Riflessioni di Giancarlo Elia Valori

“Riflessioni” di Giancarlo Elia Valori – Etica della Responsabilità

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“Riflessioni” di Giancarlo Elia Valori

a cura di Alberto Rino Chezzi

Esiste un’etica universale? E se questa è possibile, quale è la sua struttura logica? Intendiamo qui chiederci quale sia la sua forma logica, nel senso in cui Wittgenstein usa questo concetto nel Tractatus, ovvero come immagine linguistica dei fatti, ovvero delle proposizioni1.
Il linguaggio, nella sua totalità, è una immagine isomorfa del mondo.
Ma, se questa ipotesi epistemologica è vera, allora, come afferma sempre Wittgenstein nel suo Tractatus, non vi è alcuna commissione tra stati di cose.
Le leggi non sono proposizioni, né sequenze di frasi logicamente collegabili tra di loro, ma forme di una legge2.
Ne consegue, quindi, che, come appunto afferma il filosofo viennese alla fine del suo primo lavoro, Ciò di cui non si può parlare si deve tacere.
In altri termini non esistono etiche razionali, così come non esistono forme di una legge etica che siano empiricamente dimostrabili o logicamente coerenti.
Karl Popper non era d’accordo, come dimostrò in una sua conversazione con Wittgenstein al Moral Science Club di Cambridge la sera del 25 Ottobre 19463.
Per l’autore del Tractatus non vi erano problemi filosofici, o etici, ma solo paradossi linguistici o miti che si originano quando il linguaggio feiert, “va in vacanza”.
Quindi non vi era non solo una etica della responsabilità, ma nemmeno un’etica tout court4.
Per Karl Popper invece la filosofia era ancora capace di occuparsi razionalmente di grandi problemi etici ed esistenziali.
Il suo contraddittore, si dice, lo minacciò con l’attizzatoio a costruire una frase regolativa, o etica, e Popper vinse la tenzone affermando: “non minacciare conferenzieri in visita con gli attizzatoi”.
In termini logici, la vittoria dell’autore della “Logica della Scoperta Scientifica” era a metà: aveva sì costruito una proposizione descrittiva contenente un precetto morale razionale, ma tale operazione era descrittiva, cogente e limitata nello spazio e nel tempo: non si poteva sostituire “attizzatoio” con, per esempio, “pistola mauser”, o “conferenziere in visita” con “agente delle tasse”5.
Quindi, la filosofia contemporanea, salvo rari casi, ha rinunciato alla sfida di costruire una etica della responsabilità che sia razionale, poiché, nell’universo analitico o empirista del pensiero attuale, è possibile analizzare solo proposizioni singole o fatti isolati tra di loro, essendo il collegamento tra fatti e proposizioni, sempre per citare Wittgenstein, un “superordine di superconcetti”, quindi una struttura meta-empirica irrazionale costruita sull’uso mitico, religioso, politico del linguaggio6.
Non esiste quindi, nella tradizione filosofica che ha dato origine al pensiero contemporaneo, la possibilità di costruire un’etica delle responsabilità, ma nemmeno, per citare il suo contraltare nella teoria di Max Weber, un’etica della convinzione.
Per dirla con Anthony Giddens, non esiste nessun ideale che possa venir dimostrato giusto o sbagliato dall’analisi scientifica, e quindi non esiste un discrimine razionale e non costrittivo tra il comportamento eticamente corretto, sia esso per convinzione o per responsabilità, e il comportamento immorale, o irrazionale, o distruttivo7.
La teoria della democrazia si è oggi sviluppata secondo un modello caratterizzato da alcune valutazioni di fondo: a) la società come un tutto non esiste (un “superordine”, appunto) ma esistono microgruppi autonomi che compongono il macroantropo sociale, b) che tutte queste società minori sono egualmente legittime nelle loro normative interne, che non possiamo valutare come razionali o illegali) c) che il diritto si basa sull’applicazione delle regole empiriche e scientifiche valide per tutti, d) che il diritto e la morale si sovrappongono, e) che la rappresentanza di tutti i gruppi sociali è la forma unica della politica8.
Una serie di affermazioni che presuppone lo “Stato Minimo”, secondo il modello di Robert Nozick9, che determina il multiculturalismo come modello di comunicazione sociale, per usare i criteri di John Searle10, e che impone la sovrapposizione tra eticità e moralità.
Lo “stato minimo” crea inevitabilmente una società minima, dove l’unica comunicazione tra i gruppi, che non hanno né porte né finestre, come le Monadi di Leibniz, è quella del mutuo riconoscimento alla affermazione di sé come “cultura”, intesa qui nel senso strettamente antropologico del termine.
Sittlichkeit e Moralität, secondo la tradizione filosofica kantiana e hegeliana, la prima in quanto adesione alle regole della società da parte del singolo, la seconda come scelta esplicita e autonoma da parte del singolo nel seguire le regole sociali.
In tutte e due i casi si possono dare etiche della responsabilità o della convinzione, come è facile intuire.
