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Buon Primo Maggio? ………….. di Francesco Chiari

È difficile quest’anno trovare ragioni per festeggiare il Primo Maggio e con esso tutti i lavoratori, anche per un resiliente come me che trova sempre la breccia positiva di un apparente problema e alla retorica domanda “come va?” non riesce a non tagliare corto con un cortese “bene grazie”.

Ciò mi accade ancor più quando i problemi sono evidenti e dunque bisogna correre, c’è da “lavorare”.

Ma quest’oggi non posso evitare di vivere il Primo Maggio più come una giornata di speranza che come festa.

Non che la speranza possa curare virus, intendiamoci, ma il valore positivo che in essa risiede non va mai sottovalutato in quanto a comburente della forza di ognuno di noi e di conseguenza di tutto il popolo dei lavoratori.

Questa data infatti rappresenta il cordoglio, le scuse postume, la presa di coscienza dell’esecuzione sommaria avvenuta nel 1886 ai danni di alcuni anarchici che sin dal 5 settembre 1882 a New York, sulle orme dei Knights of Labor (Cavalieri del Lavoro), si battevano per i diritti dei lavoratori.

Dunque dovrebbe sottolineare anche valori come uguaglianza e democrazia, purtroppo però questa pandemia è persino selettiva e discriminante nei confronti degli esseri umani e quindi dei lavoratori.

Così ci troviamo davanti a situazioni lavorative molto diverse, tra coloro che lavorano in settori meno colpiti, o che addirittura hanno tratto giovamento dalla pandemia, come ad esempio quelli alimentare e farmaceutico, a settori come quelli della ristorazione e dell’accoglienza che hanno visto trasformare ogni sorta di ristorante in take away e gli hotel in case chiuse, letteralmente, senza l’esercizio del lavoro più antico del mondo che almeno avrebbe contribuito a raggiungere l’immunità di gregge, mi si consenta la battuta.

Ma più che su ogni altro lavoratore la discriminazione si è abbattuta su coloro che per mestiere fanno stare bene gli altri e non mi riferisco agli operatori sanitari ai quali va infinita gratitudine, bensì agli operatori della cultura e dello spettacolo che lavorano in un ambito considerato di serie b, soprattutto in momenti di crisi pandemica da cui poi deriva quella economica.

Non è così.

Il vecchio slogan di una pubblicità del dentifricio recitava: prevenire è meglio che curare.

Ebbene in questo caso la cultura, parola che deriva da coltura, riferita però alla propria anima, è anch’essa comburente di quella forza che ci è necessaria per essere felici.

Ecco perché gli operatori delle fiere, dei musei, dei cinema, dei teatri e soprattutto dei concerti ci consentono di poter fruire di quei luoghi dove coltivare la nostra anima.

Così quest’anno più che mai credo che l’evento del “concertone” del Primo Maggio a Roma, pur con tutte le limitazioni del caso, rappresenti il simbolo della speranza e dunque della forza di tutti gli operatori di questo denigrato seppur importantissimo settore e, per osmosi, di tutti i lavoratori.

Buon Primo Maggio.

Francesco Chiari
Lavoratore e coltivatore dell’anima.