’Aula, non può ignorare, anche se vanno oltre i nostri confini. Personalmente faccio fatica a restare in silenzio sul tema della Palestina. Ogni giorno assistiamo a immagini terribili, e non posso, da parlamentare, non condannare quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza. È un massacro. È disumano. E trovo difficile comprendere come l’Unione Europea, che ha giustamente applicato sanzioni alla Russia per l’aggressione all’Ucraina, oggi non faccia lo stesso verso uno Stato che sta colpendo civili inermi, in fila per ricevere aiuti umanitari. Credo che su questi temi non ci siano maggioranze o opposizioni: guardandomi intorno, sono certo che le mie parole siano condivise da molti colleghi. Ma se abbiamo l’onore di sedere in questo Parlamento, allora abbiamo anche il dovere di prendere posizione, di far sentire la nostra voce. C’è un altro episodio che mi preme segnalare e sul quale, finora, non ho sentito interventi in Aula. Mi riferisco alla violenza subita da una giovane donna, pochi giorni fa, in un luogo di lavoro, qui nella nostra Repubblica. Un fatto grave, inaccettabile, su cui apprezzo molto la tempestiva reazione del Segretario Bevitori, che ha definito l’accaduto intollerabile e si è subito attivato per verificare se esistano le condizioni per rafforzare la tutela nei luoghi di lavoro. È gravissimo che, dopo l’aggressione, il datore di lavoro abbia scelto di far continuare il turno proprio alla persona che ha aggredito, mentre la ragazza, ferita, era all’ospedale. Episodi del genere non possono essere minimizzati o trattati come banali conflitti interni. È in gioco la cultura del rispetto e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Mi rifaccio anche a un sondaggio promosso dall’USL, che evidenzia come la violenza, anche psicologica, sia purtroppo ancora presente, in particolare verso le donne, sul posto di lavoro. Non possiamo sottovalutare questi dati. È nostro compito promuovere una cultura del lavoro basata sul rispetto reciproco e sulla tutela delle persone, e in questo senso le parole del Segretario al Lavoro sono state importanti. Infine, vorrei accennare anche al dibattito in corso sulla riforma fiscale, che ha tenuto banco nelle settimane precedenti al Consiglio. Si tratta di una riforma attesa e necessaria, e come forza politica, crediamo sia fondamentale arrivare a un risultato concreto, che sia fondato sull’equità, sulla trasparenza e sulla chiarezza. Come per ogni altro provvedimento portato avanti da questo governo, riteniamo essenziale coinvolgere le parti sociali e sindacali, che finora hanno sempre dimostrato senso di responsabilità, e da parte nostra ci sarà sempre la volontà di lavorare insieme in questa direzione. Sarà fondamentale, tra la prima e la seconda lettura del progetto di legge, recepire contributi utili a migliorarlo, con l’obiettivo di garantire una riforma seria e sostenibile. Non si tratta di un atto ideologico, ma di una scelta pragmatica, coerente con l’impegno di questa maggioranza.
Antonella Mularoni (RF): Innanzitutto, mi unisco alle parole espresse dalla collega Sandra Stacchini per esprimere il mio cordoglio alle famiglie dei due ragazzi che recentemente si sono tolti la vita. Anch’io voglio sollecitare il Governo – e voglio dare per scontato che lo stia già facendo – ad approfondire tutto ciò che, di più e di meglio, il nostro Paese potrebbe mettere in campo per far sì che venga percepito come una comunità accogliente. Tutte le istituzioni della Repubblica dovrebbero interrogarsi di fronte a fatti come questi, per fare in modo che non si ripetano più. In questo momento storico, in cui a livello universale si parla sempre più spesso di come aiutare le persone a morire, io preferisco pensare che viviamo in una società che aiuta le persone a vivere, perché il suicidio rappresenta sempre, alla fine, l’extrema ratio. Ecco, quindi, come classe politica dobbiamo tutti compiere uno sforzo in questa direzione. Vorrei poi esprimere la mia vicinanza alla dottoressa Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori occupati palestinesi, che in questi giorni ha subito un attacco diretto, con l’applicazione di sanzioni. L’Unione Europea – e lo riconosco anche al collega Riccardi – ha reagito tempestivamente, dimostrando solidarietà. Credo che anche il nostro Paese debba far sentire la propria voce. Non sono accettabili comportamenti che mirano a impedire alle persone di svolgere il loro lavoro o di dire la verità su quanto accade in quei territori. Possiamo anche evitare la parola “genocidio”, preferire parlare di “massacro” o “carneficina”, ma quello è ciò che sta succedendo quotidianamente. E ora vogliamo anche mettere a tacere le persone incaricate dalle Nazioni Unite di denunciare questi fatti alla comunità internazionale? Qui davvero, utilizzo una parafrasi – non dico di chi, ma lo sapete tutti – siamo nel mondo al contrario. È davvero il mondo al contrario. Voglio ora soffermarmi sul tema dell’accordo di associazione con l’Unione Europea, a cui dedicherò un po’ più di tempo. I minuti sono sempre pochi, anche se nel comma comunicazioni ne abbiamo più rispetto ad altri momenti, soprattutto rispetto alla seconda lettura. Quello che sta succedendo in questo periodo ci pone di fronte a questioni rilevanti. Da un lato, è evidente il tentativo politico di attaccare il Segretario di Stato per gli Affari Esteri. Mi sembra evidente, perché guarda caso gli attacchi più forti arrivano da chi non lo ama molto e preferirebbe altri segretari. Vorrei usare questo microfono per dire che abbiamo il dovere di approfondire seriamente la questione, pensando a ciò che sarà utile per i nostri giovani. In un mondo che si occupa sempre dei diritti acquisiti, dove i giovani contano sempre meno anche elettoralmente, una classe politica seria deve pensare al futuro. I nostri giovani sono già internazionali, già europei. Studiano all’estero, fanno esperienze formative altrove e spesso decidono anche di restare fuori. Sappiamo benissimo che cosa ci chiedono: vogliono un futuro aperto, moderno. Questo futuro non riguarda solo loro, riguarda anche noi. C’è chi pensa che non firmare l’accordo significhi mantenere certi “privilegi”, ma se non lo firmiamo, siamo finiti. Le agenzie di rating scommettono sul fatto che lo firmeremo. Abbiamo un debito enorme: dove pensiamo di andare senza sviluppo? E come lo facciamo, lo sviluppo, se ci chiudiamo? Dobbiamo cambiare mentalità. Basta usare lo specchietto retrovisore per guardare a come stavamo bene una volta. Non torneremo agli anni ‘80 e ‘90. Se non firmiamo l’accordo, saremo fuori dai giochi. Dobbiamo invece essere bravi a utilizzarlo, come hanno fatto altri paesi – anche in condizioni diverse – come il Liechtenstein o Malta. Quei paesi, grazie all’integrazione, hanno visto una crescita enorme del PIL. A Malta, dove il sì all’UE aveva vinto di poco al referendum, oggi il 90% dei cittadini non vorrebbe più uscire. Anche i partiti che erano contrari allora oggi sono a favore. Portatemi un solo esempio di uno Stato che abbia avuto effetti negativi per essere andato nella direzione dell’integrazione europea. Non ce ne sono. Dobbiamo solo essere bravi ed efficienti. San Marino può diventare un hub di riferimento, proprio perché è un paese piccolo, dove la burocrazia – se vuole – può funzionare in modo più snello. Se non andiamo in questa direzione, finiremo come negli anni 2000, quando si temeva che certi accordi con l’Italia ci avrebbero distrutti. Abbiamo rischiato di morire proprio perché non li abbiamo fatti, siamo finiti nelle blacklist e abbiamo fatto una fatica enorme per uscirne. Abbiamo perso tanto in termini di PIL. E oggi? Ma davvero qualcuno pensa che siamo in una situazione florida con il debito pubblico che abbiamo? Se vogliamo raccontarcela, raccontiamocela pure. Ma la verità è che, se vogliamo garantire i servizi, le pensioni dei sammarinesi, dobbiamo puntare sullo sviluppo. E lo sviluppo passa anche dall’integrazione. Lo dico chiaramente, nero su bianco: se non facciamo un passo avanti, non potremo continuare a garantire ciò che oggi abbiamo. Invito quindi il Segretario agli Esteri e il governo tutto a incontrare la cittadinanza, a pubblicare sul proprio sito domande semplici e risposte chiare, a spiegare concretamente che cosa comporta l’accordo nella vita quotidiana. Non con i professoroni, ma con parole comprensibili. Alcune risposte già ci sono: la gente si preoccupa dell’IVA, ma l’Unione Europea non ci imporrà l’IVA. Se la vogliamo, la metteremo. Altrimenti, no. Lo stesso vale per il T2: il comitato misto ha detto chiaramente che è un percorso successivo. C’è un tavolo a livello europeo per semplificare tutto, anche per i Paesi che non fanno parte dell’UE.