Qui, la questione della differenza tra accettazione formale e responsabilità etica e filosofica dell’individuo nell’eseguire le norme, vi è la trasposizione di un concetto cristiano.
Se non vi è responsabilità dell’individuo nell’applicare le norme, allora il concetto di colpa, peccato, reato diviene, sempre per usare un modello di Wittgenstein, un “gioco linguistico” e lo Stato è legittimato ad accettare sia la “cultura” settoriale che conduce al reato, sia la punizione connessa al reato. Quindi lo Stato Minimo emette inevitabilmente segnali intrinsecamente contraddittori, che creano dissonanza cognitiva e inducono quello che la Scuola di psicologia di Palo Alto, con Gregory Bateson, ha chiamato la “teoria del doppio legame”: ansietà, nevrosi e blocco culturale si innescano quando i soggetti vengono costretti in una situazione “no win” creata dall’emissione di due indicazioni contraddittorie tra di loro11.
E, poi, non è possibile stabilire, a priori, se due o più culture interne ad uno stesso universo sociale possano o meno venire in contrasto tra di loro, dato peraltro che ogni modello di comportamento, ogni etica, ogni giustificazione dei propri atti è sempre, di per sé, universalistica e, per usare la formula di Charles S. Peirce, il vero fondatore del pragmatismo americano, “valida per l’indeterminato futuro”12.
Il riferimento della differenza tra Sittlichkeit e Moralität, tra prassi esterna e etica in interiore homine, dove abita la Verità secondo sant’Agostino, è al comandamento dell’amore che Gesù Cristo lascia ai suoi fedeli, alla cacciata dei mercanti dal Tempio e alla affermazione da parte del Figlio dell’Uomo che “il mio regno non è di questo mondo”.
Ovvero, che la regola morale, sia essa per responsabilità o per convinzione, va oltre la sua applicazione empirica e può, addirittura, andare contro la regola formale per riaffermare la “verità del cuore” o l’essenza unica dell’Uomo13.
Cristo è andato contro la Legge formale, la Sittlichkeit, per riaffermare una legge morale, più alta e più universale di quella che Lo ha portato sulla Croce.
E’ facile qui riconoscere le movenze della dialettica, sia di quella hegeliana che del suo “rovesciamento materialistico” in Karl Marx, ma anche del diritto universale kantiano, che si fonda sulla repubblica, come sede della libertà armonica dei singoli e “pura fonte del concetto di diritto”14.
In Aristotele, la moralità profonda coincide con le leggi dell’Impero e della pòlis, e quindi la dialettica è la scienza della “dimostrazione con altri”, non il meccanismo per cui si passa dalla prassi comune all’etica della razionalità e poi, da questa, alla moralità dell’Etica della Convinzione. Per lo Stagirita la dialettica parte dall’accordo iniziale su alcuni punti della discussione, non dalla cogenza del sillogismo regolare o dalla dimostrazione matematica15.
In Aristotele, quindi, moralità e legalità si uniscono, perché la comunicazione pubblica è il regno dell’accidentale, dell’opinione, della doxa in contrasto con la certezza erga omnes, ma non etica né giuridica dell’epistéme.
E’ stato Enrico De Negri, detto per inciso, a dimostrare l’essenza teologica, protestante, della filosofia hegeliana e soprattutto della sua dialettica16.
E qui la teoria etica di Immanuel Kant può essere ancora molto utile: per il filosofo di Koenigsberg la filosofia, il discorso sugli “universali” oggettivi del linguaggio, può stabilire un criterio empirico e logico per dividere le proposizioni tra quelle che contengono leggi morali (e qui si tratta certo di un’Etica della Razionalità) e le proposizioni che riguardano le regole della vita quotidiana, le norme di quel diritto positivo, di quelle regole di gruppo o familiari non scritte che appaiono come obbligazioni indipendentemente dal loro valore morale.
Intendo qui, ovviamente, il termine “obbligazione” in senso comune, non giuridico.
Quindi per Kant esiste una moralità universale che si può utilizzare, senza attizzatoi, per separare quelle regole morali che sono razionali, e quindi, kantianamente, valide per tutti e in ogni luogo (la “legge che non è di questo mondo”, per ripetere le parole di Cristo) da quelle che invece sono latitudinarie, temporanee, destinate a perire nel tempo e che non possono essere imposte, né per ragione né tantomeno per convinzione, ad altri17.
Viene alla memoria tutta una sequenza di trattatelli di Voltaire: l’Urone nell’Ingenuo, che possiede, pur essendo nato nelle colonie francesi del Canada, i valori e i principi razionali validi ovunque, e ingenuamente confronta le contraddizioni tra quello che l’Occidente predica e la realtà effettuale dei vizi, dei crimini, delle ingiustizie18.
Detto tra parentesi, se non vi è una meta-regola non linguistica che differenzi tutte le regole etiche vigenti dalle loro conseguenze indesiderate o inattese, come si può distinguere il giusto dall’ingiusto?
