Pietro Masiello e la: “Fenomenologia del dito medio”
Ha destato molto rumore ed indignazione la vicenda del dito medio che il direttore di Banca Centrale, Lorenzo Savorelli ha esibito al fotografo delle rivista Super, Francesco De Luigi, durante la conferenza “Advantage Financial: prospettive globali di crescita e dinamiche dei piccoli stati e delle città-stato” tenutasi a Rimini il 25 agosto 2017, conferenza dove gli animi si sono molto surriscaldati visto che oltre all’episodio già menzionato, si è verificato che al termine dell’incontro, Francesco Confuorti, Presidente e AD della Advantage Financial ha seguito di una domanda della giornalista di San Marino RTV Francesca Biliotti, ha strappato il microfono dalle mani della reporter e l’ha gettato nella sala.
Il giorno successivo prontamente La Consulta per l’Informazione della Repubblica di San Marino ha emanato un comunicato stampa di durissimo condanna dei fatti accaduti ed ha espresso solidarietà ai giornalisti Francesca Biliotti, Fabio Barone e Francesco De Luigi.
Risultato finale, prima Il governo ha sfiduciato il direttore generale di Banca Centrale Lorenzo Savorelli e qualche ora dopo il 30 agosto il Consiglio direttivo di Banca Centrale lo licenzia con revoca di tutti gli atti posti in essere dal direttore dopo le ore 12 del 30 agosto.
Il gesto del dito medio o digitus impudicus, come lo chiamavano i Romani, ha accompagnato l’umanità come una sorta di nume tutelare da utilizzare nelle occasioni più importanti, con evidente allusione all’atto sessuale.
Ma il dito medio come lo conosciamo oggi, fu inventato dagli inglesi. Serviva per offendere l’esercitò francese durante la Guerra dei Cent’anni. Questi infatti avevano l’abitudine di amputare il dito medio agli abilissimi arcieri britannici quando riuscivano a catturarli. Ad ogni incursione in Francia, gli inglesi mostravano il loro dito intatto, per denigrare gli sconfitti e la loro incapacità di batterli.
La storia politica italica è piena di celebri esibizioni del dito medio , a partire da quello di Umberto Bossi, il fondatore della Lega Nord che lo usava con frequenza tra le sua vasta gamma di trivialità strampalate, ne citiamo solo alcune con la bandiera «si puliva il culo», ha proposto di «impiccare» gli avversari politici e di mettere «l’anello al naso dei meridionali» , schedare gli extracomunitari «con le impronte dei piedi», «buttare nel cesso il tricolore», un vero gentleman che è in buona compagnia, Daniela Santanchè, Piero Fassino, Roberto Formigoni, solo per citarne alcuni.
E consola poco, che in Italia, la Cassazione abbia stabilito che tenere il pugno chiuso con il dito medio alzato, costituisca un’ingiuria e si corra quindi il rischio di finire sotto processo. Secondo la sentenza della Quinta sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n. 26171/2010) reato previsto e punito dall’art. 549 del Codice Penale.
Ma il dito medio ritrova nell’arte la sua antica potenza, quella della protesta, nel gesto liberatorio di schernire i potenti e chi se lo merita, come fa AL WeiWei, che nel suo “Study of Perspective“, presenta una raccolta di foto in cui mostra il dito medio ad alcuni dei più famosi monumenti e architetture del mondo come la Casa Bianca, la Gioconda, la Tour Eiffel compreso il nostrano Palazzo Strozzi.
Un’altra opera di protesta è il gigantesco dito medio di Maurizio Cattelan denominata L. O. V. E.”, acronimo di “libertà-odio-vendetta-eternità”, ma anche termine inglese per dire “amore”, che dal 2010 svetta di fronte a Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa di Milano, espressione del dissenso dell’artista nei confronti del mondo economico e delle speculazioni dell’alta finanza.
Oggigiorno come abbiamo visto, il gesto del dito medio è diventato un classico sia della società che del mondo politico, dove viene usato come gesto dimostrativo per rifarsi degli insulti o contestazioni ricevute o, semplicemente per rispondere ai giornalisti
Ma questo atto simbolico come molti altri testimonia appieno l’eclissi della morale, di una modernità diventata laida e plebea quella che il defunto Giorgio Bocca definiva come “una latrina e basta”.
Una volta le regole di comportamento, il protocollo, l’etichetta non solo erano doverosi, ma erano ritenute indispensabili, insegnavano a stare al mondo. Certo, spesso erano regole figlie di una morale formalista e sicuramente ipocrita, certamente migliore della maleducazione e dal trash imperante che ci circonda.
Il linguaggio del tempo condito dal turpiloquio generalizzato, dai vaffanculo che riecheggiano dappertutto e il dito medio sempre in bella vista per partecipare alla feroce competizione in atto, cioè la corsa a dare il meglio del peggio.
Pietro Masiello