Oscar Mina (PDCS): Vorrei fare un breve riferimento alla partecipazione della delegazione sanmarinese alla 32ª sessione annuale dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE, che si è svolta a Porto il 29 giugno scorso. Una sessione sicuramente molto proficua, anche perché dedicata alla celebrazione dei 50 anni dell’Atto finale di Helsinki, centrata sui temi della sicurezza, della pace e, in particolare, su un approfondito sguardo ai conflitti in corso, sia in Europa che in Medio Oriente, con un focus sulla Palestina. Da questo confronto è scaturita la Dichiarazione di Porto, che fotografa con realismo l’attuale situazione internazionale, caratterizzata da polarizzazione, instabilità e continue violazioni dei principi fondamentali del diritto internazionale, tra cui quello dell’integrità territoriale. Questi temi sono stati al centro degli interventi e delle riflessioni. Vorrei sottolineare che la delegazione sanmarinese è intervenuta attivamente nelle varie commissioni, portando spunti di riflessione molto apprezzati dall’assemblea. Inoltre, su invito, abbiamo partecipato a un side event legato al “Gruppo della Via della Seta” dell’OSCE, a cui aderiscono circa 28 Paesi su 57. Abbiamo accolto con favore la possibilità di far parte di questa piattaforma, che promuove la cooperazione multilaterale su questioni strategiche come connettività, commercio, energia, investimenti, turismo e scambi interculturali. Riteniamo che il ruolo di San Marino in questi contesti internazionali, anche come piccoli “diplomatici parlamentari”, sia non solo utile ma sempre più riconosciuto. In particolare, la nostra partecipazione attiva è stata notata e apprezzata anche nei diversi incontri bilaterali. Per questo, crediamo sia fondamentale proseguire con convinzione e continuità l’impegno all’interno di questi organismi. Passando a tutt’altro argomento, vorrei fare un cenno alla questione dell’accordo di associazione con l’Unione Europea. In particolare, vorrei esprimere una valutazione su certe richieste di referendum che, personalmente, mi fanno sorridere. Come hanno già ricordato anche altri colleghi, eventuali consultazioni popolari potranno avvenire eventualmente in un secondo momento, ma non adesso, in una fase così delicata e avanzata del negoziato. Pensare ora di indire un referendum, mentre si sta completando un processo negoziale complesso e strategico per il futuro del nostro Paese, appare fuori contesto. Mettere sul tavolo oggi questo tipo di iniziative significa non avere piena consapevolezza delle esigenze e delle opportunità per la Repubblica di San Marino. Lo ha detto molto chiaramente anche la collega Antonella Mularoni: non abbiamo alternative reali. Il rischio vero, per chi ostacola questo percorso, è quello di spingere il Paese verso l’isolamento. E questa non è un’opzione praticabile.
Segretario di Stato Federico Pedini Amati: Parto subito dall’accordo, così sgombriamo il campo, perché sembra quasi un dibattito per capire chi è a favore della firma dell’accordo di associazione e chi no. Noi non facciamo altro che ribadire quella che era una volontà ampiamente espressa tempo fa, ma non per una convinzione di parte o partitica, ma perché è la realtà. San Marino è già dentro l’Eurozona, le nostre aziende ci lavorano quotidianamente. I cittadini, banalmente, quando si muovono nel contesto europeo si confrontano con l’Unione Europea. Siamo un’enclave. Non si capisce perché dovremmo restarne fuori. Guardate Montecarlo: oggi è in blacklist, e non si sa come uscirà. Guardate Andorra, dove il governo è favorevole all’accordo, ma altri organismi no. Questa ambiguità lascia il paese in balia di situazioni molto complesse. Aggiungiamo poi i dazi americani verso l’Eurozona. Allora, se dovessimo andare dietro a queste “sirene” che ci dicono di stare fuori da tutto, questi signori ci devono spiegare come San Marino si dovrebbe approcciare al mondo. L’America dei dazi, la Russia con i suoi, l’Europa che è il nostro naturale punto di riferimento… con chi dovremmo lavorare? In tutti i programmi di governo, c’era come prima priorità la firma dell’accordo con l’Unione Europea. Quindi voglio vedere chi si tira indietro oggi. Anche chi oggi propone un referendum – perché è di questo che si parla – sappia che oggi non esiste nemmeno la norma per fare un referendum confermativo. Lo hanno detto persone molto più autorevoli di me. Quindi è uno strumento strumentale, quello di Augusto Casali, che io ricordo come uno che ha sempre distrutto tutto quello di cui non fa parte: turismo non va bene se non c’è lui, esteri non vanno bene se non c’è lui, giustizia idem. È un atteggiamento distruttivo, è una modalità di auto-distruzione. Il giorno dopo la firma dell’accordo, potremo parlare di eventuale referendum confermativo. Ma oggi manca la norma. Quindi parlare ora di referendum è fuori tempo. Vengo ora ad altri temi. Il consigliere Farinelli, il capitano di Castello hanno ragione: il centro storico è uno scempio, compreso il Nido del Falco. Me ne assumo la responsabilità. Ma vi spiego la ratio. Non volevo che il Nido del Falco finisse di nuovo all’amico dell’amico dell’amico dell’amico. La mia idea era un’altra: trovare un investitore, che mettesse due milioni, riqualificasse l’area e poi la gestisse. Ma non ci siamo riusciti. Ma sono già diversi anni che non si trova nessuno disposto a correre il rischio d’impresa. E allora paga sempre Pantalone, cioè lo Stato. Passiamo al Cinema Turismo. Non è colpa né di Ciacci, né di Canti. È passato da 5 a 10 milioni di costo. Non si può cambiare progetto e costi in corsa. Qualcuno ci ha raccontato una bugia, o ce la sta ancora raccontando. Bisogna essere chiari. Conti alla mano: quanto costa davvero la riqualificazione del Cinema Turismo? Prima una cifra, poi aumenta, poi aumentano ancora. Siamo un Paese che non riesce a portare a termine un’opera pubblica, una sola, nel settore del turismo. Il polo museale? Se ne parla da anni, non si è fatto nulla. È una critica anche al mio governo, a quello di prima e a quello attuale. C’eravamo tutti. Poi c’è la sala del Consiglio. Doveva iniziare a gennaio, poi aprile, poi maggio… non è possibile. Un Paese non può essere gestito così. Sui finanziamenti dell’Arabia Saudita, invece, voglio parlare. Non se ne vuole parlare più. Perché non se ne parla? Se qualcuno ci dà una mano per riqualificare il Paese a un tasso giusto, perché dobbiamo sempre remare contro? Questo è il dramma di questo governo, e forse anche del precedente: girare a vuoto. Io mi sono stancato di girare a vuoto. Non si può lavorare ogni giorno in Segreteria di Stato e metterci un anno e mezzo per non fare nulla. Quindi una roadmap su cosa fare – se dobbiamo chiamarla verifica di governo, chiamiamola verifica di governo e di maggioranza – e tempi certi. Altrimenti, anche con un governo rinnovato, non si va avanti.
