Sanità e Medicina

Il decreto scuola dà il via ad una nuova era glaciale

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San Marino. Uno degli aspetti più agghiaccianti del Decreto Scuola, approvato nella seduta serale del Consiglio Grande e Generale del 20 settembre 2018, è che di fatto costringerà i giovani aspiranti docenti a rinunciare al proprio sogno di diventare insegnanti. Chi, oggi, sul punto intraprendere un percorso di studi universitario o già prossimo alla laurea, abbia maturato la consapevolezza di una vocazione educativa e coltivi la speranza di poter svolgere in un futuro prossimo questo mestiere, può tranquillamente rinunciarvi.
Con quale spirito un giovane, che voglia rendersi indipendente e “mettere su famiglia” – e questo chi non potrà auspicarlo, se uno dei motivi ispiratori del decreto è, come dichiarato dal segretario, il calo demografico? – potrà ambire a diventare docente? Se prima la strada era tortuosa (tutti abbiamo messo in conto anni e anni di precariato), ora non ce n’è alcuna.
Aumentando il numero di studenti per classe, diminuendo le circoscrizioni e le cattedre e impiegando, grazie al riduzionistico meccanismo di recupero dei minuti, le ore aggiuntive per le sostituzioni interne, si taglieranno drasticamente gli incarichi e le già rare supplenze. Le assunzioni si congeleranno, o quantomeno subiranno un terribile ridimensionamento e ciò, in definitiva, impedirà che si inizi a fare gavetta.
Tutto questo mentre lo stato continua a battere cassa erogando annualmente corsi abilitanti all’insegnamento e al sostegno, che, fra l’altro, nonostante richiedano un serio impegno (anzitutto economico) e siano erogati dai medesimi docenti che li tengono in Italia, non vengono – in diversi casi – nemmeno riconosciuti dal MIUR, impedendo ai giovani sammarinesi persino di insegnare nelle scuole italiane. (Si aggiunga che chi, nonostante questo, riesce a lavorare oltre confine, si vede poi non riconosciuti in graduatoria gli anni di servizio svolti fuori Repubblica, e, non potendo far fruttare nelle nostre aule la preziosa esperienza maturata in realtà e contesti diversi, è costretto a proseguire la sua carriera in Italia).
Con quale spirito insegneremo ai nostri ragazzi che vale la pena seguire la propria vocazione, studiare, impegnarsi, tuffarvisi anima e corpo? L’insegnamento che l’operato del governo esplicita è un altro, e cioè che l’educazione è un bene superfluo, di lusso, un investimento fallimentare su cui non è opportuno scommettere. In sintesi che la paideia va sacrificata sull’altare della ragione economica.
Questo decreto, in fondo, sancisce per la scuola sammarinese l’inizio (sebbene in sordina) di una vera e propria glaciazione. Le norme, opportunamente silenziate e presentate come innocue, potranno anche non fare, per ora, un gran rumore. Ma è così, da un pugno di neve, che iniziano le valanghe. È con un singhiozzo, non con un’esplosione, che finisce il mondo, come scrive Eliot: Not with a bang, but a whimper.
Noi, tuttavia, rimarremmo fedeli al nostro lavoro, finché sarà possibile farlo. La scuola invecchierà, s’immalinconirà nella frustrazione, perderà risorse e prestigio. Ma fra quelle aule, in barba ai conti da governante del governo, continuerà a risuonare una lezione diversa, sintetizzata alla perfezione da queste parole di Hannah Arendt: “L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balìa di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti.”
Michele Ghiotti, in nome di un gruppo di docenti sammarinesi

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