Pasquale Valentini: “Quel grido di dolore che è arrivato fino a me”
Proprio mentre in Consiglio si dibatteva e approvava la legge di regolamentazione dell’IVG un amico mi ha inviato un messaggio che conteneva il commento di Davide Rondoni su un fatto riportato dalla stampa: una neonata abbandonata in una scatola sul cofano di un’auto davanti all’ospedale San Gerardo di Monza era stata raccolta e custodita da una infermiera dello stesso ospedale. Questo il commento.
«L’ha abbandonata o l’ha consegnata? Con quale struggimento, con quale grido divino nel cuore una madre ha lasciato (qualcuno per suo conto) la sua bambina nata da poco in una scatola vicino all’ospedale? L’ha abbandonata? L’ha consegnata? Da dove viene quel gesto? Da quale sperduta storia di cui non sappiamo né forse mai sapremo dettagli di fatica o addirittura disperazione? No, disperazione no.
Perché questo abbandono che è anche consegna è semmai segno di una ultima resistenza, verrebbe da dire, di una dolcissima opposizione proprio alla più oscura disperazione. Consegnando la figlia al destino d’esser trovata e di certo accudita nel vicino ospedale la madre, per quanto dissennata o forse in preda a un dolore o a una solitudine che le sono parse totali e sterminate, ha fatto un gesto di fiducia, non di disperazione.
I figli non sono nostri, e da subito e più ancora quando li vedi crescere e camminare tra le onde del mondo, capisci che in qualche modo devi sempre affidarli, consegnarli a un destino che non governiamo.
È una esperienza tra le più forti degli esseri umani. E anche quella madre s’è separata dalla figlia, ma non per consegnarla alla morte, come purtroppo molte sono indotte a fare, ma per consegnarla confusamente alla vita. Nella notte di Monza è stato un grido silenzioso ma potente, che ci commuove mentre ne tremiamo: “Che lei viva!”.»
Quel grido è arrivato fino a me e mi costringe a domandarmi: se è doveroso non chiudere gli occhi di fronte al dramma di chi si trova davanti alla difficoltà ad accogliere una gravidanza indesiderata, è giusto affrontare il problema ignorando quel grido, quella domanda di vita che la donna si porta in grembo, e ritenere che sia una soluzione adeguata quella di una legge che legittimi l’interruzione di quella gravidanza senza nemmeno addurre alcuna motivazione, come se quel grido non esistesse? Possiamo produrre tante giustificazioni ma se il punto di partenza è quello di voler affermare come libertà l’affermazione di sé, ignorando una parte significativa della realtà, in questo caso così significativa come può essere la possibilità di vita di un figlio, solo una violenza ideologica che ci distragga dall’esperienza può farci credere che stiamo facendo qualcosa di bene, o addirittura che questo possa definirsi una conquista di civiltà. C’è bisogno allora di una nuova solidarietà fra tutti coloro che non vogliono ignorare la verità di quel grido e vogliono cercare insieme come stare di fronte a tutte quelle situazioni che possono indurre alla disperazione quando non trovano in sé ed attorno a sé chi è disposto a farsi aiuto e compagnia.
Pasquale Valentini