Sara Conti (RF): Ci sarebbero tante cose di cui sento l’urgenza di parlare in questo comma comunicazioni. Inizio però da una preoccupazione concreta, sempre più evidente: il timore che il tema dell’accordo di associazione possa venire strumentalizzato da qualcuno per aumentare il consenso, a discapito invece del senso di responsabilità che dovrebbe caratterizzare l’atteggiamento delle istituzioni. Un atteggiamento responsabile dovrebbe essere orientato a comprendere quale impatto può avere sulla cittadinanza una comunicazione volutamente distorta, che faccia leva su paure e incertezze legate alla complessità del tema. Ricordiamoci cosa successe con la Brexit, quando nel 2016 il Regno Unito decise con un referendum di uscire dall’Unione Europea. Le tecniche utilizzate in quella campagna — dalla costruzione di una narrativa persuasiva, alla manipolazione dei dati, all’uso mirato dei social media — hanno avuto un impatto determinante sull’elettorato. Le analisi successive hanno mostrato come quella campagna abbia mobilitato la pancia della gente, facendo leva su paure come quella dell’immigrazione, e diffondendo informazioni volutamente distorte. Oggi, a cinque anni dall’effettiva uscita del Regno Unito, assistiamo a un tentativo di riavvicinamento strategico all’Europa. Dopo la vittoria di Trump negli Stati Uniti e in un contesto geopolitico in cui emergono nuovi attori forti, come la Cina, il Regno Unito sembra cercare un nuovo equilibrio. Il primo passo è stato il vertice di Londra del 19 maggio scorso tra il primo ministro britannico e Ursula von der Leyen: si è trattato del primo summit bilaterale post-Brexit, in cui si è discusso di nuovi accordi su finanza, difesa e sicurezza. L’obiettivo? Garantire nuovamente l’accesso britannico al mercato unico europeo. Esattamente ciò che noi oggi stiamo cercando di fare. E cosa pensano gli inglesi oggi della Brexit? A cinque anni dall’uscita, solo il 30% dei cittadini ritiene ancora che sia stata una buona idea. Sia la classe politica che i cittadini del Regno Unito sembrano riconoscere che quella scelta non sia stata strategicamente vincente, come invece veniva promesso da chi allora fomentava la campagna per il “Leave”. E noi? Noi siamo un microstato enclave nella penisola italiana, con un territorio di 61 km² e 34.000 abitanti. Quale leva alternativa avremmo, se decidessimo di rimanere fuori dal mercato unico europeo? Pensiamo davvero, in tutta onestà, che un passaggio epocale come questo possa essere negativo? Che sia meglio rimanere isolati, esclusi dal mercato unico? La politica, quella seria, dovrebbe impegnarsi a dare informazioni corrette, a spiegare con chiarezza i contenuti di un tema così rilevante. Perché se lo riduciamo a una tifoseria, non stiamo facendo un buon servizio al Paese. E non stiamo facendo il nostro dovere. E di questo dobbiamo essere tutti consapevoli. Torneremo sicuramente a parlarne, temo che ce ne sarà bisogno. Ma come dicevo all’inizio del mio intervento, sento l’urgenza di usare questo microfono anche per un altro tema che mi sta a cuore: il massacro in corso a Gaza. Come membro del Parlamento di uno Stato che crede nel multilateralismo, nella democrazia, nei diritti umani e nel diritto internazionale come strumento di pace, non posso rimanere in silenzio. Non possiamo rimanere in silenzio. Altrimenti saremmo tutti colpevoli di esserci voltati dall’altra parte. Questo Parlamento ha compiuto un passo importante, approvando un ordine del giorno che impegna a giungere al riconoscimento dello Stato di Palestina entro la fine del 2025. Ma intanto, ogni giorno, migliaia di civili vengono massacrati mentre cercano semplicemente di trovare del cibo. L’indignazione che provo, come essere umano e come politico, mi impedisce di tacere. Questo è un messaggio che ho portato anche al meeting annuale dell’OSCE che si è svolto a Porto nella prima settimana di luglio. Ho sentito il bisogno di esprimere tutta la mia preoccupazione. E credo che tutti noi dovremmo farlo, e lavorare perché non si ceda all’erosione non solo della democrazia, ma dell’umanità stessa. Sappiamo quanto sia difficile, spesso, trovare sintesi tra posizioni divergenti negli organismi internazionali, specialmente quando ci sono in gioco alleanze e interessi importanti. Ma voglio anche esprimere grande soddisfazione per ciò che è accaduto durante quell’assemblea dell’OSCE: per la prima volta, un organismo internazionale ha approvato una risoluzione che chiede il riconoscimento dello Stato di Palestina. La risoluzione, presentata da un membro della delegazione italiana, è stata discussa in terza commissione e fortemente sostenuta anche dalla delegazione sammarinese. Dopo un lungo dibattito, è stata approvata con 28 voti favorevoli e 23 contrari. Certo, non è una risoluzione vincolante, non avrà un effetto immediato. Ma politicamente è un segnale fortissimo. Significa che un numero sempre maggiore di parlamenti e di parlamentari sceglie di stare dalla parte del diritto internazionale e dei diritti umani. Non possiamo più aspettare. Fermiamo questo massacro. Concludo, Eccellenze e colleghi, unendomi – come ha già fatto prima di me la collega Mularoni – nel manifestare la mia vicinanza alla dottoressa Francesca Albanese. La funzionaria ONU è stata sanzionata dall’amministrazione Trump solo per aver svolto il proprio lavoro, denunciando le violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi. Se questo diventa un precedente, è gravissimo. Tutti noi dovremmo schierarci a sostegno della dottoressa Albanese, perché rappresenta le Nazioni Unite e gli organismi internazionali di cui facciamo parte e in cui crediamo.
Alice Mina (PDCS): Il tema dell’accordo di associazione con l’Unione Europea sta sicuramente catalizzando la nostra attenzione, e questo dimostra quanto sia una questione importante e rilevante per il nostro Paese. Sono felice che se ne parli, e sono certa che ci saranno molti altri momenti in cui la politica si confronterà ancora una volta su questo tema. Anch’io desidero portare una mia riflessione, proprio perché le ultime settimane sono state piuttosto impegnative da questo punto di vista. L’opinione pubblica è stata travolta da quella che definirei un’ondata di confusione, alimentata da articoli e contenuti che rischiano di generare smarrimento e di delegittimare il percorso di associazione all’Unione Europea. Negli ultimi dieci anni di negoziato, durante diverse legislature, la politica ha assunto con responsabilità e determinazione un impegno storico: portare San Marino alla firma dell’accordo con l’Unione Europea. E lo abbiamo fatto con serietà, attraverso fasi tecniche complesse e trattative impegnative. Questo accordo non rappresenta una scorciatoia, ma è la via maestra per costruire un futuro all’altezza delle sfide globali. E non siamo i soli a crederci. Proprio in questi giorni, dalla Commissione per il Mercato Interno del Parlamento Europeo è arrivato un chiaro segnale di fiducia nel percorso intrapreso da San Marino e Andorra. Non siamo soli in questo percorso e non possiamo permetterci di rimanere isolati. Siamo consapevoli che l’accordo è complesso e articolato, e che per essere pienamente compreso ha bisogno di informazione costante, corretta e trasparente. È nostro dovere istituzionale mantenere un dialogo aperto con la cittadinanza per spiegare nel dettaglio i contenuti dell’intesa, chiarire dubbi, rispondere a domande legittime e accompagnare tutto il Paese in questo importante passaggio. La partecipazione consapevole è la base di una democrazia solida. Non dimentichiamo il passato. San Marino ha conosciuto stagioni oscure, segnate da poteri opachi, clientelismi e scandali che hanno affossato l’immagine del nostro Paese. Oggi scegliamo la trasparenza, la legalità, la credibilità internazionale. Scegliamo di stare dalla parte delle istituzioni, che si mettono al servizio del bene comune. E diciamo no a quelle logiche del passato che oggi tentano forse di ripresentarsi sotto nuove vesti. Sappiamo che la firma dell’accordo non rappresenta un punto d’arrivo, ma l’inizio di una nuova fase. Un elemento importante che ritengo utile sottolineare — come già fatto anche da altri colleghi — riguarda il quadro istituzionale definito nell’ambito dell’accordo tra San Marino e l’Unione Europea. Parliamo di un impianto solido, volto a garantire un’attuazione efficace, trasparente e coordinata delle sue disposizioni. Il pilastro centrale di questa architettura è rappresentato dal Comitato di Associazione, un organo congiunto composto da rappresentanti delle parti contraenti che ha il potere di esaminare qualsiasi questione di carattere generale contemplata dall’accordo. A questo si affianca il Comitato Misto, composto da rappresentanti dell’Unione e di San Marino in qualità di parte associata, e che garantisce l’attuazione e il corretto funzionamento dell’accordo. In seno a questi comitati misti, le parti si scambiano pareri e informazioni sulle questioni trattate, affrontando eventuali difficoltà applicative o interpretative. È istituito anche un Comitato Parlamentare di Associazione e un Comitato Consultivo di Associazione delle Parti Economiche e Sociali, che promuove il dialogo tra le organizzazioni rappresentative delle varie componenti della vita civile. Il dialogo riguarda tutti gli aspetti economici e sociali delle relazioni derivanti dall’accordo. Si tratta, nel complesso, di un impianto ambizioso e bilanciato, che consolida il partenariato tra San Marino e l’Unione Europea su basi di reciprocità, fiducia e cooperazione, valorizzando al tempo stesso la sovranità del nostro Paese in un contesto europeo. Oggi, molte decisioni assunte dall’Unione ricadono su di noi senza alcuna possibilità di far valere la nostra posizione. Con l’accordo, questo cambierà. Tutti questi aspetti sono contenuti nel testo dell’accordo, pubblicato sul sito della Segreteria Affari Esteri, di facile consultazione. Invito quindi tutta la cittadinanza a collegarsi al sito e a leggere l’accordo, perché ci sono passaggi che possono essere compresi e aiutano a farsi un’opinione basata su dati concreti. Oggi più che mai abbiamo il dovere di lavorare insieme, con visione, per portare a termine l’accordo con l’Unione Europea e preparare concretamente il nostro sistema alla sua attuazione. Solo unendo le forze potremo affrontare con coraggio e lucidità le sfide che ci attendono, rendendo questo traguardo non solo possibile, ma anche concreto e vantaggioso per tutta la cittadinanza.