Non è possibile stabilire a priori che la conseguenza indesiderata di una regola etica sia indesiderabile o contraddittoria, pertanto i filosofi analitici sono costretti a pensare che 1) o non vi è un collegamento tra la regola e la sua conseguenza pericolosa (il che non può essere dimostrato, o può verificarsi una lunga serie di conseguenze indesiderate che possono far pensare ad un collegamento metalogico) oppure 2) la conseguenza indesiderata non deriva da quella regola morale, ma allora nessuna conseguenza deriva dall’applicazione di una legge morale od etica, e allora esse non sono distinguibili dalle descrizioni (la tematica di Wittgenstein con l’attizzatoio) ma, quindi, non hanno effetti, il che è contraddittorio.
E viene alla mente anche il classico Candide o Zadig, o ancora quel breve conte volterriano che in italiano si intitola “Così santa”19.
In Candide, la semplicità razionalista del personaggio eponimo lo portano sempre a mettersi nei guai, dai quali esce quando qualcuno si comporta contra legem, ma per una moralità più alta e per valori che, essendo universali, sono superiori al diritto positivo locale.
Ovvero: la forma del diritto, la pura conformità alle leggi e ai costumi comuni provoca ipocrisia e genera la contraddizione tra principi astratti e realtà, ma il riferimento alla superiore moralità dell’individuo, che percepisce le Leggi Universali, genera il contrasto dal quale il soggetto concreto risulta vincitore, magari solo per andare a “coltivare il proprio giardino”, per usare una delle frasi finali del candide20.
Si tratta quindi di una Etica della Razionalità che è collegata alla Moralität, contro la forma sociale che si regola sulla Sittlichkeit e si mantiene secondo l’Etica della Convinzione, che viene comunque fatta deflagrare dalla moralità superiore della ragione universale, che induce ad una convinzione universale e senza limiti di tempo e di spazio.
Nel Flauto Magico di Mozart sentiamo aleggiare lo stesso criterio etico-politico: Tamino, giunto di fronte ai Tre Templi, Natura, Ragione e Saggezza, trova un Iniziato, un sacerdote, che spiega come Sarastro non sia il Mago cattivo che Tamino pensa che sia.
Ovvero, il sacerdote di Sarastro fa capire a Tamino come l’etica superiore della Ragione non sia una immagine del maligno, una semplice rottura delle convenzioni, ma risulti la vera legge dell’umanità in rapporto con la natura e la saggezza21.
Alla fine, Tamino e Pamina vengono accolti nel regno solare di Sarastro, che è il simbolo della continuità della ragione umana e della sua moralità contro-fattuale nei confronti delle regole formali, che non sono necessariamente razionali, e che corrispondono alla legge del cuore russoviana.
Un concetto che, fra l’altro, aveva espresso, in termini diversi, anche Gesù Cristo.
Quindi, all’inizio dell’avventura della ragione occidentale ed europea, il cuore umano conserva sia la legge che il suo retto superamento, sia la norma della Sittlichkeit che le obbligazioni profonde della Moralität.
La cultura diviene quindi una tecnica di dis-velamento, di reductio ad unum, di interiorizzazione delle regole per arrivare, ripulendo le scorie della normativa mondana, alla Etica della Responsabilità che coincide, nella Repubblica ideale, alla Etica della Convinzione.
Tornando ad epoche più vicine a noi, la questione del nesso tra le due forme di Etica ritorna, in tutta la sua ampiezza, nel pensiero di Max Weber.
Weber ha già passato la soglia, quando elabora le sue teorie, della rivoluzione liberale e borghese, della utopia illuminista che la Francia ha intersecato con i suoi interessi geopolitici in Europa e in Medio Oriente.
Max Weber vive all’interno di quel quadro complesso, tra persistenze dell’Ancien Régime e stimoli rivoluzionari che si sono incastonati nella trasformazione economica e produttiva che sta modificando il paradigma delle classi dirigenti europee.
Lo storico Arno Mayer ha parlato di un “vecchio Regime” pre-1789 che permane in Europa fino alla Prima Guerra Mondiale22.
Sul piano politologico, l’ipotesi di Mayer è credibile, ma su quello delle trasformazioni geoeconomiche, l’idea dello storico lussemburghese-americano mostra qualche falla.
Il marxismo ha già costruito il suo modello, che solo dopo la crisi del 1989 mostrerà i suoi limiti, di una fusione tra rivoluzione borghese del 1789 e futura rivoluzione proletaria23.
Il modello di Marx è quello delle crisi di sovrapproduzione che, unite alla caduta tendenziale del saggio assoluto di profitto, rendono il capitalismo una fase transeunte e breve della società occidentale, e permettono peraltro ad essa di integrare i “mondi in evoluzione” dell’oriente, del mondo slavo, dell’America latina, dell’Africa colonizzata24.
La Prima Guerra Mondiale destabilizza l’universo imperiale russo, lo rende “territorio di esperimento per le rivoluzioni socialiste”, come era scritto in una carta geografica dell’epoca conservata ancora presso la Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, fa entrare Russia e USA nell’agone europeo, destabilizza, per una scelta ingenua dell’Impero Britannico, il cuore della penisola eurasiatica al fine di favorire l’espansione di Londra verso l’Asia Centrale, l’India e la Cina25.
