RF: “Tenere aperti i musei di sera, è la nostra politica culturale?”
In questi giorni è stato pubblicato un bando che prevede il reclutamento di studenti universitari per tenere aperti i musei nelle ore serali. Non si tratta di una novità: in passato era una consuetudine impiegare gli studenti in attività estive di questo tipo. Nulla di nuovo nè di rivoluzionario, dunque, ma solo una vecchia buona pratica riesumata, assolutamente apprezzabile.
Ciò che si intende tuttavia biasimare è la patina di eccezionalità e la forzata veste culturale con cui l’iniziativa è stata presentata sui media, e rispetto alla quale è lecito porsi qualche domanda. Tralasciamo volutamente di soffermarci sulle modalità, per certi versi mistificatorie, con cui una realtà semplice è stata trasformata in roboante propaganda: una forma di comunicazione che si ritiene poco rispettosa degli studenti direttamente interessati e dell’intelligenza dei cittadini. Si preferisce invece concentrare l’attenzione su altri aspetti, con intento non polemico ma costruttivo. Tenere aperti i musei di sera, impiegando studenti come guardiani o addetti ai biglietti, è davvero un atto di politica culturale? Repubblica Futura crede si tratti, più realisticamente, di un’operazione marginale, utile forse a tamponare alcune esigenze organizzative ma ben lontana dall’affrontare il nodo vero della questione: la crisi di vivibilità quotidiana e di residenzialità del nostro Centro Storico, ormai sempre più svuotato di vita reale e pieno di eventi e luci che rischiano di non illuminare nulla, che si ritiene essere causa di un turismo veloce, che al tramonto sparisce per il quale il prolungamento degli orari dei musei sarà pressoché ininfluente.
Una vera strategia culturale deve essere complessa, integrata e soprattutto radicata. Deve partire dal riconoscimento che una Città non è viva perché tiene aperti i musei o i negozi dopo cena ma perché è abitata, vissuta, rispettata. Perché è ancora capace di raccontarsi nella sua quotidianità, nelle sue tradizioni e nella sua evoluzione, senza le quali non c’è cultura: c’è solo spettacolo.
L’immagine del Centro Storico comunicata attualmente è quella di un palcoscenico temporaneo, sfondo perfetto per selfie veloci, ma svuotato di vita reale.
I turisti hanno motivazione nel prolungare la loro permanenza se hanno la possibilità di entrare in contatto con un luogo vivo, vero, coerente con la sua storia e la sua contemporaneità. Un luogo che sappia accogliere senza snaturarsi. Quando sussistono queste condizioni è più semplice e spontaneo essere interessati a monumenti o musei.
Anche gli eventi serali estivi, a cui si riconosce un valore di aggregazione e animazione, devono essere pensati con equilibrio, rispettando la qualità della vita di chi in centro vive o lavora stabilmente e in attività storiche e di qualità. Altrimenti, il Centro Storico si svuoterà del tutto, lasciando spazio a un non-luogo indistinto, buono solo per un consumo mordi e fuggi.
Senza dimenticare la valenza istituzionale della nostra capitale: non un semplice contenitore di eventi o percorsi turistici, ma un luogo della memoria collettiva, della rappresentanza democratica, del vivere comune.
Chiamiamo allora le cose con il loro nome: fare i biglietti o vigilare su una sala museale non è cultura, è un servizio tecnico. La cultura vera nasce da un progetto che tiene insieme memoria, comunità, futuro. Che investe nelle persone prima che negli orari. Che si fonda sulla coesione, sulla residenza, sull’autenticità. Tutto il resto è facciata.
Se vogliamo davvero valorizzare la nostra cultura, tuteliamo il nostro Centro Storico, le sue attività, la sua gente, la sua quotidianità. Solo così il nostro patrimonio culturale tornerà ad avere un senso pieno, condiviso, duraturo.
Repubblica Futura