Luca Lazzari (PSD): Nelle ultime settimane il nostro tribunale ha prodotto due sentenze che, pur distinte, meritano entrambe di essere accolte in questa sede con la dovuta attenzione. E, sebbene diverse nei contenuti, queste due sentenze parlano tra loro. La prima è la sentenza di condanna in secondo grado dell’ex Commissario della Legge Alberto Buriani, dalla quale emerge un esercizio delle funzioni giudiziarie gravemente anomalo, segnato da omissioni e da condotte incompatibili con l’imparzialità e il rigore che ci si aspetta da chi amministra la giustizia. Immagino non sia stato semplice per la magistratura emettere una condanna nei confronti di un proprio ex membro, soprattutto considerando che Buriani è stato il volto pubblico dell’azione giudiziaria contro la politica, il magistrato simbolo del cosiddetto processo Mazzini e di altre indagini che, una decina di anni fa, hanno di fatto decimato la classe politica sammarinese. È vero: in quegli anni, la politica aveva superato dei limiti. Si erano consolidati comportamenti affaristici, intrecci impropri con il potere economico, pratiche gestionali non più accettabili. Serviva un argine. E se la politica non era in grado di riformarsi da sola, era giusto che altri poteri dello Stato si facessero carico di quella esigenza di rigenerazione. Ma oggi, con questa sentenza, emerge una verità scomoda: quell’intervento, pur necessario, fu inquinato. Buriani agiva sotto condizionamento. Ed è qui che tutto si complica, perché questa condanna mette in discussione la narrazione dominante di quegli anni. Ci troviamo di fronte a un paradosso: da un lato, è innegabile che quell’azione giudiziaria abbia intercettato un bisogno reale. Dall’altro, è lecito domandarsi se quella stessa azione non abbia anche prodotto effetti ingiusti – non solo nelle modalità, ma nel senso stesso che quelle azioni hanno assunto. Non un sereno accertamento dei fatti, ma un’esposizione pubblica sproporzionata, un logoramento personale. Se la condanna di Buriani ci obbliga a rivedere la legittimità di un metodo, la seconda sentenza – quella emessa contro Confuorti, Savorelli, etc.– completa il quadro. Non è soltanto una condanna penale. È la ricostruzione giudiziaria di un disegno, un disegno nel quale, in un determinato arco temporale, figure interne ed esterne alle istituzioni hanno operato per conquistare leve di controllo sul sistema Paese in modo occulto, indebito, approfittando della sua fragilità. La sentenza descrive un piano meticoloso, con obiettivi politici, finanziari e istituzionali. Un’operazione che mirava a influenzare le decisioni di Banca Centrale, a orientare la stampa, a interferire con le nomine pubbliche e con le scelte di sistema. Secondo il tribunale, il regista occulto di questa strategia fu Confuorti: un uomo privo di qualsiasi ruolo formale, ma capace di incidere sulle decisioni più delicate del nostro ordinamento. Ed è proprio questo il nodo su cui la sentenza ci invita a riflettere: com’è stato possibile che una figura completamente esterna alle istituzioni potesse esercitare una simile influenza? Da dove traeva legittimità? Quali condizioni gli hanno consentito di muoversi con tale disinvoltura ai vertici della finanza e delle istituzioni sammarinesi? Un potere così anomalo non si costruisce da solo: si costruisce quando la politica abdica. Quel potere ha potuto radicarsi perché trovava spazio in una zona grigia, fatta di vuoti istituzionali e di connivenze. Non dobbiamo aver paura delle parole: è stata minacciata la sovranità della nostra democrazia. Non da una potenza straniera, ma da una somma di interessi opachi, legami impropri e assenze. Ed è proprio qui che le due sentenze si incrociano. Perché se la prima smaschera un uso distorto del potere giudiziario, la seconda mostra chi ne ha tratto vantaggio. Insieme, queste due decisioni tracciano i contorni di una stagione in cui giustizia, finanza, media e politica hanno alimentato – consapevolmente o meno – una spirale deviata di potere. E allora sì: il senso di quegli anni si rovescia. Quella che è stata raccontata come una stagione di giustizia necessaria, si rivela anche come un momento di eversiva alterazione degli equilibri costituzionali. Non si colpiva soltanto la politica degenerata: la si voleva sostituire. Non si volevano solo punire gli errori: si puntava a occupare gli spazi di potere. Ma il Paese ha reagito. Ci sono stati politici, giudici, funzionari, cittadini che non hanno voltato lo sguardo dall’altra parte, che hanno scelto di esporsi, di non lasciarsi intimidire da quel clima pesante. Alcuni hanno pagato un prezzo personale molto alto. C’è chi ha perso un ruolo, chi ha perso la serenità, chi ha perso gli amici, chi ha perso anni della propria vita. C’è chi ha scelto di esporsi fino a consumarsi. Ma è anche vero che quella stagione ha lasciato cicatrici profonde: nella giustizia, nella politica, nel Paese. Non tutte le fratture si sono ricomposte. I cortocircuiti tra poteri sono ancora lì, in parte irrisolti. E ci sono persone e realtà che portano ancora oggi addosso il peso di quegli anni. Ecco perché non basta dire che è passato. Perché non è passato. Se vogliamo che tutto questo serva a qualcosa, servono parole chiare. Serve che chi allora avrebbe dovuto proteggere le istituzioni e non l’ha fatto, oggi trovi il coraggio di dire: “Abbiamo sbagliato”. Non importa se sono passati degli anni. Perché queste non sono stagioni che si archiviano con una votazione o con una sentenza. Sono pagine aperte, che ancora condizionano il nostro presente. E non possiamo ignorarlo. Perché se la storia si riscrive troppo in fretta, senza aver prima chiarito, compreso e digerito, sarà di nuovo una storia fragile.
Matteo Zeppa (Rete): Voglio parlare di un altro tema, già anticipato da alcune colleghe di Repubblica Futura. Mi ero preparato un intervento proprio su questo, perché non se ne parla mai abbastanza. Tra il 17 e il 20 giugno si sarebbe dovuta tenere la conferenza ONU sulla soluzione dei due Stati tra Palestina e Israele, organizzata dalle Nazioni Unite per tentare – per quanto difficile – di dirimere la questione. San Marino era stata chiamata a partecipare, e il Segretario Beccari aveva confermato la sua presenza. Purtroppo, però, gli strateghi della guerra – perché solo così possono essere definiti – hanno deciso di far saltare tutto. L’attenzione è stata dirottata sull’attacco di Israele, con il supporto degli Stati Uniti, all’Iran. Per una settimana non si è parlato più della conferenza ONU, né della situazione a Gaza, dove è in corso un martirio, un genocidio, una pulizia etnica. Secondo fonti ONU – quindi direi attendibili – è notizia di ieri che circa 800 palestinesi sarebbero stati uccisi in prossimità di centri di distribuzione di cibo e aiuti. L’esercito israeliano ha dichiarato che un attacco mortale nei pressi di un sito per la distribuzione dell’acqua, nella zona centrale di Gaza, con sei bambini tra le vittime, sarebbe stato causato da un malfunzionamento tecnico di un proiettile, finito a decine di metri dall’obiettivo. Io credo che siamo di fronte a qualcosa di osceno. La guerra è oscena, ma qui siamo in presenza di un’economia di guerra. E in tutto questo rientra ciò che gli Stati Uniti stanno facendo contro la persona della dottoressa Francesca Albanese, relatrice speciale ONU per i diritti umani nei territori palestinesi occupati. È stata attaccata pubblicamente e sanzionata dagli Stati Uniti. Rubio ha dichiarato di imporre sanzioni contro di lei per il suo lavoro con la Corte Penale Internazionale. È paradossale: un rappresentante statunitense nega la legittimità di un’azione all’interno delle Nazioni Unite, solo perché il suo paese non riconosce la Corte Penale Internazionale. E intanto a Gaza muoiono civili, donne, bambini. Non posso che considerare tutto questo una farsa, se non fosse per le vittime vere. In questo contesto, io contesto anche l’idea che San Marino debba restare neutrale. L’ho già detto in Commissione Esteri, lo ribadisco oggi: questa non è una questione di neutralità attiva o passiva. Questa è una guerra globale. È evidente. E in questa fase storica bisogna prendere una posizione. Ha fatto bene il Consiglio Grande e Generale a sostenere il riconoscimento dello Stato palestinese. C’è una volontà evidente, anche alla luce della coincidenza tra il bombardamento israeliano sull’Iran e la conferenza ONU annullata, di far deragliare il processo di pace. Chi sostiene la neutralità oggi, secondo me, si nasconde. San Marino deve esprimere una posizione chiara. Lo dico anche perché, come già detto dal collega Lazari, è giusto riconoscere a chi ha tenuto la barra dritta – e il Movimento Rete lo ha fatto – che ha pagato un prezzo, ma ha avuto ragione. Chi ha permesso a interessi esterni di entrare a San Marino lo ha fatto grazie a complicità interne. Le sentenze parlano chiaro: chi voleva incidere sull’economia della Repubblica ha sempre trovato qualcuno qui dentro disposto ad aprirgli le porte. Mentre qualcun altro diceva di no. Ecco perché, Eccellenza, concludo chiedendo un atto formale da parte del Consiglio Grande e Generale.
