PDL Unioni civili: apripista verso un pieno riconoscimento dei diritti
San Marino. Sono onorata di poter inaugurare la mia prima Commissione con la discussione di questo progetto di legge di iniziativa popolare sulle unioni civili. Prima di tutto perché tocca un tema a me caro, che seguo da tanti anni e che mai avrei pensato di avere la fortuna e l’onore di poter discutere in prima persona in quest’Aula. La tematica dei diritti civili in generale, e quella legata al mondo LGBT in particolare è quella che mi ha spinto verso l’attività politica a seguito di un’esperienza associativa intensa ma poco fortunata, che si è conclusa scontrandosi con il muro di gomma del conservatorismo. Muro di gomma che faceva sì che ogni tentativo di apertura di un canale di dialogo, attraverso attività sul territorio, istanze d’arengo e raccolta firme, ci rimbalzasse addosso e non trovasse interlocutori all’interno delle istituzioni. Credo sia questo uno dei motivi che, purtroppo e per fortuna, hanno spinto la popolazione ad attivarsi in prima persona elaborando un progetto di legge di iniziativa popolare: se avessimo dovuto aspettare di giungere ad un progetto di legge frutto di un accordo tra le forze politiche probabilmente non saremmo qui perché ancora oggi l’approccio è fortemente ideologizzato, prevalgono i ricatti rispetto alla tenuta del governo, prevalgono i calcoli legati al consenso. Questo approccio frena un confronto sereno sui diritti civili e sulle libertà legate alla sfera individuale.
Chi in quest’aula è chiamato a votare i provvedimenti normativi non dovrebbe mai scordarsi del proprio ruolo di custode di quei diritti che abbiamo ricevuto come eredità di anni di battaglie. E non dovrebbe limitarsi a custodire quell’eredità producendo leggi non discriminatorie – anche se sarebbe un passo avanti rispetto all’esistente – ma sarebbe opportuno che usasse la propria libertà per farsi portavoce dei diritti di coloro che se li vedono preclusi. Se ci pensiamo un momento, il fatto che oggi tante donne siano presenti in questa commissione è dovuto al fatto che molte altre donne prima noi, negli anni ‘70, hanno fatto sentire la loro voce e ottenuto il riconoscimento all’elettorato attivo e passivo. Se non lo avessero fatto noi difficilmente saremmo qui adesso. Per questo credo fermamente che l’approvazione di questa legge, quando avverrà, sarà un momento storico, perché stiamo usando i diritti che abbiamo ereditato affinché altri nostri concittadini possano vedere rispettati i propri diritti, ponendo così le basi per passaggi futuri ancora più coraggiosi e significativi di questo. Insomma continuiamo ad alzare l’asticella.
Questo progetto di legge ha raccolto il supporto di oltre 1300 firme della cittadinanza; ha raccolto il plauso dell’Associazione Giovani Avvocati italiana che non si è risparmiata in apprezzamenti, valutando il testo di legge addirittura migliore di quello italiano. Sarebbe riduttivo considerare questo progetto di legge solo un esercizio di democrazia diretta, ma è soprattutto espressione di quella coscienza civica che è andata sempre più diradandosi negli ultimi decenni.
In ogni caso dobbiamo prendere atto che la nostra popolazione in questi anni ha compiuto il percorso verso una maggiore consapevolezza sulle tematiche legate ai diritti civili e alle persone LGBT, e lo ha fatto in maniera autonoma, non è stata accompagnata dalla politica. La stessa cosa vale per l’interruzione volontaria di gravidanza.
Il fatto che non vi sia un percorso comune di consapevolezza tra cittadini e loro rappresentanti mi rammarica, perché mette a repentaglio i diritti conquistati che, invece di essere percepiti e trattati come tali, rimangono appesi a un filo, con il rischio di essere spazzati via a colpi di maggioranza (o di opposizione). È mancata la costruzione comune consapevolezza perché anche quando il nostro paese ha fatto dei passi avanti, li ha fatti di nascosto. Pensiamo ad esempio a come si è proceduto per eliminare l’art 274 dal codice penale, che era un articolo, introdotto nel 1974 che puniva con la prigionia gli “Atti di libidine con persone del medesimo sesso”. Questo articolo è stato abrogato trent’anni dopo, nel 2004, sottotraccia, perché i vari partiti allora al governo pur comprendendo il valore e l’opportunità di quella abrogazione, non volevano doversi giustificare con i loro aderenti. Invece quello sarebbe stato un bel momento di crescita per tutti.