Sul piano dell’etica, il marxismo rivoluzionario sovrappone, necessariamente, l’etica della convinzione con quella della responsabilità. Ma la convinzione non riguarda tutta la Sittlichkeit sociale, ma solo quella definita “borghese”, mentre l’ambito rivoluzionario rimane permeato da una Etica della Convinzione.
Una società nella società, l’esatto contrario, sia pure nella riconferma delle “rivoluzioni borghesi”, di quanto aveva teorizzato e realizzato la Rivoluzione francese del 1789, che aveva unificato la società, distrutto le corporazioni con la Legge Le Chapelier del 1791, creando un vuoto tra lo Stato e il singolo cittadino che veniva riempito dall’Etica della Responsabilità universale e dalla teoria della Fratellanza.
Il “bacio di Lamourette” nell’Assemblea Nazionale di Parigi del 7 Luglio 1792, con l’esplosione della fraternità tra deputati ormai nemici irriducibili, è il segno che il terzo Mito del Trinomio rivoluzionario, insieme alla Eguaglianza e alla Libertà, aveva un forte potere: era quello di rappresentare il mito secondo il quale, alla fine, l’etica di gruppo della Convinzione si sarebbe fusa senza residui con la morale della Razionalità26.
E che quindi era sempre razionale, oltre che giusto, ritenere ogni cittadino un “fratello”, visto che la Rivoluzione aveva liberato tutti i vecchi sudditi del Vecchio Regime dalle ideologie arcaiche delle corporazioni, delle famiglie, degli ordini, dei ceti, delle classi.
Max Weber vuole creare una scienza sociale avalutativa.
Wertfrei, libera da valori. Che, quindi, non prende posizione, ed è connessa ad una scienza sociale che si costruisce secondo le regolarità della politica, non secondo ipostasi di valori pregressi27.
Le leggi della politica si costruiscono analizzando la frequenza di fatti uguali e la loro correlazione oggettiva con altri fatti.
Qui non si tratta, in Weber, di una regola scientifica che diviene automaticamente una “regola del linguaggio” o una norma per costruire fatti, come in Wittgenstein e nei suoi parziali eredi della filosofia analitica. L’avalutatività non impedisce di mettere in campo le deduzioni soggettive del ricercatore, ma si limita a segnalarle, a renderle metalinguaggio esplicito.
L’avalutatività si ricollega quindi all’oggettività dei fatti sociali, tale e quale la realtà dei fenomeni studiati dalle scienze fisiche e naturali.
Quindi, non vi è alcuna possibilità di verificare una gerarchia valoriale dei fatti studiati.
E, inoltre, per Weber è del tutto ovvio che, nella società moderna i valori in gioco, le motivazioni dei soggetti, non siano unificabili in una generica fraternité ma non siano che soggettivi28.
Weber scrive in piena rivoluzione marginalista, nella quale l’analisi economica si trasferisce dalle strutture produttive a quelle della distribuzione, del valore soggettivo, del mercato.
L’asse della analisi marginalista è il punto debole del marxismo: la impossibilità di trasformare credibilmente i valori in prezzi.
Quindi per Weber l’etica deve generare giudizi “che valgano anche per un cinese”: il criterio della convinzione non vale che nei gruppi ristretti, sui quali non si fa scienza politica, ma all’avalutatività corrisponde unicamente un’Etica della Responsabilità.
Weber ha letto Nietzsche: sa che “Dio è morto” e che non esiste più una traccia unitaria che definisca erga omnes le etiche regionali in conflitto.
E che questo conflitto è appunto, come afferma Nietzsche, l’essenza stessa del mondo moderno.
L’Etica della Responsabilità è quindi l’unica possibile, per Weber, nel mondo della piena razionalizzazione.
Che è un nesso che lega, oggi, il moderno del XX secolo con il postmoderno della civiltà dei consumi prima e della comunicazione oggi. L’Etica universale non è possibile, l’universo della rationalisierung copre ormai tutti quegli spazi del sacro e dell’indicibile che, prima, ospitavano l’Etica profonda e universale e la salvavano dalle intromissioni della praxis o dalla sua compromissione con la legge positiva.
Per Max Weber, quindi, l’etica universale esiste solo quale credenza del soggetto, e la freccia della storia va verso una totale esclusione del sacro, o della fondazione metafisica di ogni etica, dal mondo29.
Qui Weber utilizza, tra le righe, il modello di Lèvy-Bruhl e dell’antropologia positivista: il “pensiero primitivo” unisce senza mediazioni l’uomo con la natura, è alogico, attribuisce tutto quello che accade a forze invisibili esterne, non separa nettamente il reale dall’immaginario.
Qui, tutta l’etica è della convinzione, niente appartiene all’etica della responsabilità in quanto accettazione di una regola intersoggettiva e calcolabile.
Le etiche pubbliche plurali del mondo moderno, il “politeismo dei valori” teorizzato dal sociologo tedesco nascono come regole morali interne, prive di giustificazione mistica da forze invisibili, sono le leggi e i miti che muovono le masse proletarie e le élites capitalistiche.
Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa… è il Manifesto del Futurismo del 190930.
Ma sono oggettive, razionali e relative.
La vecchia etica della convinzione era universale, e ciò riguarda anche la sua traslitterazione laica nell’umanitarismo laico rivoluzionario del 1789, ma per Max Weber la rationalisierung che è l’essenza del mondo moderno costringe ogni teoria universale a divenire unicamente un’etica della convinzione.
La morale della responsabilità è collegata alla costruzione di un’etica che coincida con il “politeismo dei valori” e con la avalutatività.
Dai segni che Weber dà in alcuni suoi scritti, è possibile che pensasse ad una teoria filosofica capace di unire il politeismo dei valori e l’oggettività dei fatti sociali con la struttura profonda dell’uomo e della sua psiche.
Certamente, un’etica della responsabilità è connaturata allo scienziato sociale, che non può prender partito all’interno delle tensioni sociali e d economiche, che peraltro egli sa essere consustanziali alla natura del mondo moderno31.
Il politico di Weber è, d’altronde, estraneo a ogni pensiero della fondazione, ad ogni etica della convinzione e il suo realismo comprende tutta la machiavellica realtà effettuale della cosa, della quale il politico non espunge nulla, se non sul piano di un calcolo razionale costi-benefici.
Ma la politica è il dover essere, non si chiude mai, come l’etica o il diritto, nella contemplazione del factum.
Ma, per Weber, il politico opera sulla base di una Etica della Responsabilità in quanto è chiamato da una vocazione, Beruf.
La sua vera vocazione non riguarda la realizzazione delle richieste del gruppo sociale che lo sostiene, ma implica la trasformazione di tutti i valori, la trasformazione della realtà senza doverla ridurre, cosa peraltro impossibile nel mondo moderno, ad unum.
Il politico di Max Weber è, per certi versi, il calco del superuomo di Nietzsche.
Lo Übermensch di “Umano Troppo Umano” non è il distruttore dei valori per tutti, visto che per sempre vi saranno “cinesini” , per usare la terminologia che Nietzsche usa nei suoi ultimi “Frammenti Postumi”, sui quali dovrà calare l’”olio lenitivo” di una ideologia consolatoria, di una mistica, di un Sol dell’Avvenire materialista che permetta loro la ripetizione efficace degli atti ripetitivi che a loro sono richiesti per la riproduzione-innovazione tecnica e economica32.
Per i “cinesini” l’Etica della Convinzione è necessaria a sopportare l’Eterno Ritorno dell’Eguale. Sono i ciandala, gli “intoccabili” indù della produzione, gli elementi che il taylorismo e il fordismo hanno immesso nel capitalismo e che, di lì a poco, si trasferiranno dalla produzione al consumo, fino alla attuale macdonaldizzazione dei gusti e dei comportamenti33.
Per il Politico, invece, opera l’Etica della Responsabilità, senza scampo. Ma la sua morale della Convinzione è quella che gli permette di fondare il suo comportamento pubblico, di renderne conto e di giustificarlo a sé stesso.
Il Politico weberiano ha come Etica della Convinzione quella della Responsabilità, e crede al politeismo dei valori essenziale al moderno solo in quanto sperimenta fino in fondo la possanza delle sue credenze.
E’, come afferma Weber in “Economia e Società, un “ircocervo”.
Ci viene in mente la definizione dell’uomo in Nietzsche, “una corda tesa tra la scimmia e il superuomo”.
Si noti, peraltro, che il termine Übermensch, come ci ha insegnato Giorgio Colli, non vuol dire superuomo nel senso titanico e demonico del termine, ma designa più precisamente l’Oltre-uomo, ciò che l’essere umano non è ancora, il suo mondo di possibilità34.
Inoltre, per Weber la razionalizzazione del mondo, la trasformazione del mondo naturale dei mana (studiati da Lévy Bruhl) in una sequenza di relazioni oggettive e verificabili tra gli eventi, il totale disincanto del mondo, porta proprio al pluralismo dei valori non solo sul piano sociale, ma addirittura all’interno del singolo individuo35.
L’Etica della Responsabilità è, quindi, un’etica della ragione settoriale, della delimitazione delle sfere di azione e di interpretazione del soggetto, e l’obbligo razionale a non utilizzare concetti e criteri validi, per esempio, per l’economia nella politica o nella scienza.
L’effetto di insieme è dato dalla “gabbia di acciaio” della razionalizzazione tecnica del mondo e della società, che modella, spesso coattivamente, i comportamenti soggettivi i quali si giustificano per sé.
L’Etica della Responsabilità definisce la coerenza dei comportamenti ad uno scopo verificabile e socialmente accettabile. L’Etica della Convinzione, al contrario, è invisibile e inverificabile.
Per il politico, vale lo stesso, ma serve, come dice Weber, “avere fede” per perseguire la causa che egli ha scelto.
E, in particolare, come egli può avere fede (e quindi si tratta dell’Etica della Convinzione) in una qualsiasi causa economica, politica, religiosa, mentre la sua efficacia si misura solo nella relazione tra mezzi e fini, che è unica in ogni ambito di prassi sociale, così l’etica della Responsabilità, come quella della Convinzione, si applica in modo diverso nei molteplici ambiti della vita familiare e sociale.
