Ergastolo a Giulio Lolli per terrorismo in Libia, in Italia ricercato per truffa.
E’ finita (per il momento) con una condanna all’ergastolo da parte della Libia, la fuga infinita di Giulio L0lli, imprenditore originario di Bertinoro (Forlì) , latitante in Italia per un crack milionario legato a un giro di yacht di lusso ma ora in mano alla giustizia di Tripoli che lo accusa di terrorismo e traffico di armi. La condanna al carcere a vita in Libia è arrivata questa mattina, lunedì, ma Lolli si trovava in carcere nel turbolento paese nordafricano dal 2017. «Speriamo che la Libia si determini a consegnare Lolli all’Italia, speriamo che sia possibile che possa rientrare quanto prima» ha detto il suo avvocato Antonio Petroncini.
Lusso e vita spericolata
Quella di Lolli è stata una vita «spericolata» all’insegna del lusso, dell’avventura e anche dell’illegalità come da lui stesso rivendicato anche in alcune dichiarazioni degli anni passate. I tribunali italiani (e le cronache) cominciano a occuparsi dell’imprenditore nel 2010 quando la procura di Rimini chiede e ottiene nei suoi confronti un’ordine di custodia cautelare per il fallimento della Rimini Yacht, un «buco» da oltre 4 milioni legato alla vendita di imbarcazioni di lusso. Lolli era però a sottrarsi alla cattura all’ultimo momento e da allora è sempre stato una «primula rossa»; da latitante ha anche patteggiato una condanna a 4 anni e 4 mesi per il fallimento della società.
La nuova vita in Libia
Lolli era scappato dall’Italia in barca, aveva vissuto nascosto in diversi paesi e si era rifatto una vita a Tripoli quando ormai il regime di Gheddafi era al crepuscolo. Anche in Libia era stato arrestato in un hotel di lusso ma prima che scattasse l’estradizione era riuscito a darsi nuovamente alla macchia, approfittando dei bombardamenti Nato sul paese africano. Aveva poi sfruttato da par suo la caduta del Colonnello: si era unito a una banda di ribelli, aveva ricominciato a trafficare con le barche e aveva anche assunto il nome di Karim . Senza rinunciar però ad un alto tenore di vita. Viveva in una villa sulle colline della capitale libica e non faceva mistero della sua attività.
Le accuse e la condanna
La polizia di Al Serraj lo aveva finalmente catturato il 29 ottobre del 2017, accusandolo di traffico di armi e terrorismo per la sua appartenenza a un gruppo armato vicino alle forze separatiste di Bengasi del colonnello Haftar. Secondo l’avvocato difensore Petroncini il tribunale di Tripoli accusa l’ex patron di Rimini Yacht di aver fornito imbarcazioni alla fazione di ribelli e di aver partecipato per loro conto a missioni in mare. Reati che in Libia possono costare anche la pena di morte. Questa mattina le accuse si sono trasformate in una condanna all’ergastolo.