Bahá’í: in carcere per motivi religiosi, liberato a 85 anni
Dopo un decennio di ingiusta detenzione e di duro trattamento nelle carceri iraniane, il signor Jamaloddin Khanjani, 85 anni, ha finito di scontare ieri la sua condanna a dieci anni. È uno dei sette membri dell’ex gruppo dirigente dei baha’i in Iran, noto come Yaran, che sono stati incarcerati con accuse false e infondate.
Il signor Khanjani, il più anziano dei sette, è il quinto uscito dal carcere quest’anno. Lo Yaran era un gruppo ad hoc che si occupava dei bisogni spirituali e materiali fondamentali della comunità bahá’í iraniana. Era stato formato con la piena conoscenza e approvazione delle autorità iraniane dopo che le istituzioni formali baha’i erano state dichiarate illegali in Iran negli anni ’80.
«Il signor Khanjani e gli altri membri dello Yaran non avrebbero mai dovuto essere messi in prigione», ha detto Bani Dugal, il principale rappresentante della Baha’i International Community presso le Nazioni Unite. «Lungi dall’aver commesso crimini, hanno contribuito al miglioramento delle loro comunità e del loro paese».
Nato nel 1933 nella città di Sangsar, il signor Khanjani è cresciuto in una fattoria e alla fine ha avviato una fortunata attività di produzione di carbone di legna. Alla fine ha aperto la prima fabbrica di mattoni automatizzata in Iran, impiegando diverse centinaia di persone. All’inizio degli anni ’80, dopo la rivoluzione islamica del 1979, è stato costretto a chiudere la fabbrica e ad abbandonarla, lasciando senza lavoro la maggior parte dei suoi dipendenti a causa della persecuzione che lo colpiva come baha’i. La fabbrica è stata poi confiscata dal governo.
Negli anni ’90, il signor Khanjani ha messo in piedi una fattoria meccanizzata su terreni di proprietà della sua famiglia. Ma le autorità gli hanno imposto molte restrizioni, rendendone difficile la gestione. Queste restrizioni si estendevano ai suoi figli e ai suoi parenti e includevano il rifiuto di prestiti, la chiusura delle sedi di lavoro, la limitazione dei loro rapporti commerciali e il divieto di uscire dal paese.
«Il modo in cui il signor Khanjani e gli altri membri dello Yaran sono stati trattati nel corso della loro vita è un esempio di come l’intera comunità baha’i è stata trattata per generazioni», ha detto la signora Dugal.
I baha’i iraniani continuano a vivere sotto la minaccia di arresti e imprigionamenti arbitrari, di discriminazioni economiche e di negazione dell’accesso all’istruzione superiore. Le persecuzioni di carattere economico si sono particolarmente aggravate negli ultimi anni, il che ha portato a ciò che la Baha’i International Community ha chiamato, in una lettera aperta al presidente Rouhani, «un’apartheid economica contro un segmento della popolazione iraniana».