Lavoratori dipendenti sempre più istruiti: le differenze tra settore pubblico e privato
È interessante notare attraverso i numeri in quale misura il grado di istruzione delle persone stia crescendo. L’analisi riguarda esclusivamente i lavoratori dipendenti che, comunque, rappresentano il 90% della forza lavoro, costituita anche dai disoccupati e dai lavoratori autonomi.
I dati sono viziati da una voce, definita “non specificato” dal Bollettino di Statistica, che, se nel 2014 riguardava solo 650 persone circa, nel 2024 è salita a quasi 6.500. Ciò significa che il grado di istruzione dei lavoratori frontalieri non viene trascritto ai fini statistici. Non va affatto bene, sia per una corretta valutazione dei dati complessivi, sia per conoscere quali titoli di studio vengono ricercati dalle imprese, che da qualche anno sono libere di assumere personale senza alcuna limitazione.
Ci soffermiamo sulla variazione dei valori percentuali nell’ultimo decennio, in quanto tengono conto della crescita occupazionale complessiva. Tra settore pubblico e privato le differenze sono evidenti: nel primo caso, i laureati sono passati dal 21% a quasi il 32%, i titolari di diploma universitario dall’8,6% ad oltre il 13% ed i diplomati dal 24% al 29%, mentre nel secondo caso, le medesime fattispecie sono cresciute molto meno.
È risaputo altresì, ma i dati ci danno una dimensione più precisa, che le donne sono mediamente più istruite degli uomini. Peccato che se nel settore pubblico ciò trova riscontro anche sul piano professionale, non altrettanto si può affermare nel settore privato. Ma su questo torneremo con l’analisi di altri dati.
In generale, si può affermare che in media le imprese non richiedono titoli di studio elevati: quindi, il grado di innovazione ed evoluzione tecnologica non pare al passo con i tempi. Ciò deve fare riflettere Governo, Associazioni di categoria e Sindacati per indirizzare ed incentivare investimenti mirati. Resta il fatto che tale giudizio è viziato dall’assenza dei dati relativi ai lavoratori frontalieri ma, verosimilmente, i valori percentuali non dovrebbero cambiare di molto.
Una chiosa sul tema denatalità: di certo, livelli di istruzione crescenti impongono di agire per fare in modo che un’occupazione compatibile con i titoli di studio non debba essere attesa per anni. In altre parole, i tempi con cui raggiungere stabilità e soddisfazione economica e professionale non sono una variabile indipendente rispetto alla scelta della maternità.
CSdL