L’uomo di Weber ha molto a che fare con il soggetto di Sigmund Freud: entrambi hanno un Super-Io che determina le loro obbligazioni sociali, che promana da una infinita serie di stimoli che, spesso, sono inconsci e quindi incontrollabili36.
Per Weber, la soluzione a questa tensione tra le etiche è la rationalisierung e la “gabbia d’acciaio” della formalizzazione di tutti i rapporti sociali, per Freud è la spinta, biologica e, per certi aspetti, evolutiva, a trasformare lo stimolo soggettivo indistinto in un elemento della personalità conscia.
Wo Es war, soll Ich werden, dove prima era l’Es, deve arrivare l’Io.
L’Etica della Convinzione è assoluta prima della sua peraltro inutile verifica, l’Etica della Responsabilità è relativa per definizione, ma può divenire assoluta quando, per ogni ambito della sua applicazione, si verifichi una correlazione efficace tra mezzi e fini.
E qui abbiamo un altro tratto dell’Etica della Convinzione, che è assoluta per definizione.
In Machiavelli, il principe “ha da essere buono o da parerlo”.
Il suo fine è la costruzione del Principato che permanga e acquisisca i tratti dei domini “antiqui”, che si giustificano per tradizione e consuetudine. Quindi la sua Responsabilità etica è funzionale al fine della sua convinzione, e il nesso tra mezzi e fini è quello tra obiettivo, il potere stabile del Principe, e mezzi, che non hanno alcuna categorizzazione morale a meno che la sfrenata illegalità del Duce non si rovesci contro di lui, facendolo “parer malvagio” e quindi isolandolo tra i suoi sostenitori37.
Tra questi due estremi vi è la dialettica machiavellica di fortuna e virtù.
Per Max Weber, come possiamo immaginare, questa prassi politica è inverificabile e casuale, e non può essere applicata al mondo razionalizzato della scienza e della tecnica applicate alla produzione e alla comunicazione tra gli uomini.
Anche il Principe machiavelliano deve permanere dentro la “gabbia di acciaio”, oltre la quale non è definibile alcun fenomeno politico.
L’Etica della Responsabilità, al contrario di quella della Convinzione, per Weber è verificabile, e soprattutto permette l’attribuzione delle conseguenze alle scelte precedentemente operate.
E’ l’Io freudiano che si sostituisce all’Es.
Sul piano logico, l’Etica della Responsabilità permette di evitare, o almeno di contenere, la generazione di conseguenze inattese o negative a partire da una determinata scelta38.
La politica è ubiqua, si configura, anche in Weber, come un potenziale discorso unificante della realtà sociale.
Vale per la politica moderna quello che Konrad Lorenz, nella sua “Scienza naturale della Specie Umana” 39ha affermato per la percezione dello spazio e del tempo, che sono per noi homo sapiens sapiens dei “lussi della percezione”.
Quindi, l’Etica della Responsabilità, identificando chiaramente gli effetti oggettivi delle sue scelte, restringe la possibilità, senza annullarla, che da scelte apparentemente buone (Convinzione) o razionali (Responsabilità) derivino effetti imprevisti, indesiderati, distruttivi.
Quindi, la totalità della popolazione, salvo pochi Illuminati, opera sulla base di etiche irrazionali di cui non si possono mai prevedere le conseguenze, proprio perché esse si costruiscono sulla base di assoluti in analizzati esterni al mondo umano (Religioni, miti, ideologie salvifiche) mentre il politico, come tutti, mantiene le sue convinzioni ma valuta gli effetti delle sue scelte sulla base del nesso oggettivo mezzo-fine, che legittima l’Etica della responsabilità.
Viene in mente, in questo contesto in cui èlitismo e democrazia di massa si confondono, come nella sociologia politica di Max Weber, una poesia di Hugo Von Hoffmanstahl del 1896, “Alcuni Però…” manche freilich… Una nave veneziana viene descritta con la stratificazione delle funzioni e degli uomini, “alcuni però” devono morire in basso, ai remi, altri invece stanno in cima al pennone, e “conoscono il volo degli uccelli e i Territori delle Stelle”.
Chi sta ai remi, deve utilizzare una fortissima etica della convinzione, perché nel mondo del disincanto non vi è una ragione oggettiva perché essi stiano vicino “al gemito dei legni”.
Ma chi conosce “I territori delle stelle” ha solo bisogno di un’Etica della Responsabilità, poiché deve indirizzare la rotta della nave, che gli altri non possono vedere.
Le religioni, dice Weber, e questo vale anche per le ideologie messianiche del socialismo, sono la reazione all’irrazionalismo etico del mondo, perché danno una risposta “al torto impunito, al dolore immeritato e alla stupidità insanabile”.
E, essendo etiche della convinzione, da un lato rappresentano un balsamo inevitabile per i mali del mondo, dall’altro proprio per questa loro funzione lasciano intatto lo stesso male che intendono negare alla radice.