Zeppa dà lettura di un ODG per impegnare il Congresso di Stato: “a proporre il conferimento a Francesca Albanese di un’onorificenza e/o della cittadinanza onoraria della Repubblica di San Marino; a presentare la candidatura di Francesca Albanese al Comitato per il Nobel norvegese affinché le venga conferito il prossimo Premio Nobel per la Pace”.
Mirko Dolcini (D-ML): Era il 12 luglio del 2022 quando, da consigliere neoeletto del partito Domani Motus Liberi, intervenni in quest’Aula sul tema dell’accordo di associazione con l’Unione Europea, affermando che sarebbe stato necessario un referendum preventivo su quell’accordo. Ora il dibattito si è acceso nel Paese, e al di là di chi parla di strumentalizzazioni o meno, a me questo fatto rincuora. Mi rincuora perché significa che la vocazione democratica del nostro Paese non è sopita. Perché il referendum non è semplicemente un meccanismo tecnico. È il livello più alto della democrazia, è l’espressione della sovranità popolare. Io immagino che il referendum nascerà dal basso, dal popolo, dalla cittadinanza. Ma anche qualora non fosse così, gli strumenti per il referendum già esistono. Li ho già citati: l’articolo 26 della Legge Qualificata del 2013 prevede che, al momento della ratifica, il Consiglio possa condizionare la ratifica stessa a un referendum confermativo, con l’iniziativa di almeno 31 consiglieri. Ma se oggi il dibattito nasce solo ora, di chi è la responsabilità? È del governo e della maggioranza, che fino all’ultimo hanno parlato di propaganda, di slogan. Va bene anche quello, per carità, ma bisogna entrare nei temi. La cittadinanza deve essere informata. È per questo che il dibattito si accende solo all’ultimo minuto. E vedere che chi chiede chiarezza viene etichettato come “euroscettico”, senza aver mai detto di essere contrario in linea di principio all’accordo, è un atteggiamento sbagliato. Chi fa così è un “euroinomane”, perché non si può non valutare gli aspetti con profondità. Gli argomenti vanno affrontati uno per uno, obiettivamente, senza la tifoseria del sì o del no. Ad esempio, come funzionerà il meccanismo legislativo una volta firmato l’accordo di associazione? Nell’Unione Europea esistono diverse istituzioni: il Consiglio Europeo, che dà l’indirizzo politico; la Commissione Europea, che ha l’iniziativa legislativa; e poi il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea, che votano ed emendano le leggi. Ma il Consiglio Europeo è composto dai capi di Stato o di Governo dei 27 Stati membri. La Commissione è formata da commissari nominati, il Parlamento da parlamentari eletti nei singoli Stati. Tutti questi organi sono interni all’Unione Europea. San Marino, Andorra e Monaco saranno esterni, e nel caso di divergenze interpretative dell’accordo, a decidere sarà la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, composta solo da giudici dei 27 Stati membri. È evidente, quindi, che nel meccanismo di formazione delle leggi, che dovranno poi essere recepite automaticamente da San Marino, ci sarà una limitazione della nostra autonomia legislativa. Può piacere o non piacere. C’è chi dice che l’Europa fa leggi migliori di San Marino, benissimo, è un’opinione legittima. Ma il dato di fatto è che c’è una limitazione, e questo va spiegato chiaramente alla cittadinanza, senza stupirsi dei dubbi se prima non si forniscono le spiegazioni. C’è poi un altro tema, l’impatto dell’accordo, nel breve, nel medio e nel lungo periodo. Non ci sono solo le aziende che esportano e si affacciano al mercato unico, ma anche quelle che operano solo nel mercato interno. E anche loro devono sapere quali normative saranno tenute ad applicare e quali costi dovranno affrontare. È per questo che sorgono dubbi legittimi. Faccio un esempio: un cittadino tedesco che, dopo l’accordo, viene a fare la spesa a San Marino dovrà trovare merce conforme alle regole europee, con etichettature UE. Anche questo va spiegato. Poi c’è l’impatto sulla Pubblica Amministrazione. Abbiamo assistito a due audizioni con rappresentanti del Governo e dirigenti dei massimi organismi istituzionali. Che cosa è emerso? Che, ad esempio, per la sorveglianza bancaria, Banca Centrale ha riferito che il numero di dipendenti dovrà aumentare del 60%. AIF ha sottolineato la necessità di nuove competenze, persone che parlino inglese, con una propensione alla tecnologia. Tutto questo ha un costo. Solo Banca Centrale, “facendo i conti della serva”, ha stimato almeno 1 milione di euro in più all’anno. Dove li andiamo a prendere questi soldi? E quindi, dove prendiamo le risorse economiche? Lo facciamo con la riforma dell’IGR? Ditecelo. Oppure pensiamo a nuovo debito pubblico, interno o esterno, facendo schizzare ancora di più il rapporto debito/PIL? Si può fare tutto, ma bisogna sapere con chiarezza che cosa si vuole fare. Altrimenti, vuol dire che non si ha un piano. Allora chiediamo al Governo, alla maggioranza: ce lo volete dire? È necessario fare luce su tutto questo. Ed è per questo che chiediamo chiarezza, trasparenza, informazione. E non venitemi a dire che il referendum va fatto dopo, perché alla luce di tutti questi investimenti, costi, adeguamenti, immaginate cosa succederebbe se a posteriori arrivasse un no.
Segretario di Stato Matteo Ciacci: Parto dal tema del territorio. Ho ascoltato con attenzione gli interventi che mi hanno preceduto, e credo meritino considerazione, ma anche qualche chiarimento. La Segreteria al Territorio, da circa un anno a questa parte, ha seguito una linea chiara e lineare sulla cantieristica: si è cercato di dare continuità ai progetti già esistenti, già finanziati, già avviati, oppure fermi per motivi temporali. Quei progetti sono stati rivisti alla luce di nuove linee di indirizzo politico, com’è giusto che accada ogni volta che si insedia un nuovo governo. E tutte le procedure legate agli interventi di cantiere stanno andando avanti. Per esempio, è stato citato l’intervento sul cinema in Città e Malagola: stiamo portando avanti la progettazione esecutiva, perché finora si trattava solo di una progettazione preliminare. Una volta esaminata, sulla base del budget individuato, si procederà con la gara d’appalto. Lo stesso avverrà per Palazzo Begni, le cui procedure di appalto partiranno nel mese di ottobre. Riguardo ai lavori sul pattinaggio – criticati da qualcuno perché avviati in estate – voglio sottolineare che sì, abbiamo dato noi un impulso chiaro. È stato molto apprezzato dalla cittadinanza. L’idea è semplice: il Parco Bruno Reffi torna a essere parco, il pattinaggio torna alla comunità dopo anni di degrado e abbandono, e l’area manifestazioni viene spostata alla Baldasserrona, che stiamo sistemando con nuovi piazzali. Questa è la nostra visione. Il cantiere è partito d’estate, certo. Ma se si guarda al mondo, i cantieri lavorano anche d’estate. Abbiamo fatto asfalti notturni a Domagnano, perché è così che funziona quando si vuole davvero fare un passo avanti. Non possiamo, da una parte, lamentarci del degrado in città, e poi, dall’altra, criticare i lavori del pattinaggio. Vengo ora al tema dell’Europa, all’accordo di associazione con l’Unione Europea. Per la prima volta nella nostra storia, ci troviamo di fronte a un accordo che abbiamo voluto noi. Non è stato imposto da nessuno, non abbiamo avuto la pistola alla testa – com’è accaduto in passato, quando abbiamo dovuto accettare lo scambio automatico di informazioni e altre misure imposte dall’esterno, spesso potenzialmente rischiose per i cittadini. Questa volta c’è stata consapevolezza. E oggi il compito della politica deve essere quello di fare ancora di più uno sforzo per raccontare e spiegare i contenuti dell’accordo. Lo stiamo facendo, ma dobbiamo farlo ancora meglio. Oggi ho ascoltato con interesse l’intervento del Segretario della Democrazia Cristiana, Giancarlo Venturini, che in sostanza ha ripreso concetti espressi anche da Nicola Renzi, esponente dell’opposizione. Entrambi hanno detto: “La strada è segnata”. E questo mi fa piacere, perché significa che tutte le forze politiche, maggioranza e opposizione, si stanno muovendo compatte in questa direzione. Perché vediamo nell’accordo un’opportunità. Tuttavia, da entrambi gli interventi emerge un interrogativo implicito: c’è qualcuno che sta cercando di sabotare questo percorso? Io non so chi sia questo eventuale sabotatore. Ma se qualcuno lo sa, lo dica chiaramente, con trasparenza e linearità. Le perplessità sono legittime, sempre, ma vanno affrontate con informazione forte e chiara. Riguardo al tema del referendum, si è detto molto. E io la vedo in maniera molto semplice: se un gruppo di cittadini vuole raccogliere le firme per proporre un referendum, la politica non può e non deve ostacolarli. Le nostre norme lo consentono: se viene raccolto il 3% del corpo elettorale, si presenta il quesito al Collegio Garante e, se ammesso, il referendum si fa. Fine. È tutto scritto. Poi, che sia auspicabile farlo dopo la firma, o che sia necessario non farlo affatto, sono opinioni legittime. La mia è chiara: se ci sarà il referendum, io andrò a votare convintamente SÌ. Ma personalmente penso – ed è una mia opinione – che fare oggi un referendum possa essere un errore, perché rischia di trasformarsi in un’espressione emotiva, invece che un’occasione di dialogo serio con la cittadinanza. E noi dobbiamo parlare con la testa delle persone, non sopra la loro testa. Per questo serve più comunicazione, più informazione trasparente e accessibile. Se ci sono dei “sabotatori” – mediatici, politici, istituzionali – non serve cercare colpevoli, ma lavorare di più e meglio per informare correttamente i cittadini, affinché comprendano i nodi cruciali dell’accordo di associazione.
