Attivo CSU: semaforo rosso per la riforma delle pensioni
San Marino. “Il risanamento dei conti pubblici e la riforma del sistema previdenziale devono seguire la bussola dell’equilibrio e dell’equità”. È pressante l’invito che la CSU rivolge al Governo con la ripresa del confronto dopo la pausa ferragostana. Davanti alla folta platea dei delegati sindacali riuniti oggi alla Sala Montelupo di Domagnano, i segretari Giuliano Tamagnini (CSdL) e Gianluca Montanari (CDLS) hanno innanzitutto sottolineato che con l’incontro di inizio settimana dedicato al Piano Nazionale di Stabilità, l’Esecutivo continua a non dare risposte chiare su alcuni punti cruciali come la crisi del sistema bancario e il risanamento del bilancio dello Stato. Sul fronte bancario- tra nazionalizzazioni, liquidazioni forzate e fusioni – manca un progetto dettagliato che indichi una via d’uscita complessiva. Il Governo è infatti ancora in attesa da Banca Centrale dei dati dell’Aqr, ovvero del quadro sulle sofferenze dei nostri cinque istituti di credito. Le uniche cifre che sono state fatte al tavolo di confronto riguardano l’ipotetica richiesta di un prestito all’FMI di 270 milioni, prestito a fronte di un deficit pubblico di 330 milioni che con le sofferenze di Cassa di Risparmio, circa 500 milioni, sale a oltre 800 milioni.
“È dentro questo perimetro – affermano i segretari CSU – che il Governo sta cercando di imporre da una parte un confronto a tappe forzate sulla riforma previdenziale, sulla revisione della spesa pubblica e sulla riforma delle imposte dirette e indirette; dall’altra di seguire la ricetta dell’austerità e dei tagli lineari degli stipendi e delle pensioni. E’ chiaro che per noi la ripresa del confronto deve invece ripartire sulle basi dell’equilibrio e dell’ equità”. Per questo l’attivo dei delegati CSU torna a chiedere al Congresso di Stato un segnale forte sul fronte fiscale, perché la mancata attuazione della riforma Tributaria ha lasciato sul campo una forte sproporzione tra il mondo del lavoro dipendente e il mondo del lavoro autonomo.
L’assemblea è quindi proseguita in forma seminariale analizzando il progetto del Governo sulla riforma previdenziale. Riforma che contiene diversi punti critici, a partire dall’assenza del contribuito dello Stato. Contributo che invece per il sindacato deve essere confermato anche per i prossimi anni, in quanto la parte pubblica non può abdicare al suo ruolo sociale e di sostengo dei cittadini.
Altro capitolo fortemente contestato è quello che fissa a 103 quella che dovrebbe essere la somma tra età anagrafica e anni di contribuzione. In realtà il tentativo è quello di introdurre unicamente l’aumento dell’età pensionabile, portandola da 60 a 63 anni con almeno 40 anni di versamenti. Si stabiliscono poi una serie di disincentivi per chi esce prima dei 64 anni e, addirittura, si incentiva chi rimane al lavoro fino a 70 anni. Se da parte della CSU non c’era mai stata una preclusione di fondo su questo possibile cambiamento della quota da 100 a 103, ora la modalità scelta dall’Esecutivo ci vede nettamente contrari.
Netta anche la contrarietà rispetto alla eliminazione della “no tax area”, pari al 20% per le pensioni da 1.000 euro in su, che si traduce in un significativo aumento della tassazione.
Semaforo rosso alla possibilità di continuare a lavorare per i titolari di pensioni di vecchiaia, senza nessun abbattimento (anche parziale) della propria pensione. Pratica che di fatto ostacola l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e che genera per una sola fascia di lavoratori, escludendo altre, la possibilità di percepire due redditi.
Il progetto di riforma prevede inoltre per i giovani una minore contribuzione all’atto della prima assunzione, mentre al contempo si ipotizza che il TFR sia destinato per metà per il finanziamento del secondo pilastro. Anche questa è una soluzione discutibile, partendo dal fatto che attualmente il TFR nel sistema sammarinese è retribuzione diretta, al contrario di quanto accade nel sistema italiano.
Forti le perplessità sul nuovo contributo di solidarietà. Dalle tabelle allegate si delineano tagli piuttosto sostenuti: le pensioni superiori ai 2.000 euro subirebbero, in aggiunto a quanto già pagato, maggiori trattenute per effetto del combinato disposto della modifica della no tax-area e del nuovo prelievo di solidarietà che va da un mimino del 3% a un massimo del 10%. Si tratta di decurtazioni inaccettabili, anche tenendo conto che già da diversi anni esiste il contributo di solidarietà.
Altro apsetto che ha incrociato ferma contrarietà è quello sulla “governance” dei fondi pensioni. Si propone infatti di cancellare gli organismi attualmente esistenti e di far gestire sia il primo che il secondo pilastro da un unico organismo “pseudo-tecnico” nominato dal Congresso di Stato che dovrebbe essere formato da tre persone. In sostanza, il Governo vorrebbe arrogarsi il diritto di gestire direttamente i fondi pensione, mentre al sindacato e alle associazioni datoriali verrebbe assegnato solo un ruolo di controllo postumo e marginale.
Anche su questo punto l’attivo CSU è stato chiaro: negli organi di gestione dei fondi pensionistici i rappresentanti delle parti sociali e delle categorie economiche devono avere, in termini di voti, un ruolo ed un peso maggioritario, in quanto sono le uniche a rappresentare i soggetti che versano le risorse in tali fondi.
Nel documento è quindi presente una proposta che va a cambiare completamente la natura del nostro sistema previdenziale: è infatti citata l’ipotesi di passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Ciò, peraltro, senza sapere se vengono salvaguardati i diritti acquisiti, che sono irrinunciabili. In tal senso occorre tenere conto dei tre sistemi che presiedono al calcolo della prestazione pensionistica: quello originario con la riforma del 1983, quello del periodo successivo dopo la riforma del 2005, ed inoltre quello della riforma del 2011. E quest’ultima riforma già introduce un rapporto attorno al 60% tra ultimo stipendio e assegno previdenziale. Il forte rischio è che il nuovo sistema contributivo farebbe maturare prensioni al di sotto del 60%, portando le future pensioni delle giovani generazioni a livelli di vera e propria povertà. Pertanto, respingiamo con forza anche questa ipotesi.
È dunque un giudizio fortemente negativo quello emerso dall’attivo dei delegati sindacali della CSU.” Pertanto – affermano i segretari CSU Tamagnini e Montanari – rinnoviamo l’invito al Governo a non procedere all’avvio all’iter consiliare di nessun progetto di legge in materia pensionistica senza aver prima espletato, fino in fondo, un negoziato con le organizzazioni sindacali. E l’eventuale accordo sulla riforma dovrà essere sottoposto alla valutazione finale dei lavoratori e dei pensionati attraverso un referendum”.