IGR, i sindacati: “Necessario fare chiarezza sulla riforma”
Il dibattito scaturito in CGG sulla riforma IGR ha messo in luce visioni differenti, da parte della maggioranza. Alcuni interventi hanno sottolineato la pressoché totale condivisione del provvedimento, la cui relazione contiene affermazioni inesatte nel metodo e nei contenuti, mentre altri hanno sostenuto di volerci vedere chiaro, rispetto agli effetti che produrrebbe.
Il filo conduttore è stata comunque la volontà di salvaguardare i redditi medio bassi. Occorre però definire cosa si intende con questa affermazione.
Le tabelle, che potranno essere consultate sui siti delle Confederazioni sindacali, dimostrano che un reddito da lavoro dipendente di 25.000 euro lordi annui escluso il TFR, pari ad un primo livello (quello più basso in assoluto) con uno scatto di anzianità del settore industria, pagherebbe 118 euro in più l’anno. Ciò, per effetto della eliminazione della no tax area e per il raddoppio delle tasse sul TFR. Occorre tenere conto altresì che questo lavoratore, per ottenere questo risultato dovrebbe smaccare 6.000 euro annui a fronte dei 3.500 circa attuali.
Una lavoratrice part-time a 20 ore settimanali (i tre quarti di tali contratti sono stipulati da donne), con un reddito di 15.000 euro annui dovrebbe smaccare almeno 4.000 euro annui rispetto ai 1.000 attuali, per pagare le medesime imposte.
In altre parole, per avere lo “sconto fiscale” si costringerebbero le persone con minori disponibilità economiche a spendere di più in territorio, dove i prezzi sono notoriamente più elevati. Quindi, il fatto che i redditi bassi verrebbero salvaguardati è una vera e propria falsità.
Un operaio di livello 5°/2 (il cosiddetto superspecializzato), con un reddito annuo lordo di 35.000 euro, oltre al TFR, smaccando la stessa quantità di oggi, pagherebbe 333 euro annui in più. È paradossale il fatto che i redditi più elevati, quindi con maggiore capacità di spesa, sarebbero tenuti a smaccare 6.000 euro, meno di oggi.
Per i pensionati gli effetti risulterebbero leggermente meno penalizzanti, ma a fronte del fatto che percepiscono solo 13 mensilità, senza il TFR.
Per i lavoratori frontalieri con stipendi più bassi, che quindi oggi sono maggiormente portati a smaccare l’intero importo predefinito, si tratterebbe di un vero e proprio salasso.
Questi lavoratori non potrebbero recuperare nulla in sede di dichiarazione dei redditi in Italia, come dimostreremo con prossimi comunicati, per cui si troverebbero con circa una mensilità “bruciata”. Analogamente, dimostreremo che i residenti a San Marino che lavorano in Italia beneficiano di gran parte delle detrazioni spettanti a tutti i lavoratori dipendenti.
Quindi, la relazione della Segreteria di Stato per le Finanze è basata su riferimenti completamente sbagliati. Solo per queste ragioni il provvedimento andrebbe ritirato.
Resta inoltre il fatto che gran parte dei Contratti di lavoro non sono ancora stati rinnovati e che stipendi e pensioni hanno perso anche più del 20% di potere d’acquisto. Per queste ragioni, anche i redditi medio alti di tale natura non devono subire un inasprimento fiscale, concentrandosi eventualmente solo sulle “entrate” aggiuntive, ove presenti.
Se per il Governo e la maggioranza tutto ciò corrisponde a criteri di equità, per noi è invece inaccettabile: contrasteremo questa ingiustizia in tutte le sedi di confronto e in piazza.
CSdL – CDLS – USL