In politica, per Weber, il male è principalmente la violenza: essa è all’origine di tutti gli Stati, e non può essere espunta dal mondo, è come l’inconscio di Freud, l’assassinio rituale del Padre che il fondatore della psicanalisi vede all’origine del monoteismo e, quindi, della ragione Occidentale.
Non può espunta, ma può essere limitata, controllata e soprattutto sublimata, come accade nelle nevrosi.
La “violenza legittima” viene esercitata da Capi che possono prospettare, per Weber, premi razionali e etiche della Convinzione insieme ma, se questo non accade, i servi si ribellano e si ripete l’Uccisione del Padre40.
Vi è qui l’eco della analisi politica che Arthur Schopenhauer compiva del mondo moderno definito dalla Rivoluzione Francese del 1789: essa era l’ultima in ordine di tempo di quelle “rivolte di schiavi” che avevano progressivamente distrutto la civiltà europea (il Cristianesimo, le guerre europee, fino al socialismo) e che Nietzsche cercherà di evitare con la biforcazione etica tra Nuovi Signori, coloro che stravalutano tutti i valori (e quindi sono legati solo ad un’etica della Responsabilità) e masse di ciandala, da escludere progressivamente dalla civiltà postmoderna, che ricostruirà le comunità di sapienti dell’iniziazione albigese e della poesia provenzale, le “gaie scienze”41.
Il politico, usando una corretta correlazione tra i fini e i mezzi, che ha molto a che fare con una metaforica medicina omeopatica, cura la violenza insita nel mondo rovesciandola, come deve fare un mago bianco, contro sé stessa.
“Un piccolo male per un grande bene”, come aveva detto Voltaire. E tanto maggiore è ristretto il campo di applicazione, tanto maggiore la efficacia dei mezzi ai fini, più preciso è il controllo politico del male che sta nel mondo.
Max Weber, per certi aspetti, è sensibile alla analisi che James Frazer fa del mito nel suo Ramo d’Oro, che esce nel 189042.
Per l’antropologo scozzese, esiste una continuità ininterrotta tra mito, magia e scienza moderna.
Quella continuità che anche Newton aveva cercato di studiare nella sua interpretazione esoterica e cabalistica dell’Apocalisse di Giovanni43, e che ritroviamo nella sua teorica della forza di gravità, una forza invisibile e inspiegabile che compie, nella natura fisica del mondo razionalizzato e dis-sacrato, il ruolo del mana, della simpatia magica che lega tra di loro tutte le cose.
Alla fine del processo della razionalizzazione del mondo e dell’uomo, il corso che Weber chiama “intellettualizzazione” della vita e del mondo, la Ragione e l’Etica della Responsabilità avranno la stessa estensione delle vecchie etiche della Convinzione.
Per Weber, allora, la politica è ancora, come lo era per Machiavelli, “arte e scienza” insieme, e le due etiche composte armonicamente nel Politico e nello Statista, creano l’uomo autentico, il Capo naturale.
Che non è un Oltre-uomo, ma un traghettatore che trasporta quanti più cittadini nello spazio sacro della razionalità.
Per Emmanuel Lévinas, la questione dell’etica della Responsabilità ha tratti più filosofici e meno legati alla valutazione dell’agire politico44.
Il filosofo lituano-francese, che si occupa di tematiche specificamente etiche negli anni ’60 e ‘70, l’etica non è mai generalizzabile.
Ogni scelta del soggetto implica automaticamente quella degli altri, e quindi tutte le etiche “filosofiche” sono inutilizzabili, perché ogni scelta vitale implica involontariamente il comportamento degli altri.
Lo Stato è lontano, la shoah ha distrutto le pretese della razionalizzazione totalizzante e costrittiva che può essere intrapresa dallo Stato, l’uomo “ircocervo” e armonico che coniuga le due etiche e consente lo sviluppo della razionalità occidentale, estendendone l’uso anche a “coloro che remano in basso”, ha lasciato il posto al Mago Nero e al Demiurgo infernale che ha quasi distrutto Israele e sporcato per sempre i popoli europei che ha affascinato e soggiogato45.
Quindi, l’etica della Responsabilità, in Levinas, parte dalla relazione concreta, fenomenologica tra i soggetti reali, senza la mediazione dello Stato, dei Partiti, delle ideologie, e fonda l’Amore come obiettivo del rapporto tra esseri umani46.
Un’etica che si risolve quasi completamente nella Convinzione.
Ma per permettere l’universalità di questa legge dell’amore, che abbiamo visto all’opera anche nell’impianto teorico weberiano, è necessario un “superordine di superconcetti”, la Giustizia.
La Giustizia consente l’uso della Legge dell’Amore verso gli sconosciuti, l’Altro invisibile.
Qui la dialettica di Levinas diviene quella, tipica della filosofia di Husserl, tra l’ipostasi e il fluire delle sensazioni e dei pensieri, appena isolato dalla tecnica della epochè, della sospensione del pensiero e dall’aprirsi al libero flusso delle percezioni.
Una tecnica che mette in collegamento Husserl con la psicanalisi freudiana.
