Le molestie non sono “maleducazione”, né “ragazzate”: sono un reato
Il 24 ottobre scorso il Consiglio Grande e Generale ha votato all’unanimità il DD 109/2024 – Modifiche alla Legge 20 giugno 2008 n. 97 “Prevenzione e repressione della violenza contro le donne e di genere” e successive modifiche e al Codice Penale. Un passo avanti necessario per il nostro ordinamento, che ha individuato nuove fattispecie di reato e ha attualizzato anche il Codice Penale su un tema – quello della violenza di genere – che purtroppo si connota sempre più nei confini di una vera emergenza sociale.
Abbiamo ascoltato con attenzione sia la fase di dibattito, sia quella della votazione degli emendamenti. Durante il dibattito, purtroppo, sono emerse argomentazioni inaccettabili su un tema estremamente attuale come quello delle molestie.
Come diversi interventi hanno sottolineato, il tema è particolarmente delicato poiché purtroppo la vittima, la parte offesa, quando trova la forza di denunciare si espone al rischio di una “violenza secondaria”, frutto di quei pregiudizi culturali di retaggio patriarcale che ancora impregnano la nostra società. Tutelare la parte lesa è fondamentale per tutelare la società tutta.
Come Unione Donne Sammarinesi non possiamo non stigmatizzare le affermazioni che il Consigliere Gian Nicola Berti ha fatto durante il dibattito sugli emendamenti all’articolo 12 sulle molestie sessuali. Il Consigliere non solo si è affrettato a dire che le molestie sessuali le fanno maggiormente le donne, ma è andato oltre: a suo avviso, sarebbe difficile stabilire ex ante cos’è o cosa non è una molestia perché molto spesso si tratterebbe solo di “maleducazione”, di “ragazzate”.
Anche se si è trattato di un caso isolato, in un Consiglio in cui diverse voci hanno manifestato una crescente sensibilità su questi temi, ci sentiamo in dovere di chiarire alcuni aspetti fondamentali e lo facciamo utilizzando delle fonti aperte a tutti, consiglieri compresi, quali OMS e National Sexual Violence Resource Center (USA).
Studi e statistiche dimostrano che, nella maggior parte dei casi di molestie sessuali, gli uomini sono i responsabili, mentre le donne le vittime. Le molestie sessuali hanno radici nelle dinamiche di potere, e storicamente gli uomini detengono una posizione dominante in molti ambiti, come quello lavorativo e sociale, che facilita questi comportamenti. Mentre è vero che anche gli uomini possono subire molestie (e queste vanno prese sul serio), la prevalenza dei casi vede le donne come vittime e gli uomini come molestatori. Sono dati inconfutabili.
L’affermazione per cui ciò che può essere molestia in realtà potrebbe essere percepito e accolto diversamente deriva dal luogo comune per cui “le donne si mettono in condizioni di farsi fare avance e poi dicono di essere molestate”: questo ragionamento incolpa erroneamente le vittime, insinuando che il comportamento o l’abbigliamento, il carattere o un’espressione di una donna potrebbero giustificare una molestia. La responsabilità di un comportamento inappropriato o violento, invece, è sempre e solo di chi lo compie. Le molestie sessuali sono definite da atti o commenti indesiderati e non consensuali, indipendentemente da come una persona si veste o si comporta. Dire che una donna “si mette in una condizione” equivale a minimizzare la gravità dell’atto e a deviare la colpa dalla persona responsabile alla vittima. La giurisprudenza nei Paesi avanzati considera queste affermazioni come forme di “victim blaming,” che aumentano il danno psicologico sulle vittime e possono scoraggiarle dal denunciare. Queste idee, se accettate senza critica, perpetuano stereotipi dannosi e ostacolano il riconoscimento e la prevenzione delle molestie sessuali.
Invece di sperticarsi in un ragionamento basato sulla presunta maleducazione o la presunta ragazzata, sarebbe stato più interessante legare il tema della molestia sessuale a quello del consenso, aspetto completamente assente in un intervento che – purtroppo – aveva come unica prospettiva il passato.
Unione Donne Sammarinesi