Dobbiamo aspettare il 2008 invece per avere una legge sulla prevenzione e repressione della violenza sulle donne e di genere, inclusa quindi anche la violenza perpetrata nei confronti delle persone omosessuali. Quindi nel giro di quattro anni l’omosessualità non era più considerata reato ed anzi è diventata destinataria di una sorta di tutela, da parte dello Stato.
Ora manca un tassello importante, quello che ci porterà a riconoscere le persone dello stesso sesso come titolari di uguali diritti e doveri, attraverso una riforma del diritto di famiglia che riconosca il matrimonio come negozio giuridico aperto a tutti senza discriminazioni. Questo progetto di legge è un passo avanti in quella direzione e servirà a far capire a chi ancora è prevenuto, che l’unione di due persone dello stesso sesso non porterà alla rovina del paese, né costituirà un danno per le famiglie formate da coppie eterosessuali, né sminuirà il loro valore. Al contrario sarà motivo di un aumento della qualità della vita dei ns cittadini e della loro felicità perché “le società devono giudicarsi per la loro capacità di fare in modo che le persone siano felici” (A. de Tocqueville).
A prescindere da questo progetto di legge comunque, non possiamo non rilevare che la discriminazione di base, contenuta nella riforma del diritto di famiglia del 1986, permane. L’accesso al matrimonio è vietato alle persone dello stesso sesso. È qui che, a mio avviso, non possiamo perdere il treno. Lo Stato dovrebbe farsi promotore di una legge che superi quella dell’86, che era stata formulata in quel modo perché nella società dell’epoca l’omosessualità era considerata un reato dal nostro codice penale ed era considerata una malattia mentale dalla comunità internazionale!
Nonostante dal 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia depennato l’omosessualità dalla “Classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati” il nostro Stato non ha preso atto di questa cancellazione, non ha aggiornato le proprie normative per far sì che le persone fino a quel momento escluse potessero finalmente trovare il loro legittimo riconoscimento istituzionale. Lo Stato ha semplicemente fatto finta di niente e mantenuto una impostazione del diritto di famiglia fortemente anacronistica e iniqua perché elaborata a metà degli anni ’80 quando ancora gli omosessuali erano considerati dei malati mentali. Questa impostazione ha inciso in maniera fortemente negativa sulla vita di tantissimi cittadini sammarinesi che in molti casi sono letteralmente scappati dalla loro famiglia di origine, a cui non era stato spiegato che l’omosessualità è una delle varianti naturali del comportamento umano e non una malattia mentale. Uno Stato che si proclamava a favore della famiglia ha creato, per superficialità e opportunismo, le condizioni affinché intere famiglie si sfasciassero.
Perché tengo a ricordare questi avvenimenti? Per sottolineare il valore e la portata di questo progetto di legge, apripista verso un pieno riconoscimento e verso la fine della discriminazione. Un progetto di legge di che di fatto crea una strada alternativa a chi è ancora è discriminato. Ma crea questa strada alternativa in maniera matura, senza produrre ulteriori discriminazioni, e infatti l’unione civile è aperta alle persone dello stesso sesso ma anche a quelle di sesso diverso. In questo senso il Comitato Promotore dà una grande lezione di civiltà perché non commette l’errore di bloccare l’accesso all’unione civile agli eterosessuali, anzi li include. La legge ha quindi valore universale.
Come abbiamo avuto già modo dire, il nostro movimento non ha presentato emendamenti perché riteniamo che il progetto di legge fosse ben formulato e ha trovato la nostra più completa e totale condivisione. Gli emendamenti giunti dalla maggioranza li ritengo peggiorativi del testo originale, che perde la sua genuinità e chiarezza, ma non ne stravolgono il senso.
Vorrei concludere sottolineando che il nostro ruolo in quest’aula non termina con l’approvazione di questo progetto di legge, ma dobbiamo impegnarci per monitorarne l’applicazione, per intervenire tempestivamente nei casi si manifestino lacune o abusi e per far sì che il percorso dei diritti civili sia fonte di reciproco arricchimento, e non di divisione.
Ringrazio il Comitato Promotore, i firmatari del progetto di legge, la Commissione Pari Opportunità e tutti quelli che hanno collaborato.
Marianna Bucci – Movimento RETE