Matteo Casali (RF): Il dibattito recentemente accesosi – più o meno ad arte alimentato – sull’opportunità di sottoporre a referendum l’Accordo di Associazione tra San Marino e l’Unione Europea, e sui tempi di un’eventuale consultazione, impone alcune riflessioni necessarie. A maggior ragione se, al netto di certe opinioni improvvisamente esplicite da parte di qualche operatore dell’informazione, la posizione di una parte della politica sul referendum celasse in realtà una malcelata contrarietà all’accordo, forse orientata a tutelare privilegi e prerogative di una ristretta classe dirigente, titolare di determinati meccanismi economici e finanziari, a scapito del Paese. E allora è bene evidenziare alcuni dati di fatto. L’Accordo di Associazione con l’Unione Europea non è un’iniziativa estemporanea, né una trovata dell’ultima ora. Si tratta di un percorso iniziato oltre 15 anni fa, portato avanti da governi di diversa estrazione politica, tutti espressione – in momenti diversi – della maggioranza del corpo elettorale. In tale contesto, se anche una folgorazione sulla via di Damasco è legittima, può destare qualche perplessità. E risulterebbe del tutto inspiegabile la campagna elettorale appena trascorsa, nella quale nessuna forza politica entrata in Consiglio si è dichiarata esplicitamente contraria alla sottoscrizione dell’accordo. Senza dimenticare il precedente esecutivo, tenuto in vita artificialmente per oltre un anno proprio in vista dell’imminente firma dell’accordo, a giustificazione della continuità di mandato di alcuni Segretari di Stato. Se tutto ciò non bastasse a dimostrare la volontà della politica di proseguire e concludere il percorso intrapreso, si ricordi l’ordine del giorno votato all’unanimità dall’Aula pochi mesi fa, col quale si è dato pieno mandato al Segretario Beccari alla finalizzazione e sottoscrizione dell’Accordo di Associazione. E allora è più che mai il caso di dire: se qualche forza politica è contraria all’accordo, lo dica esplicitamente. Al di là della forma – che può essere quella del referendum – il nodo è il merito. E chi, legittimamente, oggi si dichiarasse contrario, dovrebbe prendere atto di una serie di circostanze fattuali. San Marino, per innumerevoli motivi, intrattiene già rapporti essenziali e strutturali con l’Unione Europea, da cui non può prescindere, essendo un’enclave completamente immersa nel tessuto economico e commerciale europeo. E proprio come accaduto in passato, anche in assenza dell’accordo, San Marino continuerà a dover recepire norme europee, spesso senza possibilità d’intervento. Quanto al referendum, nessuno, ovviamente, è pregiudizialmente contrario al suo utilizzo, nel rispetto dell’espressione popolare. Ma è fondamentale che non venga strumentalizzato, magari per coprire posizioni contrarie all’accordo, che non si ha il coraggio di esprimere pubblicamente. In ogni caso, la consultazione referendaria aprirebbe una serie di criticità già evidenziate anche dalla società civile, in particolare sul tema della cittadinanza, purtroppo trattato dall’attuale esecutivo, come da consuetudine, con imbarazzante semplicismo. Non è infatti irrilevante che, nel caso di referendum sull’accordo, la maggior parte dei votanti sarebbe composta da cittadini sammarinesi che hanno anche cittadinanza europea, e che quindi potrebbero essere influenzati dal loro legame con un altro Stato, concretizzando uno scenario delicato e potenzialmente problematico. È vero che, come Repubblica Futura ha già denunciato in Aula, esiste una grave carenza di informazione verso la cittadinanza, ma questa lacuna non giustifica il ricorso automatico al referendum. Al contrario, va colmata. E farlo è preciso dovere del Governo, che finora ha clamorosamente disatteso questo compito, sia nel precedente esecutivo che, devo dire, in quello attuale. La complessità dell’accordo non può essere una scusa per sottrarsi alla trasparenza. Al contrario, bisogna trovare strumenti semplici e comprensibili per illustrare i contenuti, anche ai non addetti ai lavori. Ad esempio, si potrebbe istituire un sito web dedicato, con infografiche chiare, schede riassuntive tematiche, una sezione FAQ con risposte semplici e approfondite, l’elenco esplicito e trasparente delle opportunità e delle criticità, e uno spazio informativo sull’attivazione, già da ora, di collaborazioni europee concrete, come l’adesione ai gruppi europei di cooperazione territoriale, utili su temi concreti come la gestione dei rifiuti, l’approvvigionamento idrico o progetti culturali condivisi, veri e propri banchi di prova per relazioni più complesse. In ultima analisi, sul tema dell’accordo di associazione, a prescindere dall’ipotesi referendaria, la politica è oggi chiamata a uno sforzo di chiarezza, sia sul piano del posizionamento definitivo, sia sul piano della trasparente illustrazione delle complessità. Perché – al di là degli attuali ruoli di partito – la partecipazione o meno a questo sforzo determinerà non solo il posizionamento internazionale e il futuro della Repubblica, ma anche la credibilità di qualunque futura collaborazione politica per la guida del Paese.
Gerardo Giovagnoli (PSD): Questo dibattito sarebbe stato appropriato nel dicembre del 2023, quando il testo dell’accordo non era ancora pubblico. In quella fase, era comprensibile che ci si ponessero molte domande senza avere ancora delle risposte. Oggi, invece, le risposte ci sono: esistono 150 pagine di testo, gli atti prodotti dal Parlamento europeo, e proprio domani ci sarà una votazione, nell’ambito della Commissione per il Mercato Interno del Parlamento europeo, che riguarderà l’accordo di associazione tra San Marino e l’Unione Europea. Curiosamente, da fuori sembra che l’Europa imponga condizioni impossibili, come la sottomissione alla Corte Europea di Giustizia. Sì, saremo soggetti a quella Corte, ma, consigliere Dolcini, ci sono 31 pagine che spiegano il meccanismo di risoluzione delle controversie, creato attraverso la negoziazione, e che prima non esisteva. Non è dunque un’imposizione accettata supinamente: è il frutto di un negoziato. Dunque, i documenti esistono e sono pubblici: bisogna leggerli e confrontare le opinioni con i fatti. L’unica cosa vera è che serve più informazione. Ma, quando l’informazione è disponibile, non si può fingere che non esista. Non si può dire che l’accordo sia segreto, visto che è pubblico da oltre un anno, scritto anche in italiano e tradotto molto bene, credo, dal Dipartimento Affari Esteri. L’accordo è diviso in sezioni, è chiarissimo, con articoli titolati. Un altro punto fondamentale riguarda il processo di formazione della normativa europea in rapporto alla nostra partecipazione. È stato spiegato: esistono il Consiglio Europeo, il Consiglio dell’Unione, la Commissione, il Parlamento europeo. Noi oggi non siamo presenti in nessuno di questi organi, e neanche ora partecipiamo. Eppure dobbiamo ugualmente adeguarci alle norme. Fino ad oggi, le regole europee ci sono piovute addosso, da fuori. Con il meccanismo previsto nell’accordo, potremo invece far valere in anticipo le nostre esigenze. Questo finora non era possibile. È giusto ricordare, come ha fatto il Segretario Ciacci, che siamo noi ad aver chiesto un’interazione con l’Unione Europea. Siamo andati a negoziare, non ci è stato imposto nulla. Ma questo vale finché pensiamo di poter fare tutto da soli, cosa che non possiamo. Perché, in ogni caso, le leggi dell’UE dobbiamo adeguarle lo stesso. Qual è, allora, la verità? La verità è che San Marino è un paese molto particolare: è la più piccola repubblica dell’Europa occidentale, ma ha, come i grandi Stati, un’intensa interazione con l’esterno. Viviamo di esportazioni, siamo un’enclave dentro un paese che fa parte dell’Unione Europea, che non potrà più concederci condizioni privilegiate come in passato. Allora qual è il vero timore di chi dice che perdiamo sovranità? In realtà, perdiamo quelli che qualcuno considera dei privilegi, una diversità che non possiamo più sfruttare. Questo sì, lo perderemo. O, forse, lo abbiamo già perso, perché abbiamo fatto un uso sbagliato della nostra sovranità, pensando di essere indipendenti e autonomi, salvo poi venire puniti. La vera sfida, quindi, è capire – dopo dieci anni – che dobbiamo adeguarci, ma all’interno di un contesto condiviso con altri e, quindi, essere riconosciuti. Come ha detto giustamente il consigliere Renzi, la nostra sovranità non ce la definiamo da soli, e sarà sempre meno così. La moneta non è nostra, l’energia – elettrica e del gas – non è nostra, nemmeno l’acqua. E non possiamo inventarcelo. Questo contesto è destinato a rimanere. È per questo che in tanti abbiamo segnalato il rischio che, più che mancare l’informazione sul referendum, ci siano altri interessi in gioco. Ma a questo punto il negoziato è chiuso, gli atti ci sono: vanno letti, e questo è un esercizio che dobbiamo fare tutti. Se la maggior parte delle forze politiche si dichiara favorevole all’accordo e ritiene necessaria la comunicazione, ognuno può fare la sua parte, anche noi della maggioranza, ma pure i partiti di opposizione. Oppure si può trovare una strategia comune. Questo potrebbe essere un tema da affrontare nella prossima Commissione Affari Esteri: come reagire, insieme, alle critiche rivolte a tutta la classe politica – non solo a un partito – di voler nascondere o far passare un accordo considerato negativo. Ma non è così. Bisogna impegnarsi. E siamo tutti in attesa di un’espressione da parte dell’Unione Europea, a cui siamo agganciati. Altrimenti, dopo un anno e mezzo, non saremmo ancora qui senza una firma. Ma stavolta non ci sono ostacoli da parte di San Marino: le condizioni dipendono da Bruxelles. Speriamo che in questi giorni arrivino delle novità. Da parte nostra, abbiamo fatto quanto dovevamo. Al termine di questo processo, solo uno Stato – Monaco – rimarrà esterno all’Unione Europea, tra i piccoli. Se Andorra firma, se San Marino firma, anche Malta (che è già dentro l’UE) sarà parte di quel gruppo ristretto. Anche la sovranità della Svizzera ha dovuto fare i conti con l’UE. Pensate davvero che San Marino, dicendo di no alla fine del negoziato, possa avere margini per riaprire tutto? Non è realistico. Serve quindi un bagno di realtà, un bagno di umiltà. Serve tempo per leggere, ma il percorso è chiaro. Gli argomenti e le prospettive che ne derivano dobbiamo costruirli noi. Quella è una base di partenza: la vera sfida è se saremo capaci – e forse questo è l’aspetto più critico – di farlo.