Il contrasto può avvenire quindi tra una Giustizia autoreferenziale, che non serve al fine iniziale dell’Amore, e una relazione tra soggetti priva di regole e, quindi, imprevedibile e, soprattutto, limitata. Senza Giustizia, l’amore rimane chiuso nel rapporto tra pochi.
E l’Amore ha bisogno di una categoria che Levinas, con ogni probabilità, acquisisce dalle sue lettura della mistica ebraica di Ibn Gabirol e di Mosè de Leon, la faccia.
Il Volto dell’Uno è invisibile, ma quello dei Molti è non solo visibile, ma inevitabile, e fissa l’identità in modo certo.
Il Volto è quindi il fondamento di una Etica della Responsabilità che è insuperabile e, soprattutto, indefinibile e senza scampo. La Faccia, il volto dei soggetti non è né buono né cattivo, ma è il testimone del comandamento della responsabilità di ognuno, che è aperta, indefinibile, né buona né cattiva, assomiglia ad un Comandamento di Dio, una Mitzvah.
Quindi, in Levinas l’Etica della Responsabilità è priva di un fine oggettivo, politico o sociale, è inevitabile nella sua presenza, come il Volto per ognuno di noi, non è né buona né cattiva, ma non è wertfrei come l’Etica della Razionalità di Max Weber, e infine, come l’etica della Responsabilità “classica”, da Kant a Weber, appunto, non si definisce per premi o castighi futuri, tutto si conclude all’interno della continua tensione tra Legge dell’Amore e Giustizia, che fonda la possibilità del legame astratto tra soggetti sconosciuti che, infine ancora, obbliga con questo legame non solo alla responsabilità, ma alla sottomissione all’Altro47.
Ed infatti un elemento cardine dell’etica di Levinas è l’Umiltà.
Un’etica di un mondo di schiavi che si nascondono negli intermundia di una società capace di controllare microscopicamente tutto, uno Stato che ha scoperto quella che Foucault ha chiamato la microfisica del potere48.
Un’etica della Responsabilità che permette la fuga nella legge dell’Amore alla pressione degli apparati invisibili e senza nome che, dalla “gabbia di acciaio” di Max Weber, hanno trasferito la loro capacità di manipolazione nell’universo simbolico, valoriale, affettivo e che può essere controllato solo da un’etica che, a partire dalla Responsabilità assoluta verso l’Altro, passi alla Legge dell’Amore per i singoli e concreti esseri umani.
Tutte tematiche che ritornano, in un contesto filosofico diverso, nella teorica di Hans Jonas.
Il suo “principio di responsabilità” si basa sul rovesciamento dell’ottimismo scientifico che aveva caratterizzato le teorie di Max Weber: la scienza minaccia la natura e l’umanità, e la dialettica non è più tra ipostasi dello spirito, come in Levinas, tra Legge dell’Amore e Giustizia, ma tra tecnologia e umanità reale.
Per Jonas49, tutte le etiche della Responsabilità hanno avuto di mira il comportamento dei soggetti, che oggi sono impotenti anche a decidere della loro sopravvivenza fisica, che pure il Leviatano di Hobbes garantiva, e il “Contratto Sociale” di Rousseau poneva al centro del patto tra eguali che, in un tempo prima del tempo storico, permetteva la vita e la libertà dei soggetti, subjecti ad una autorità centrale.
L’etica della Responsabilità di Jonas non è quindi soggettiva, e quindi non è antropocentrica: si tratta di salvaguardare la vita delle generazioni future sulla Terra, è un rovesciamento all’infinito futuro dell’infinito passato mitico di tutte le mitologie del contratto sociale o del Sovrano pacificatore.
E’ da vedere come questa etica dell’indefinito futuro possa essere cogente: il passato genera miti, e modelli culturali che operano in profondità nella psiche e nei comportamenti sia delle masse che dei popoli.
Il futuro della specie, invece, è correlato ad ideologie e a programmi scientifici che non esercitano la stessa potenza sulla psiche umana50.
In questo scarto, rinasce il primato dell’etica filosofica, e quindi della metafisica. Se la vita è l’Essere, e non l’Esserci come sosteneva Heidegger, essa ha in sé il suo finalismo: permanere, e trasformarsi secondo le sue regole, fuori da ogni possibile manipolazione restrittiva degli uomini.
Per Jonas, quindi, l’Etica della Responsabilità è ormai estranea alla costruzione della città della politica, e si nutre di tutti quegli ideali e progetti che riguardano la sopravvivenza della specie umana.
Ma, a nostro avviso, si perde il nesso tra presente e futuro, per sostenere una serie di scelte che, nell’etica di Jonas, sono anch’esse sottoposte alla legge weberiana delle conseguenze impreviste.
Il futuro di una nuova etica della Responsabilità sarà quello di una teoria nella quale si contempla la prassi politica, e la sua separazione dalla rappresentanza illecita degli interessi, e da una filosofia che unisca la analisi del tessuto sociale con la struttura delle tecnologie, presenti e future.
Una sfida weberiana, ancora una volta.

Giancarlo Elia Valori