Rivogliamo le Giornate del Pio Manzù
C’è un desiderio che ammanta i cuori di tutti noi, non solo di intellettuali, umanisti e diplomatici, di tornare a quelle giornate congressuali che hanno messo i nostri luoghi e il nostro tessuto sociale al centro del mondo per ben 44 edizioni dal 1969 al 2013, portando a Rimini e San Marino personaggi come Kissinger, Gorbaciov, Bush, Ford, Pertini, Ciampi tra i politici più noti, con madrine e padrini d’eccezione quali Lady D, Rania di Giordania, Pavarotti e Sharon Stone, solo per citarne alcuni.
Stiamo parlando delle Giornate del Pio Manzù, capaci di instaurare un dialogo su temi per l’epoca visionari ma che oggi risultano di un’attualità sconcertante se pensiamo ai recenti conflitti che coinvolgono Ucraina e i dintorni di Gaza.
Tenete a mente l’anno 1969 che ha assistito al primo vagito del Centro Studi Pio Manzù il cui patron, nonché deus ex machina, risponde al nome di Gerardo Filiberto Dasi.
Ma chi era allora Piò Manzù?
Al secolo Pio Manzoni, figlio del celebre scultore Giacomo e grande amico di Dasi, è stato un designer tra i più importanti del XX secolo. In quell’epoca in cui il design italiano dettava le linee (è il caso di dirlo) al mondo, Pio Manzù nemmeno trentenne disegnava, tra le altre cose, una nuova vettura destinata a rivoluzionare il concetto di “auto popolare” e divenirne il modello di riferimento per la produzione mondiale negli anni ‘70: la FIAT 127
Nel maggio del 1969 proprio mentre Pio Manzù si recava da Bergamo a Torino per presentare alla dirigenza Fiat la versione definitiva dell’auto, uscì di strada spirando poi sull’ambulanza che lo aveva soccorso. Fu così che nell’ottobre dello stesso anno Gerardo Dasi decise di dedicare il Centro Studi all’amico scomparso Pio Manzù
Nel 2014 muore Dasi, la cui leggenda narra che non avesse esattamente il dono della capacità di delega e che in 44 edizioni non avesse formato un delfino di corte, fu così che nel 2016 l’assemblea straordinaria deliberò lo scioglimento e la messa in liquidazione del Centro ricerche internazionali Pio Manzù.
Da allora il figlio di Pio Manzù, che si chiama Giacomo come il nonno scultore e che ha dato vita con la propria famiglia alla Fondazione Pio Manzù, cerca disperatamente di sbrogliare una matassa finita nello stallo di una curatela che con un eufemismo definiremo miope, la quale sta cercando, come un pesce nel barile, da quasi 8 anni di vendere all’asta ciò che resta del Centro ricerche internazionali Pio Manzù.
La Fondazione Pio Manzù, pur non centrando nulla con l’amministrazione di Gerardo Dasi, ha fatto un’offerta concreta con il preciso intento di acquistare la proprietà del Centro Ricerche nella volontà di rilanciare tra Rimini e San Marino le giornate internazionali del Pio Manzù
Oltre a ciò la stessa Fondazione ha la necessità di smarcarsi da una situazione che desta non poca confusione arrecandole sovente un grave danno d’immagine, derivante dal fatto che il compianto umanista ed intellettuale Dasi intitolò in buona fede il suo Centro Studi all’amico scomparso Pio Manzù.
“La Fondazione Pio Manzù infatti collabora ad innumerevoli progetti formativi afferenti al design con altrettante Università italiane e straniere, allestisce mostre ed organizza convegni di livello internazionale in ambito culturale ed artistico e purtroppo non di rado capita che all’uscita di articoli riguardanti la liquidazione del Centro ricerche internazionali Pio Manzù, la Fondazione venga contattata dal confuso di turno che chiede spiegazioni” – questo è quanto ci ha riportato il presidente della Fondazione Pio Manzù, Giacomo Manzoni, figlio del grande designer prematuramente scomparso che ci ha onorato della sua compagnia per qualche ora fuori dagli studi della nostra RTV alla quale ha rilasciato una bella intervista che andrà in onda nelle prossime ore.
Siamo con te Giacomo! In bocca al lupo per un pronto ritorno delle famose giornate del Pio Manzù.
di Francesco Chiari