Segretario di Stato Teodoro Lonfernini: Credo che anche la voce dei componenti del Congresso di Stato debba entrare nel dibattito. La prima considerazione è rivolta al consigliere Dolcini, che – a mio giudizio personale – ha espresso considerazioni piuttosto superficiali nel suo intervento sul percorso di associazione all’Unione Europea, dibattito che si è sviluppato anche in queste ultime settimane. Lo invito invece a trarre spunto dall’intervento del consigliere Giovagnoli: pur nei pochi minuti a disposizione, è emerso quanto sia fondamentale approfondire i tecnicismi che ci sono stati messi a disposizione. Questo sarà essenziale per riuscire a trasmettere, tramite i nostri interventi in Aula – e quindi assumendoci la nostra responsabilità – un messaggio corretto, oggettivo e ben documentato da parte degli attori principali delle istituzioni, cioè tutti noi. Lo invito quindi a farlo. In ogni caso, poiché è stata richiamata una responsabilità del governo, ci tengo a precisare che non si tratta solo della responsabilità del governo, ma di una responsabilità di sistema, che non è nemmeno solo istituzionale, ma più ampiamente di sistema paese. È stato ricordato bene: il percorso che stiamo affrontando e che si avvia a conclusione non nasce con questa legislatura, né con la precedente. Nasce circa 15 anni fa, con una volontà chiara: quella di respingere un referendum e avviare un percorso più adatto, più conforme alla realtà di un microstato come il nostro, situato – come ha evidenziato bene il consigliere Giovagnoli – nell’area occidentale dell’Europa, in posizione di evidente fragilità e peculiarità. Abbiamo svolto i negoziati, e le specificità del nostro Paese sono state mantenute. Qualcuno, anche nei parlamenti europei, le definisce addirittura dei privilegi che nessun altro Paese avrebbe potuto ottenere. Potrebbero diventare persino una discriminante. Non è un’eccezione negativa aver negoziato il mantenimento di determinate specificità. Al contrario, è la prova della nostra capacità diplomatica, della nostra politica estera, che ha permesso di preservare caratteristiche che già da tempo si volevano mantenere. E allora, attenzione ai messaggi che mandiamo. Perché se il nostro compito è quello di trasmettere alla comunità, ai cittadini, alle generazioni future un cambiamento radicale del nostro Paese, allora dobbiamo farlo con la massima cura. Detto ciò, il consigliere Matteo Casali – a mio modo di vedere – ha detto una cosa giustissima, che condivido pienamente. Se ci sono partiti o rappresentanze simili a partiti – perché a volte non è nemmeno chiaro se lo siano o meno – che sono contrari al percorso che abbiamo intrapreso da 15 anni e che abbiamo sostenuto insieme, lo dicano chiaramente. Non usino in modo strumentale, e io dico anche un po’ squallido, uno strumento democratico come il referendum. C’è troppa abitudine, in questo Paese, da parte di qualcuno – e gli esempi li ha già fatti il mio collega Pedini – a confrontarsi col Paese solo per ostacolare. Io non amo fare nomi e cognomi di chi non è presente in Aula, ma certi comportamenti sono evidenti. In questo caso, non si tratta di essere meno democratici o di non voler coinvolgere la cittadinanza. La cittadinanza è già stata coinvolta: in questa e nella precedente legislatura, con tornate elettorali. Questa maggioranza – e lo dico solo in termini numerici, senza contrapporre maggioranza e opposizione – è stata largamente votata dalla popolazione. E credo che i cittadini abbiano ben compreso che tutti i programmi di governo dei partiti che compongono la maggioranza – e anche il programma comune – avevano come punto fondamentale il percorso di associazione all’Unione Europea, con il mandato di concluderlo nel modo più ragionevole e rapido possibile. Questo non è forse già un mandato democratico? Non è forse paragonabile a una chiamata alle urne referendaria? Io credo di sì. Quindi chi veicola un messaggio diverso può, e deve, essere chiaramente riconosciuto per quello che è: un sabotatore, come ha detto il collega Ciacci. E i sabotatori in questo Paese hanno nomi e cognomi. Si sono manifestati già nel 2006, quando qualcuno rimandò indietro il ministro degli Affari Esteri italiano che era pronto a firmare un accordo fondamentale per la nostra Repubblica. E poi ci si stupisce se abbiamo vissuto momenti bui, affrontando difficoltà politiche, economiche, sociali, relazionali enormi. Credo che il Paese oggi non abbia più bisogno di questo. Ha bisogno, invece, di maturità. Chi vuole lanciare la prima pietra lo faccia, si manifesti, ma accetti anche la responsabilità del dissenso. Perché ci sarà una parte del Paese che gli sarà avversa. E questa è la realtà.
