Complesso Acquavita: è tutto bene quel che finisce bene? … di Luca Pedoni
Eccolo lì, il complesso Acquavita, finalmente riemerso in tutta la sua orgogliosa mattonesità.
Il cantiere riparte, e con lui riparte anche la speranza: non tanto quella di una nuova idea di bel paesaggio, che la bellezza in questi casi è soggettiva e soprattutto soggetta al mutuo, ma più concretamente quella di dare ossigeno a un mercato immobiliare affaticato, steso sul lettino e con la flebo.
L’imminente pianificazione territoriale strategica dovrebbe dare risposte a questa cosa qua: un colosso di cemento che nel tempo era diventato tutt’uno con la vegetazione e che copre serenamente parte della vista del Monte Cerreto. Un edificio in possesso di una banca che se lo teneva in pancia da decenni, come un ricordo imbarazzante e che ora è ripartito per le nuove condizioni di mercato.
Io le chiamo più semplicemente: siamo alla canna del gas.
Pensato e progettato da professionisti molto in voga nei primi, ruggenti anni Duemila, quando “pianificazione” era una parola decorativa, buona per le slide ma non per i cantieri.
Il progetto faceva il suo lavoro: servire interessi precisi. Contesto, paesaggio e viabilità non erano mai entrati in agenda.
La domanda ora è: riusciranno a pianificare adesso questo obbrobrio sesquipedale?
Così ci si adegua a tutto, anche a questo nuovo modo di abitare: ventitré unità abitative pronte per agosto 2026, poi via con la finitura e la messa sul mercato delle restanti quarantatré. A regime, almeno cento concittadini e le loro automobili insisteranno su una strada dove a malapena si incrociano due mezzi a motore, già oggi utilizzata ogni mattina dai pendolari di Gualdicciolo come scorciatoia strategica. Il tutto impreziosito da un asilo nido e da un dosso: perché l’adrenalina urbana di percorrerla a piedi è parte dell’esperienza.
Sessantasei appartamenti, e che appartamenti! Del resto bisogna sapersi adattare: con i salari e il costo della vita attuali, come affronti il futuro se non rifugiandoti in un loculo per vivi, pochi metri quadri ma tanta resilienza.
Il valore paesaggistico?
Magari un’altra volta.
Luca Pedoni