Segretario di Stato Luca Beccari: Oggi sentire l’intero arco parlamentare sammarinese esprimersi con interventi, sia dalla maggioranza sia dall’opposizione, è significativo. E voglio ringraziare in particolare i consiglieri di Repubblica Futura, che hanno svolto interventi molto centrati sul tema dell’accordo. Ma non potrebbe essere altrimenti, dato che hanno avuto anche una responsabilità diretta e gestionale in questo percorso. Non mi complimento per forma, ma lo dico perché sono certo che chi ha vissuto questa esperienza abbia una consapevolezza diversa. Ringrazio tutti perché, oggi, credo che la politica stia dando risposte al Paese. Sta lanciando messaggi che vanno oltre quel tam tam mediatico costruito per demolire il percorso dell’accordo. Credo che siano stati due i momenti mediaticamente più delicati: l’inverno 2023-2024, quando – con la fine del negoziato – si è aperta una fase di tensione; e ora, con l’avvicinarsi della firma dell’accordo. Momenti di svolta. Non voglio soffermarmi troppo sulla teoria dei sabotatori o non sabotatori. Di certo, la storia di questo Paese è segnata da decisioni prese sotto spinte poco trasparenti. Ho il privilegio di ricordare, professionalmente e politicamente, la San Marino del 2005 e del 2006: un Paese che ha cominciato a declinare, che ha attraversato la tormenta, e poi ha iniziato lentamente a risalire. Oggi vedo una San Marino che dialoga coi suoi partner principali – l’Italia, l’Europa – e che si appresta a firmare un accordo di stretta collaborazione, come mai accaduto negli ultimi vent’anni. Un accordo che rappresenta la vera prospettiva per l’allargamento del nostro mercato economico, per il futuro dei nostri giovani, e per la semplificazione della vita dei nostri cittadini. Sembra che questo accordo sia un’esigenza della politica. Ma non è così. I partiti, i membri di quest’Aula, non hanno esigenze personali. Ci facciamo carico dei problemi del Paese e abbiamo il dovere di trovare soluzioni. Come farlo, è stato deciso nel 2013-2014. È stato confermato ogni anno da allora. E ora siamo alla meta. Una meta di prospettiva, come è stato detto da tutti. Finalmente un accordo con l’Europa da affrontare a testa alta, non per evitare sanzioni o per inseguire qualcosa all’ultimo minuto. Non ci viene tolto nulla: ci viene data un’opportunità. Se vogliamo coglierla, bene. Altrimenti, dobbiamo sapere che non capiterà di nuovo, non tra un anno, non con una scusa. Il percorso negoziale, per come è stato strutturato, è perfettamente coerente con le caratteristiche del nostro Paese. Abbiamo sempre detto che l’adesione vera e propria – seppur auspicata da molti europeisti – sarebbe stata un passo troppo pesante per San Marino. L’associazione, invece, è un compromesso: ci consente di integrarci nel mercato unico mantenendo le nostre peculiarità. È scritto nel mandato negoziale iniziale, ed è riportato anche nei documenti del Parlamento europeo, come ricordava giustamente il consigliere Giovagnoli. Per anni abbiamo inseguito Europa e Italia, rincorrendo soluzioni a problemi urgenti, spesso all’ultimo momento. Oggi siamo protagonisti. Possiamo entrare a far parte di un contesto vitale, senza dover bussare alla porta in cerca di udienza. Credo non esista davvero nessuno a San Marino che pensi che il nostro futuro non passi da una maggiore integrazione con il mercato unico. Lo viviamo ogni giorno. Siamo un Paese che ha dovuto smaltire scorie, pagare il prezzo di una riconversione economica e di un allineamento normativo senza contropartite. Eppure, nel nostro isolamento, siamo cresciuti: abbiamo avuto un PIL in aumento del 10%, un fondo sovrano in surplus, bilanci in attivo. Siamo un Paese tornato in sicurezza. Ma mancava il salto in avanti. E non per noi, ma per le nuove generazioni, per i giovani lavoratori. Che Paese lasciamo loro? Ha ragione il consigliere Renzi: la sovranità non è solo ciò che decidiamo internamente, ma ciò che viene riconosciuto dall’esterno. Siamo sovrani quando stipuliamo un accordo da pari con chi ci sta di fronte. Oggi ci andiamo con la nostra sovranità, mantenendo la nostra sovranità. Il tema oggi è anche quello del referendum. Ma, come ho già avuto modo di dire, il referendum è uno strumento. Se serve a questa Aula per maturare una decisione più consapevole, se serve alla cittadinanza per informarsi, lo si affronterà. Ma chi propone il referendum non può farlo dicendo: “Lo facciamo, poi vediamo come va.” No. Il referendum è un’azione, non un alibi. Il referendum, per ora, non c’è. Ma non si può proporre un referendum dicendo: “Lo facciamo, poi lasciamo liberi e vediamo come va”. No. I referendum sono un’azione. Un’azione politica significa che, con quel referendum, si prende una posizione chiara: per il “sì” o per il “no”. E giustamente, al “no” deve corrispondere un’alternativa, perché il “sì” ha già un’opzione concreta collegata. Il “no”, al momento, non ce l’ha: ha solo delle suggestioni. “Esteri in seduta segreta perché si deve nascondere qualcosa.” Io spero davvero che all’esterno questo dibattito abbia invece dimostrato una volontà politica chiara. Mi auguro che tutto ciò che è stato detto qui dentro non venga interpretato fuori da quest’Aula come il segnale che San Marino stia giocando, scherzando, o che abbia tenuto ingaggiati per dieci anni gli uffici europei per qualcosa che, alla fine, magari non vogliamo davvero. Perché a pochi metri dal traguardo, nelle ultime tre settimane – non da parte nostra, ma in generale – è emerso un atteggiamento che non ha mai contraddistinto San Marino in questo percorso. Fino ad ora siamo sempre stati il Paese più determinato, più concentrato, più focalizzato sui contenuti, e anche determinante per la chiusura dei negoziati. Mi auguro, quindi, che da oggi, grazie ai contributi arrivati da tutte le parti di quest’Aula, emerga qualcosa che possa davvero traghettare questo Paese verso una nuova dimensione. Io, lo dico subito per fugare ogni equivoco, non credo che qui ci siano sabotatori.
Giulia Muratori (Libera): Mi unisco anch’io al dibattito di questa mattina, incentrato sul tema dell’accordo di associazione. Siamo vicini alla conclusione di un percorso importante, lungo 15 anni, in cui le istituzioni – e in primis il Dipartimento Affari Esteri – si sono impegnate con forza per portare avanti questo negoziato, fortemente voluto da tutte le forze politiche rappresentate in quest’Aula. L’accordo con l’Unione Europea rappresenta un’opportunità concreta e strategica per San Marino. Non si tratta di perdere la nostra sovranità – è esattamente il contrario. Si tratta di valorizzarla in uno spazio più ampio, dove possiamo contare di più, far sentire la nostra voce, e dare nuove prospettive alla nostra economia, ai nostri giovani, alla nostra cittadinanza. Oggi, da Paese terzo, le nostre imprese – come detto anche da altri colleghi – affrontano ostacoli sempre più evidenti, che le pongono in svantaggio rispetto ai concorrenti europei. Questo è un fatto, non una teoria. Lo dimostra il fatto che, oggi, all’ordine del giorno di questo Consiglio, c’è una legge che recepisce i principi del Regolamento europeo sulla deforestazione. Questo regolamento, giustamente, impone regole severe per evitare che prodotti immessi nel mercato europeo siano collegati alla deforestazione. Ma prevede anche l’adesione a piattaforme digitali alle quali San Marino, in quanto Stato terzo non associato, non ha accesso. Il risultato? I nostri esportatori vengono esclusi o costretti a iter burocratici molto più complessi. Questo mette a rischio quote di mercato, competitività, posti di lavoro. Con l’accordo tutto questo cambierà. San Marino potrà operare a parità di condizioni nel mercato unico, superando le barriere che oggi lo penalizzano. Significa dare ossigeno alle nostre imprese – in particolare a quelle che esportano, innovano e creano occupazione. È legittimo che un cambiamento generi domande. Ma a quei dubbi non dobbiamo rispondere con chiusura, bensì con fiducia e responsabilità. San Marino ha sempre saputo trovare la propria strada, anche nei momenti più difficili. Ora quella strada passa, inevitabilmente, attraverso l’Europa. Noi di Libera ribadiamo con forza il nostro sì a un’Europa che non ci assimila, ma ci include. Che non ci impone, ma ci riconosce. Che non ci chiede di rinunciare a ciò che siamo, ma ci offre gli strumenti per essere parte di qualcosa di più grande, restando noi stessi. Qualcuno ha ricordato – giustamente – che nel referendum del 2013 si chiedeva l’adesione all’Unione Europea. Vinse il “sì”, pur non raggiungendo il quorum. Fu allora che si scelse una strada diversa: il percorso di associazione, che non significa diventare Stato membro, ma Stato associato. E ciò consente a San Marino di accedere al mercato unico europeo con evidenti vantaggi. Il referendum è, certamente, un esercizio legittimo di democrazia. Su questo non c’è dubbio. Ma oggi, un nuovo referendum comporterebbe solo un rallentamento di un iter che quasi tutte le forze politiche, i sindacati e le associazioni datoriali considerano fondamentale e prioritario. Un referendum celebrato dopo l’eventuale entrata in vigore dell’accordo permetterebbe ai cittadini di esprimersi sulla base degli effetti reali, non solo delle percezioni. Potremmo così valutare gli impatti concreti dell’accordo. Proprio per questo motivo, oggi più che mai, credo sia fondamentale non perdere questa occasione storica. Siamo a un passo dalla firma. Rallentare o fermarsi ora significherebbe compromettere anni di lavoro. Capisco chi ha dubbi. Li rispetto. Ma dobbiamo anche arginare chi crea allarmismi basati su menzogne. Come, ad esempio, l’idea – completamente falsa – che l’accordo aprirebbe la porta a un’immigrazione incontrollata. È una follia. Come contrastare questa disinformazione? Come forze politiche abbiamo il dovere di attivarci ancora di più, con tutti gli strumenti a nostra disposizione, per fornire ai cittadini informazioni trasparenti, serie e corrette. Solo una cittadinanza consapevole può scegliere con responsabilità. Spieghiamo chiaramente i benefici dell’accordo: per l’economia, per la società, per la cultura.
Alle 13.00 i lavori vengono sospesi. Riprenderanno alle 15.